IL POPULISMO ANTI-CASTA E’ ACQUA PASSATA
POSSONO AUMENTARSI LO STIPENDIO SENZA CHE NESSUNO SI SCANDALIZZI PIU’
L’emendamento alla manovra economica che equipara lo stipendio dei ministri e dei sottosegretari non parlamentari a quello dei colleghi eletti è il test definitivo sulla fine della stagione dell’anticasta. Il fatto stesso che la maggioranza abbia proposto la modifica fa immaginare che giudichi ormai consegnata al passato la lunga fase di rabbia contro l’establishment, i suoi stipendi, i suoi privilegi, le sue buvette e i suoi barbieri a prezzo agevolato. Quella fase ha prodotto nell’arco di quindici anni l’inseguimento, talvolta oltre ogni ragionevolezza, degli istinti più animosi contro i presunti potenti (molti dei quali erano appena travet di partito promossi nelle assemblee elettive), tagli agli emolumenti, sforbiciate alle pensioni, riduzione del numero stesso di deputati e senatori, e ovviamente cancellazione del finanziamento pubblico ai partiti. La politica, si diceva, diventerà più efficiente. Trasparente come una casa di vetro. Si farà più vicina al popolo e ai suoi problemi.
Non solo non è successo nulla di tutto ciò ma lo «sciopero della democrazia» degli italiani ha raggiunto livelli mai visti, con la partecipazione al voto inabissata sotto il cinquanta per cento delle ultime Europee. Allo stesso tempo, la perdita di prestigio della politica ha costretto i partiti a imbarazzanti questue ogni volta che gli serviva un nome, una fama certificata, uno bravo da candidare in virtù della competenza: correre per il Parlamento ma anche per un posto da sindaco o da presidente di Regione sembrava un rischio inutile più che una promozione.
Anche sotto il profilo della moralizzazione della vita pubblica i risultati sono stati scarsi. Gli scandali, le compravendite di voti, l’afflusso di contributi privati sul filo della legalità, restano una costante, e i meccanismi bizantini messi in piedi per finanziare singole carriere o interi movimenti hanno reso pure più difficile l’azione della magistratura. Molti, da tempo, si chiedono: ma non era meglio la trasparenza del finanziamento pubblico, che rendeva chiaro cosa è mazzetta e cosa no, cosa è pagamento illecito e cosa no, e soprattutto metteva tutti in gara sullo stesso piano?
Sia come sia, l’emendamento in favore dei ministri (otto) e dei sottosegretari (numero imprecisato) «poveri» ha un costo per lo Stato valutato 1,3 milioni di euro all’anno. Pd e M5S protestano, anche se i leader per il momento non si sono espressi e non si capisce bene se intendano fare una battaglia in grande stile quando la norma approderà nelle aule parlamentari. Forse anche loro sono in attesa della eventuale, possibile, tutta da verificare, reazione delle opinioni pubbliche. Anche loro aspettano di capire se la rivoluzione anticastista è ancora viva oppure se è stata cancellata da altri sentimenti e da altri risentimenti.
(da lastampa.it)
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