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IL RITORNO DEI “VASA VASA”: MICCICHE’, ROMANO E I LEGHISTI EX MPA

MUSUMECI VINCE CON 97.236 VOTI DEGLI IMPRESENTABILI

“Trentacinque, trentacinque. E il listino: non dobbiamo chiedere niente a nessuno. A nessuno“. L’eterna estate di Palermo è appena finita: in cielo sono tornate le nuvole. E anche qualche goccia di pioggia.
Ma l’ex ministro Saverio Romano è raggiante: una mano in tasca, nell’altra il cellulare, in faccia un sorriso affilato di soddisfazione, mentre passeggia davanti al comitato elettorale di Nello Musumeci, due passi da via Libertà .
Sono da poco passate le 22 e 30 e il nuovo presidente della Regione sta per arrivare da Catania. Davanti al suo quartier generale la gente comincia a farsi numerosa per festeggiare la vittoria del centrodestra alle elezioni regionali.
È il ritorno al governo dell’isola, dopo cinque anni di stop, otto se si considera il ribaltone di Raffaele Lombardo che escluse le destre dalla maggioranza.
Il ritorno dei vasa vasa
All’epoca Forza Italia e i centristi di Totò Cuffaro sembravano scomparsi, evaporati, condannati all’estinzione. Un gioco di specchi: è bastato saper attendere per vederli tornare, uguali a prima, forse più forti di prima.
“A Belmonte Mezzagno ho preso 8 voti nell’Udc e 24 in Forza Italia“, si vanta l’avvocato Totò Cordaro, visto che in verità  era candidato nella lista dei Popolari: pur di votarlo la gente ha scritto il suo nome a caso nella scheda.
Negli ultimi cinque anni di governo Crocetta è stato il volto del cuffarismo d’opposizione: ora è uno degli assessori in pectore del governo Musumeci. Con lui anche l’ex rettore Roberto Lagalla, che in curriculum ha un mandato da assessore alla Sanità  di Cuffaro: sempre lui, il passato mai passato.
Lo spettro dell’ex governatore condannato per favoreggiamento alla mafia si allunga sulla serata quando arriva l’auto di Musumeci: il neo presidente scende e subito va in scena il ritorno dei vasa vasa. “Presidente”, gli dicono.
E giù il doppio bacio: smack, smack. “Nello“, gli urlano. E via l’incrocio di guance: smack e smack. Una festa.
L’arrivo di Miccichè, la fuga di Musumeci
Interrotta solo dall’arrivo — qualche minuto più tardi — di Gianfranco Miccichè, il redivivo vicerè di Silvio Berlusconi sull’isola che ha riportato Forza Italia ad alte percentuali dopo un lustro. “Possiamo dire che lei è il vincitore morale di queste elezioni?”, gli chiedono da Tagadà  su La7. “Morali? Non ci sono morali…”, confessa lui prima di presentarsi al comitato del neogovernatore, abbracciato a Giuseppe Milazzo, il primo degli eletti di Forza Italia a Palermo, che di entrare da Musumeci proprio non ne vuole sapere.
“Ti garantisco che ti faccio entrare io”, gli urla Miccichè, fiondandosi dentro. Musumeci, però, deve andare via: e l’arrivo dell’alleato azzuro accelera — curiosamente — le manovre di avvicinamento all’uscita.
Tra la folla che occupa ogni centimetro quadrato del comitato, alla fine, i due arrivano soltanto a sfiorarsi per un secondo, forse due. Poi il neo presidente si defila, mentre dai seggi cominciano ad arrivare i nomi dei deputati eletti. E il numero delle preferenze.
Impresentabili ma decisivi
Sono gli stessi momenti in cui Musumeci sembra mettere le mani avanti. “So che incontrerò qualche problema. Ormai gli impresentabili appartengono all’archivio”, dice ai cronisti, incalzato ancora su uno dei temi più caldi della campagna elettorale: quello sui tanti candidati con pendenze giudiziarie che correvano in suo sostegno
Contrariamente alle aspettative, quindi, non è stato il volto pulito di Musumeci, il “fascista perbene“, a trainare il centrodestra, ma al contrario i ras acchiappavoti.
E in questo senso i voti dei cosiddetti “impresentabili” sono stati fondamentali per portare Musumeci sulla poltrona più alta di Palazzo d’Orleans.
I 18 impresentabili di destra valgono 100mila voti
Novantasettemila duecentotrentasei. Sono i voti raccolti dai 18 candidati di centrodestra, sui quali ilfattoquotidiano.it aveva acceso i riflettori durante la campagna elettorale.
Non erano solo indagati o condannati, ma anche quelli con legami familiari o trascorsi personali che sollevavano più di qualche dubbio.
Molti di quei nomi — anzi, quasi tutti — sono finiti agli atti della commissione Antimafia, che però non ha ancora fornito gli elenchi di chi è in effetti un impresentabile e chi no. Nel frattempo in Sicilia si è votato. E alcuni di quei candidati sono entrati all’Assemblea regionale in sostegno di Musumeci. Altri, invece, sono rimasti fuori.
Ma il loro apporto è stato comunque fondamentale per la vittoria del governatore e dell’intera coalizione visto che hanno portato voti alle liste.
Musumeci, infatti, ha vinto le elezioni grazie ai 108.266 voti in più rispetto a quelli raccolti da Giancarlo Cancelleri. La differenza con le preferenze portate dai cosiddetti “impresentabili” è minima: undicimila voti.   Senza contare quello disgiunto arrivato dagli discutibili candidati di centrosinistra. Come dire: senza quei candidati Musumeci e il centrodestra avrebbero vinto veramente per un pelo. Forse anche per questo ieri Cancelleri aveva polemizzato: dopo aver riconosciuto la sconfitta, aveva bollato le elezioni come “contaminate dagli impresentabili“.
Sette impresentabili eletti: chi sono
Ma chi sono i deputati che potrebbero vedersi appiccicare l’etichetta di “impresentabile” direttamente dalla commissione Antimafia dopo essere entrati a Palazzo dei Normanni? In totale hanno portato 51.706 voti . E molti vengono da Forza Italia.
Come Marianna Caronia, che ha preso 6.370 voti nel collegio di Palermo ed è indagata nell’inchiesta sugli appalti del trasporto marittimo regionale.
Sempre a Palermo il partito di Berlusconi riporta a Sala d’Ercole il veterano Riccardo Savona, capace di raccogliere 6.554 voti. Eletto con la destra nel 2012, passato a sinistra per sostenere Crocetta e ora tornato all’ovile azzurro. Il motivo? Nell’ottobre del 2013, durante un evento pubblico, Crocetta lo vide seduto in prima fila e inaspettatamente disse pubblicamente: “Chi ha fatto affari con Nicastri, Matteo Messina Denaro e la mafia deve uscire immediatamente”. Il riferimento era per i rapporti pregressi tra lo stesso Savona e l’imprenditore dell’eolico, al quale sono stati confiscati beni pari a un miliardo e mezzo di euro.
A Caltanissetta, invece, gli azzurri eleggono Giuseppe Federico con 5.437 preferenze: è a processo per falsa testimonianza perchè quand’era carabiniere avrebbe fornito un falso alibi a un collega, poi accusato di rapina.
Poi ci sono i Genovese: il giovane Luigi ha preso 17.359 voti che hanno consentito a Musumeci di superare il 51% in provincia, contro il 20 dei pentastellati. “Io non c’entro niente, merito di Luigi”, sorrideva ancora a scrutinio in corso il padre Francantonio Genovese, condannato a undici anni in primo grado per associazione per delinquere, truffa, riciclaggio, frode fiscale, peculato.
Il risultato record della provincia peloritana gode anche dei voti raccolti dal vulcanico Cateno De Luca: ne ha presi 5.418 correndo con l’Udc. Ritorna all’Ars con 6.557 voti Giuseppe Gennuso eletto a Siracusa nonostante un’indagine per truffa.
Riesce a tornare a Palazzo dei Normanni anche Tony Rizzotto: è il primo leghista a varcare quella soglia. Ex esponente del Movimento per l’Autonomia, Rizzotto ha raccolto 4.011 preferenze da candidato della lista Noi con Salvini.
Quando era ancora un autonomista di marca meridionale, invece, l’allora governatore Raffaele Lombardo avrebbe voluto nominarlo al vertice della società  pubblica Italia lavoro Sicilia. Essendo un dipendente pubblico, Rizzotto era però incompatibile per quel ruolo: e al suo posto venne nominata la sua ex fidanzata.
Gli undici non eletti che hanno portato voti
Quindi ci sono gli altri. Gli impresentabili — o presunti tali — non eletti ma che con i loro voti hanno trainato le liste. Ha preso 1.708 voti l’ex sindaco di Misilmeri, Pietro D’Aì. candidato con Diventerà  Bellissima, la lista personale di Musumeci. Il suo comune è stato sciolto per mafia nel 2012.
Le accuse all’ex primo cittadino e agli altri amministratori vennero archiviate ma le valutazioni messe nero su bianco dal gip Luigi Petrucci non erano esattamente entusiasmanti.
A Misilmeri c’era “una gestione della cosa pubblica — scriveva il giudice — in talune occasioni francamente illecita ma senza che emergessero delitti collegati al sodalizio mafioso”.
Correva con il movimento di Musumeci, ma a Catania, Ernesto Calogero: 1.669 voti, nonostante una condanna in primo grado a quattro anni nel febbraio 2017.Il neo governatore dovrà  rinunciare anche al fidato Santi Formica, escluso nonostante 6.003 persone abbiano scritto il suo nome sulla scheda: era stato condannato dalla corte dei Conti a pagare 370 mila euro per la storia degli extrabudget nella Formazione.
Ad Agrigento ha preso 4.220 preferenze con l’Udc Gaetano Cani, a processo con l’accusa di estorsione: avrebbe costretto alcuni docenti di un istituto paritario a firmare le “dimissioni in bianco” accettando compensi inferiori rispetto a quelli indicati in busta paga.
A Palermo, dove la lista dei Popolari, correva Roberto Clemente, recentemente condannato in primo grado a sei mesi per corruzione elettorale: ha contribuito con i suoi 5.520 all’elezione di due deputati.
Non è stato eletto neanche Antonello Rizza, candidato con Forza Italia, che ha ottenuto 4.929 voti nonostante l’arresto in piena campagna elettorale e i 22 capi d’imputazione in quattro procedimenti.
Resta fuori dall’Ars anche Riccardo Pellegrino, il nostaglico dei grandi boss di Catania e fratello di un imputato per mafia che ha preso 4.427 preferenze: il suo caso aveva infiammato la campagna elettorale.
Out anche Pippo Sorbello (1.949), Santino Catalano (2210), Roberto Corona (2.218), Giovan Battista Coltraro (2.752), Giovanni Lo Sciuto (5.477), Mario Caputo (2.448). Non siederanno all’Ars ma sono stati fondamentali per far superare lo sbarramento alle liste che li hanno candidati.
Consapevoli che si trattasse di scommesse sicure. Nonostante i problemi giudiziari o i trascorsi con qualche ombra, infatti, la gente li ha comunque votati.
D’altra parte la Sicilia è pur sempre quella terra dove è quasi abusato un modo di dire che suona più o meno così: megghiu ‘u tintu canusciuti di lu bonu a canusciri. Significa: meglio il cattivo conosciuto, del buono ancora da conoscere.
Un precetto che i capipartito sembrano seguire praticamente da sempre. E — a ben vedere — anche gli elettori.

(da “il Fatto Quotidiano”)

This entry was posted on mercoledì, Novembre 8th, 2017 at 11:34 and is filed under elezioni. You can follow any responses to this entry through the RSS 2.0 feed. You can leave a response, or trackback from your own site.

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