IL TAGLIO DEL REDDITO DI CITTADINANZA E’ L’OPPOSTO DI QUANTO CHIEDE BRUXELLES E FA BERLINO
404.000 FAMIGLIE IN MISERIA DA AGOSTO 2023
L’obiettivo, va detto, era inseguito da tempo. Da quando il Reddito di cittadinanza è entrato in vigore nel marzo del 2019, aiutato dalla grancassa mediatica che ha amplificato le truffe, dalla narrazione – smentita dai dati – dei “divanisti” cara alla destra, al rassemblement centrista che ha la sua sponda in pezzi del centrosinistra ed è stata sposata perfino dai 5Stelle (“La misura non può andare a chi sta sul divano”, copyright Luigi Di Maio).
Alla fine, com’era prevedibile, dopo il lavoro sporco, l’ultimo miglio lo percorre il governo di Giorgia Meloni: l’Italia è il primo tra i grandi Paesi europei (ma pure tra i più avanzati Ocse) a fare marcia indietro su una misura di sostegno alle persone in povertà. Assieme alla Grecia è stata l’ultima a introdurla, oggi è la prima a volerla abolire.
L’annuncio l’ha dato ieri la premier in conferenza stampa presentando la manovra. La misura prevede lo stop già dal 2023 per gli “occupabili”, cioè chi ha firmato un “patto per il lavoro” con i centri per l’impiego, e dal 2024 finirà per tutti, anche se, spiega Meloni, “si continua a tutelare chi non può lavorare e aggiungiamo le donne in gravidanza”. Bontà sua.
La norma Colpiti in 400 mila E il favore al turismo
Le bozze della norma prevedono già nel 2023 il taglio dell’assegno a 8 mensilità per chi, tra i 18 e i 59 anni, può lavorare: sarà obbligato a seguire corsi di formazione per l’inserimento lavorativo (peraltro già previsti dalla norma). Quanti sono? In teoria, 830 mila, un terzo dei quali già lavora e si vede integrare un salario misero dal Rdc.
La relazione tecnica parla di una platea interessata di 404 mila nuclei familiari, se si escludono quelli che hanno minori, disabili o anziani over 60 a carico (esentati dal taglio). Queste famiglie percepiscono un beneficio medio di 543 euro mensili per nucleo.
Di norma i nuclei hanno 2,5 membri, e quindi parliamo di un milione di persone. Quelli con percettori occupabili sono meno numerosi e quindi il numero può oscillare tra le 500 e le 600 mila persone.
Gente che, al più tardi da agosto, non avrà più il sussidio pubblico. Chi sono, è noto: il 70% ha al massimo la licenza media, il 73% non ha avuto esperienze lavorative negli ultimi tre anni; soprattutto disoccupati di lungo corso ai margini del mondo del lavoro che sopravvivono come possono.
La norma prevede lo stop all’assegno già alla prima offerta di lavoro rifiutata (prima era due) e impone che tutti i beneficiari (occupabili e non) residenti nel Comune debbano essere impiegati in progetti utili alla collettività (oggi solo un terzo del totale).
Meloni non si è fatta mancare nemmeno un regalino, per così dire, di settore: solo i lavoratori stagionali potranno lavorare e conservare il Rdc, fino a un limite di 3.000 euro (la stima è di 70 mila occupati per un costo di 43 milioni).
Parliamo di una misura che gli esperti di lotta alla povertà, racchiusi nella commissione ministeriale istituita dall’ex ministro Andrea Orlando, avevano chiesto per tutti i lavoratori, visto che oggi il Rdc viene decurtato dell’80% per ogni euro incassato via salario.
Meloni, invece, accontenta solo le imprese del turismo, che si dolgono sui giornali della concorrenza del sussidio, narrazione che fa a pugni con le assunzioni stagionali da record (820 mila fino ad agosto, nel 2022 si supererà il milione) ma si inserisce a pieno nell’opera di livellare al ribasso i salari, costringendo i lavoratori ad accettare paghe da fame.
Non a caso, il presidente dell’Inapp, Sebastiano Fadda, ha spiegato che “basterebbe migliorare le condizioni retributive e lavorative di questi lavoratori per quasi dimezzare l’attuale numero dei percettori”. Nulla di tutto questo compare in manovra che – oltre ai 730 milioni di risparmi – fissa la spada di Damocle dello stop totale dal 2024 a favore di una “riforma delle misure di sostegno alla povertà”.
In Ue ultimi E Berlino fa tutto il contrario
Come detto, la decisione italiana va in controtendenza. Tutti i Paesi Ue, seppur in maniera diversa, hanno introdotto uno schema di reddito minimo garantito: l’Italia è arrivata ben ultima con la Grecia.
Secondo i dati ripresi da Openpolis, Belgio, Lussemburgo, Slovenia, Svezia, Slovacchia e, dal 2020, Spagna hanno una efficace gestione centralizzata, altri hanno schemi stratificati o gestiti a livello locale (Austria o Slovacchia). In Italia il Rdc corrisponde a un terzo del reddito mediano: è il settimo Paese Ue più generoso, dopo Paesi Bassi, Lussemburgo, Danimarca, Belgio, Irlanda e Malta. Tra gli ultimi troviamogli Stati dell’Europa Orientale, soprattutto Lettonia, Slovacchia e Romania, dove il reddito minimo garantito è l’8% di quello mediano.
Secondo i dati dell’osservatorio Cdpi, in 10 Paesi è obbligatorio accettare qualsiasi offerta di lavoro pena la perdita del beneficio, in 11 qualsiasi offerta appropriata, e in Francia si può rifiutare soltanto una offerta. Altri impongono l’obbligo di svolgere lavori socialmente utili (Lussemburgo e Romania). Allargando lo sguardo in sede Ocse, si vede che tutti i sistemi di protezione sociale, benché molto diversi fra loro, prevedono trasferimenti di natura non contributiva simili al Reddito di cittadinanza. Secondo uno studio dell’economista Ocse Daniele Pacifico, nel 2018 il 43% di tutti i sussidi erogati alla popolazione italiana in età lavorativa è andato al 20% più ricco, solo l’8% è stato ricevuto dal 20% più povero, questo perché gran parte degli aiuti era di tipo contributivo non means tested, cioè senza verifica del reddito e senza effetto redistributivo. Cosa che l’Rdc fa e infatti la quota di aiuti di tipo non contributivo è passato dal 20 al 38% (in Danimarca è all’82%, in Irlanda al 71%, in Germania al 60% e in Francia al 51%).
Si vedrà se la ministra del Lavoro, Marina Calderone, che è riuscita a rimandare al 2024 lo stop totale al Rdc, riuscirà a salvare il grosso della misura. Nel frattempo però, l’Ue ha chiesto di fare il contrario, cioè rinforzare gli schemi di reddito minimo garantito. La Germania, per dire, sta facendo il contrario dell’Italia, trasformando i suoi sussidi “Harz IV” in una sorta di reddito di cittadinanza per ridurre la pressione sui disoccupati negli uffici di collocamento. L’idea è promuovere l’apprendimento, anziché dare priorità all’inserimento lavorativo: ci si potrà aggiornarsi e cercare un lavoro duraturo, senza accontentarsi di un’occupazione temporanea. La riforma voluta dal governo Scholz è ora bloccata dal Consiglio federale guidato dalla Cdu. La destra è destra, anche a Berlino.
(da il Fatto Quotidiano)
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