IN ARGENTINA DOMENICA SI VOTA PER LE PRESIDENZIALI, TUTTI GLI OCCHI SONO PUNTATI SUL RISULTATO DEL POPULISTA MILEI CHE LE SPARA GROSSE
GLI ALTRI CANDIDATI SONO SERGIO MASSA, MINISTRO DELL’ECONOMIA IN CARICA E LA MODERATA PATRICIA BULLRICH
Alla vigilia del voto vale qualsiasi cosa pur di convincere gli ultimi indecisi, persino degli annunci minacciosi nelle stazioni della metropolitana a Buenos Aires. “Grazie allo Stato stai pagando il biglietto 60 pesos, se vince l’opposizione lo pagherai 1.100 pesos”.
Facile capire che a diffondere questi messaggi è il candidato del governo Sergio Massa, nella difficilissima posizione di chiedere voti come ministro dell’economia in carica in un Paese ancora una volta sul bordo del collasso, con un’inflazione del 138% su base annua e quasi la metà delle famiglie che vivono sotto la soglia della povertà.
“L’opposizione – ripete Massa – vuole togliere i sussidi del governo al trasporto pubblico, eliminare al massimo la presenza dello Stato e a farne le spese sarà il cittadino, perché non ci saranno più scuole e ospedali pubblici e per andare ogni giorni a lavorare si dovrà spendere tantissimo”.
Vale tutto, soprattutto per fermare il ciclone Javier Milei, protagonista assoluto, nel bene e nel male, di questa campagna. Il candidato anarco-libertario ha chiuso la sua campagna in un palazzetto dello sport gremito soprattutto di giovani, musica rock a tutto volume sparata dagli altoparlanti, molti ragazzi con la gigantografia del biglietto da 100 dollari con stampato il suo faccione e la sua folta chioma.
Lui grida dal palco e ripete il mantra della dollarizzazione, ricetta magica per far diventare, non si sa come, uno dei paesi più indebitati al mondo una futura potenza mondiale. “Con il peso (la moneta nazionale) oggi ti puoi pulire il sedere, se passiamo al dollaro avremo più stabilità, tutti ci guadagneremo”.
Se fossi così facile, viene da dire, ci avrebbero già pensato da tempo, ma in realtà è propria la cronica mancanza di dollari che ha cacciato l’Argentina nel buco nero dove è finita.
Secondo diversi studi, per cambiare il peso con la moneta statunitense si dovrebbe mettere sul mercato come minimo 36 miliardi di dollari e non si capisce proprio dove Buenos Aires potrebbe andarli a prendere.
Milei non entra nei dettagli, lo slogan del biglietto verde piace a fa sognare buona parte del suo elettorato, soprattutto i giovan precari e senza futuro delle periferie, stanchi delle briciole di sussidi elargiti del governo. “I politici tremano – ruggisce il “leone”, come si fa chiamare – sanno che hanno i giorni contati, domenica li spazziamo via come topi!”.
L’obbiettivo è chiaro, vuole vincere al primo turno per evitare un altro mese di campagna. Per farlo deve superare la soglia del 40% dei voti con almeno dieci punti di distacco dal secondo piazzato. Non è facile, ma non è nemmeno impossibile, ci sono sondaggi che lo danno in vertiginosa crescita da due mesi a questa parte. Tutto può succedere, persino che alla fine buona parte del malcontento contro il fallimentare governo uscente di Alberto Fernandez, che ha meno del 20% di popolarità e ha pensato bene di viaggiare in visita di Stato in Cina alla vigilia del voto, si convinca ad optare per l’opposizione moderata di Patricia Bullrich.
La Bullrich è dello stesso partito di Mauricio Macri, l’unico leader non peronista nella storia recente argentina a poter terminare un mandato presidenziale (2015-2019), anche se il bilancio del suo governo non fu affatto positivo. È una partita a tre, molto meno ideologica di quando uno potrebbe immaginare. Si voterà con rabbia e disperazione, molti sono coscienti che comunque andrà a finire chi governerà sarà costretto a fare miracoli per tenere in piedi la baracca.
Parte dell’America Latina tifa per Massa, ad iniziare da Lula da Silva, che ha elargito all’attuale governo un generoso prestito della banca pubblica brasiliana. Più che un gesto da buon vicino, un assegno per la campagna dei peronisti, per evitare che si rompa il giocattolo Mercosur e quella coesione regionale tanto sbandierata da Brasilia.
Dall’altra parte, invece, c’è l’asse formato da Bolsonaro, da Trump e persino dagli spagnoli di Vox, presenti con un paio di deputati come osservatori a Buenos Aires. La destra sovranista tifa Milei, il quale ha già detto che se sarà eletto romperà le relazioni commerciali con i paesi comunisti, ad iniziare dalla Cina, una boutade che ha spaventato non poco i grandi proprietari terrieri che fanno affari d’oro con la soia e la carne che mandano a Pechino.
Di sicuro, Milei farà uscire l’Argentina dai Brics ancor prima dell’ingresso ufficiale, previsto per l’inizio dell’anno prossimo. Il rappresentante legale del suo partito ha intanto presentato un esposto alla giustizia elettorale chiedendo maggiori controlli ai seggi. I libertari hanno paura che gli rubino i voti ed è un timore giustificato, visto che in Argentina si vota ancora con le schede colorate di ogni partito da inserire nell’urna. Nei feudi peronisti della grande periferia di Buenos Aires, che ha un quarto degli elettori, può succedere di tutto ed è lì che l’anarco-capitalista schiererà un esercito di fedelissimi ventenni pronti a litigare su ogni scheda contestata. Le rivoluzioni passano una volta sola, non sia cosa che gli scappi il colpaccio per una manciata di voti.
(da Huffingtonpost)
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