LA APPENDINO E LO STRANO ASSE CON CHIAMPARINO
GIUNTA DI TECNICI, SCELTE TRASVERSALI E ORA BATTAGLIA COMUNE PER MANTENERE A TORINO IL SALONE DEL LIBRO
A differenza di Virginia Raggi, la scalata di Chiara Appendino al piano nobile di Palazzo Civico è stata indolore. I problemi sono venuti dopo.
La notte in cui ha archiviato ventitrè anni di governo del centrosinistra a Torino, aveva pronta la giunta per nove undicesimi e ha composto le due caselle mancanti nel giro di una settimana. Senza interferenze.
Anzi, se c’è un dato che contrappone l’esperienza torinese ai travagli romani è proprio questo: Appendino da mesi può contare sul sostegno compatto della pattuglia di parlamentari piemontesi, sull’appoggio dei consiglieri regionali e della quasi totalità degli attivisti.
I (pochissimi) dissidenti sono stati isolati, o si sono emarginati da sè, già molto tempo fa. Ecco perchè partire è stato semplice.
Giunta di tecnici, scelti attraverso i curricula: un commercialista al Bilancio, un professore di Architettura all’Urbanistica, un ingegnere dei Trasporti alla mobilità , un ex atleta allo Sport.
Competenze ma anche segnali trasversali ai vari mondi che l’hanno appoggiata: il suo vice, l’assessore all’Urbanistica Montanari, proviene dai movimenti per i beni comuni e ha un profilo marcato a sinistra; Sergio Rolando, l’uomo dei conti, è stato direttore in Regione ai tempi di Cota ed è vicino al centrodestra.
Il difficile è venuto dopo.
Nemmeno il tempo di insediarsi ed è scoppiato il caso Salone del Libro: cambiata l’aria in Comune, gli editori – che da tempo meditavano lo strappo ma sapevano che con Fassino al timone sarebbe stata dura – hanno fatto sapere di voler trasferire la manifestazione altrove e cominciato a flirtare con Milano.
Appendino aveva due possibilità : fare spallucce, in fondo è appena arrivata e se Torino perdesse il Salone non sarebbe certo colpa sua; oppure battersi per difenderlo sapendo che sarebbe una sconfitta per la città e quindi anche per lei.
Ha scelto la seconda opzione e ha fatto asse con il presidente della Regione Chiamparino, in un certo senso il fondatore di quel «sistema Torino» che è stato cavallo di battaglia della sua campagna elettorale.
La coppia sta mostrando una imprevedibile affinità che va oltre la necessità di mantenere buoni rapporti di vicinato e che potrebbe disturbare la base grillina.
E invece no. In questo primo mese Appendino ha saputo giocare con naturalezza su più tavoli: pragmatica quando c’era da fare il sindaco e, ad esempio, non perdere i 250 milioni promessi dal governo per il Parco della Salute, progetto che non le è mai piaciuto; barricadera quando voleva lanciare segnali ai suoi.
Così si spiega il siluro sganciato sul presidente della Compagnia di San Paolo Profumo il giorno dopo la vittoria: si dovrebbe dimettere. Sapeva di non poterla spuntare (la Compagnia è ente autonomo), ma ha affondato comunque il colpo.
E così sulla Tav, altro tema caro ai Cinquestelle: quando il ministro Del Rio ha annunciato il nuovo progetto low cost, ha subito replicato che per lei cambiava nulla, l’opera resta inutile.
Ha sfiorato l’incidente diplomatico anche con la Curia: la delega alle politiche per le famiglie (anzichè per la famiglia) istituita in giunta le è costata la reprimenda del vescovo.
Gli ha chiesto un incontro chiarificatore ma ha tirato dritto, sfilando, con fascia, in testa al corteo del Torino Pride.
Qualche giorno prima era andata alla chiusura del ramadan. In gonna.
Andrea Rossi
(da “La Stampa“)
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