LA BCE AVVERTE CHE IN ITALIA E IN GERMANIA IL 10% DELLE IMPRESE È A RISCHIO FALLIMENTO PERCHÉ IN DIFFICOLTÀ A RIENTRARE DEI PRESTITI. SONO I DATI PEGGIORI DI TUTTA EUROPA
LE CAUSE PRINCIPALI SONO GLI ELEVATI TASSI D’INTERESSE E I MAGGIORI ONERI SUI FINANZIAMENTI… SOLO IN ITALIA NEI PRIMI 9 MESI DEL 2023 SONO FALLITE 5.468 SOCIETÀ – LA MINA VAGANTE DEI CREDITI DETERIORATI
Quasi il 10% delle imprese di Italia e Germania sono a rischio fallimento. Fra le cause ci sono gli elevati tassi d’interesse e quindi i maggiori oneri sui finanziamenti. L’allarme arriva dalla Banca centrale europea (Bce), che nel suo ultimo bollettino economico evidenzia come le imprese di Roma e Berlino siano quelle più in difficoltà a rientrare dei prestiti. Il secondo e il terzo trimestre hanno rappresentato una vulnerabilità marcata.
Solo in Italia, secondo i dati Crif, nei primi 9 mesi del 2023 sono fallite 5.468 società. Un incremento dell’1,48% su base annua. E quelle che hanno accusato ritardi gravi nei pagamenti commerciali sono aumentate del 9,4%.
Circostanze analoghe per la Germania. Un fenomeno che rischia di peggiorare ancora. Il primo aumento dei tassi della Bce è arrivato nel luglio 2022. Da allora, il costo del denaro si è innalzato di 450 punti base. Le ultime indicazioni del Board di Francoforte non lasciano intendere una immediata sforbiciata.
Intanto, però, l’indice delle dichiarazioni di fallimento delle imprese dell’area dell’euro ha sorpassato i livelli pre-pandemia, toccando il massimo storico. Dal 2015 non era così elevato. A soffrire di più sono due Paesi in particolare: Italia e Germania. Nel secondo e terzo trimestre del 2023, è rimasta relativamente bassa nel settore dei servizi (6%), mentre è cresciuta nell’industria (11%), nelle costruzioni (10%) e nel commercio (10%).
Il pericolo, avverte la Bce, è che ci possa essere un ritardo nella registrazione delle procedure concorsuali. «Poiché il fallimento è il procedimento legale avviato dopo che un’impresa è stata dichiarata insolvente – rileva il sondaggio Survey on the access to finance of enterprises (Safe) della Bce – le statistiche sulle procedure fallimentari rappresentano la punta dell’iceberg delle imprese in difficoltà finanziaria».
Secondo Francoforte, in media un incremento di 1 punto percentuale degli interessi pagati (in rapporto ai profitti netti) aumenta del 12% la probabilità di diventare vulnerabile. Di contro, si spiega, le variazioni di debito, fatturato o profitti hanno un impatto molto minore sul bilancio aziendale. Questo lascia intendere che «gli aumenti dei tassi di interesse, necessari per ridurre l’inflazione da livelli molto elevati, potrebbero incidere sull’attività economica attraverso il loro impatto sulle imprese».
Le aziende di Roma e Berlino, più che le altre, hanno inoltre una significativa probabilità di avere in bilancio Non-performing loan (Npl, crediti dubbi, ndr). Secondo le evidenze del sondaggio Safe, «osservando le passate indagini, in media, circa il 10% delle imprese vulnerabili aveva già prestiti bancari in sofferenza nel trimestre in cui erano state intervistate e considerate vulnerabili».
La situazione, per l’Italia, è difficile che cambi in fretta. In base alle stime dell’Associazione bancaria italiana (Abi) e di Cerved, nel 2023 il tasso di deterioramento del credito alle imprese (l’indicatore che esprime la percentuale dei crediti in bonis all’inizio del periodo che nel corso dell’anno diventano Npl, ndr) toccherà il 3,1% dal 2,2% del 2022, superando per la prima volta i valori pre-Covid che si attestavano nel 2019 a 2,9 per cento. Nel 2024 si prevede poi un ulteriore aumento che porterà l’indice a raggiungere un picco del 3,8%, il valore più alto dal 2016.
(da Open)
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