LA LETTERA DI FICO ALLA STAMPA: “LA BATTAGLIA NO TAV NON E’ PER DISTRUGGERE, MA PER COSTRUIRE UN MONDO DIFFERENTE”
“OCCORRE CHIEDERSI SE QUELL’OPERA CI PROIETTA IN UN FUTURO MIGLIORE O E’ UN MODELLO DI SVILUPPO GIA’ SUPERATO”
Gentile Direttore,
ormai da diverse settimane è tornato a essere vivace il dibattito pubblico sulle grandi opere, in particolare sul legame fra i grandi interventi infrastrutturali e il modello di sviluppo di un territorio e di un Paese.
C’è anzitutto una questione di metodo che credo andrebbe posta nella discussione intorno a ogni grande opera pubblica. Chiediamoci, di volta in volta, a quale visione di lungo periodo una certa opera risponde. E quindi se si adegua a quelle esigenze di sostenibilità – ambientali, economiche, sociali – irrinunciabili nel contesto mondiale attuale. Quell’opera ci proietta in un futuro migliore e sostenibile oppure, attraverso di essa, stiamo inseguendo un modello di sviluppo che è già superato? Questa è la domanda che noi tutti, laicamente, dobbiamo porci di volta in volta di fronte al progetto di una grande opera pubblica.
E chi ritiene che una certa opera non debba, per quelle ragioni, essere intrapresa, non può essere etichettato come un barbaro autarchico o come un luddista. Non possiamo accettare questo e non possiamo accettare che le opere pubbliche diventino terreno di scontro al punto da innalzare muri, recinti, fili spinati, zone rosse.
In questo periodo il dibattito è nuovamente dominato dalla questione Tav, che indubbiamente è stata centrale nel mio percorso politico. Penso che la battaglia no Tav non sia stata, e non sia tuttora, una battaglia orientata a distruggere tutto ciò che è nuovo, ma una battaglia ambientale, sociale e di visione del mondo differente. Una battaglia non del Movimento 5 Stelle ma di un’intera comunità profondamente radicata sul proprio territorio, al cui interno esistono diverse sensibilità .
Non dimentichiamo, infatti, che le grandi opere costituiscono un punto di intersezione delicatissimo, fragile, fra sentimenti e istanze delle comunità , interessi nazionali e sovranazionali, visioni e modelli di sviluppo e di futuro verso cui un Paese è proiettato. Se allarghiamo il campo oltre l’alta velocità e oltre i nostri confini, troviamo in tutte le aree mondo conflitti nati attorno alle grandi opere. E in alcuni casi questi conflitti hanno determinato costi altissimi in termini umani e ambientali.
Forse in Italia abbiamo vissuto il conflitto con toni e conseguenze meno drammatici che altrove, ma siamo dentro quello stesso filo rosso: cosa significa per un territorio trasformarsi, qual è il destino delle risorse di quel territorio, come si coinvolgono le comunità locali nelle decisioni pubbliche sulle grandi opere.
Tutto questo non significa affatto pensare a una dimensione domestica o localistica, di sviluppo e di progresso. È il contrario. Significa pensare a partire dal locale a un modello di sviluppo globale.
Siamo in un contesto in cui pericolosamente stanno prendendo fiato teorie che ci riporterebbero indietro di secoli, come quelle «negazioniste» rispetto ai cambiamenti climatici – pensiamo al dibattito intorno alle posizioni del presidente Trump – che riguardano l’intero pianeta. In questo senso, parlare di sostenibilità e di visione di una singola opera solo apparentemente locale, significa in realtà ragionare dentro un orizzonte molto più vasto.
Per questo, ogni volta, abbiamo il compito di porci la domanda che suggerivo all’inizio, e abbiamo il dovere di agire, a maggior ragione come istituzioni, guardando lontano e alle future generazioni. E di ambire a essere, anzitutto come Europa, una locomotiva culturale sui temi dell’ambiente, delle grandi opere, del rapporto fra sviluppo e tutela delle risorse di un territorio.
Roberto Fico
(da “La Stampa“)
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