LA REVOCA UMORISTICA: CE LI METTE TONINELLI DI TASCA SUA 20 MILIARDI DI PENALE DA PAGARE A AUTOSTRADE PER L’ITALIA?
QUALCUNO LO AVVISI CHE PER REVOCARE LA CONCESSIONE DOVEVA INVIARE UNA CONTESTAZIONE FORMALE SULLA INADEMPIENZA AI LAVORI SUL MORANDI, POI DOPO 90 GIORNI UNA DIFFIDA IN CASO AUTOSTRADE NON AVESSE OTTEMPERATO E DOPO ALTRI 60 GIORNI POTEVA AVANZARE LA RICHIESTA, MA NON HA SCRITTO UNA MAZZA E IL PONTE E’ CROLLATO
La strada che porta alle misure annunciate – la revoca della concessione ad Autostrade e una maxi-multa fino a 150 milioni di euro – è impervia rispetto al timing istantaneo degli annunci. Le procedure sono tutt’altro che semplici e immediate.
I rapporti sono regolati dalla Convenzione stipulata il 12 ottobre 2007 tra Anas e appunto Autostrade per l’Italia.
Trentanove pagine rese pubbliche solo da pochi mesi e con molti omissis, dopo che per oltre dieci anni erano secretate. Dentro ci sono le principali tratte autostradali che attraversano l’Italia, da Nord a Sud, e anche l’A10 Genova-Savona, lungo la quale sorgeva il ponte Morandi.
La Convenzione indica quali sono i doveri del concedente e del concessionario, gli interventi previsti e le procedure per il calcolo delle tariffe. Tutto per un periodo temporale consistente: fino al 2038, poi prorogato con l’ok di Bruxelles al 2042.
Una data che la dice lunga sulla fiducia esistente tra le parti.
Leggendo però l’articolo 9 della Convenzione, “Decadenza della concessione”, si capisce come la revoca si inserisce in una serie di passaggi.
Si prevede che la decadenza della concessione venga dichiarata se “perdura” da parte del concessionario, cioè Autostrade per l’Italia, “la grave inadempienza” rispetto agli obblighi previsti che, ristretti a quelli relativi al caso Genova, sono: manutenzione e riparazioni tempestive delle infrastrutture, interventi di adeguamento alla rete.
La decadenza della concessione è quindi legata all’accertamento di una grave inadempienza continua da parte del concessionario (il famoso dolo grave)
Qui si innesta il primo ostacolo per il governo, che dovrà appunto dimostrare se e come Autostrade per l’Italia si sia resa protagonista di questo eventuale comportamento.
Muoversi senza accertamenti della magistratura rende quindi spuntata questa arma.
La società Autostrade si è difesa, fin da ieri, affermando che sul viadotto erano in corso lavori di manutenzione e che era previsto un bando di 20 milioni di euro, con scadenza 30 settembre 2018, per il rifacimento strutturale del ponte.
Autostrade oggi afferma che è stato svolto un monitoraggio trimestrale “secondo le prescrizioni di legge” e verifiche aggiuntive realizzate con apparecchiature “altamente specialistiche”.
Altra complicazione è la natura della previsione dell’articolo 9, che parla di un intervento dello Stato una volta constatato “il perdurare dell’inadempimento degli obblighi da parte del concessionario”.
Prima c’è la contestazione allo stesso concessionario e la diffida ad adempiere agli obblighi entro 90 giorni.
In caso di non ottemperanza alla diffida, si danno altri 60 giorni aggiuntivi per adeguarsi.
Solo al termine di questo iter il ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, insieme al Tesoro, può emanare il decreto per la decadenza della concessione.
Questi passaggi, tuttavia, appaiono anacronistici e quindi inapplicabili rispetto a quello che è accaduto a Genova, dato che il ponte è crollato e adempiere ora agli obblighi di manutenzione è operazione ovviamente superata dai fatti.
C’è poi la questione della penale che lo Stato dovrebbe pagare in caso di revoca della concessione: il contratto dispone con una formula molto complessa che Anas paghi Autostrade per l’Italia un indennizzo parametrato agli utili previsti fino alla fine della concessione.
Considerato che nell’ultimo anno gli utili di Autostrade per l’Italia sono stati pari quasi a un miliardo di euro, 968 milioni, e che la concessione scade nel 2042, l’indennizzo sarebbe intorno ai 20 miliardi di euro.
Nella concessione si legge che l’importo venga definito tramite un accordo tra le parti e in assenza di conciliazione, e solo dopo tre mesi, la controversia finisca davanti al Tribunale civile di Roma.
C’è poi il capitolo sanzioni. L’allegato N alla Convenzione, che disciplina questo aspetto, non è pubblico, ma c’è un riferimento alla procedura sanzionatoria prevista dalla legge 286/2006.
In particolare le sanzioni amministrative pecuniarie possono essere non inferiori a 25 mila euro e non superiori a 150 milioni di euro, “in caso di inadempimento agli obblighi convenzionali o a propri provvedimenti o in caso di mancata ottemperanza, da parte dei concessionari, alle richieste di informazioni o a quelle connesse all’effettuazione dei controlli, ovvero nel caso in cui le informazioni e i documenti non risultino veritieri”.
È qui che si trova la cifra di 150 milioni di euro indicata da Danilo Toninelli.
Anche in relazione alla multa, il percorso immaginato dal Governo risulta alquanto impervio perchè appunto legato all’accertamento dell’inadempimento degli obblighi previsti dalla Convenzione.
Si ritorna, quindi, alla stessa questione della revoca della concessione. Autostrade per l’Italia ha adempiuto o meno agli obblighi previsti? In caso di mancata ottemperanza come è possibile dimostrarlo?
Autostrade per l’Italia rende noto che negli ultimi cinque anni (2012-2017) gli investimenti in sicurezza, manutenzione e potenziamento della rete sono stati superiori a 1 miliardo di euro l’anno.
Nè tantomeno la stessa società è disposta ad accettare il ragionamento che il crollo del ponte poteva essere previsto.
Stefano Marigliani, direttore del Tronco di Genova, lo spiega chiaramente a Huffpost: “Per noi quello che è successo è stato del tutto inaspettato: è un fenomeno che si sta ricercando e quello che stiamo ipotizzando in queste ore è un comportamento della struttura non previsto dalla fase progettuale e non ipotizzabile da identificare nell’attività di sorveglianza”.
(da “Huffingtonpost”)
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