LA STRADA DI MACRON PASSA PER IL CENTRO
AD APRILE LE PRESIDENZIALI IN FRANCIA
Le elezioni per il prossimo presidente della Repubblica francese si terranno fra poco più di quattro mesi, nell’aprile 2022. Si tratta di consultazioni che si svolgono ogni lustro, dopo la riforma del 2000 che ha ridotto da sette a cinque anni la durata del mandato (rinnovabile una sola volta in modo consecutivo).
Come noto, tali elezioni si svolgeranno a suffragio universale diretto, con il sistema del doppio turno; andranno dunque al ballottaggio i due candidati che otterranno i due migliori risultati al primo turno.
Nella storia contemporanea francese, al secondo turno si è assistito quasi sempre a uno scontro tra destra e sinistra, non senza eccezioni però: nel 2002, al ballottaggio la sfida è stata tra destra ed estrema destra (Jacques Chirac vs. Jean-Marie Le Pen), nel 2017 tra centro ed estrema destra (Emmanuel Macron vs. Marine Le Pen).
Le elezioni presidenziali saranno seguite a giugno dalle elezioni politiche, il che produce generalmente un effetto di “trascinamento” dal voto dell’Eliseo su quello per l’Assemblea Nazionale, con il vincitore delle presidenziali che ha ottime probabilità di ottenere una maggioranza dei seggi parlamentari. La riforma del 2000 ha dunque diminuito la possibilità della cosiddetta “coabitazione” tra un presidente di un colore politico e una maggioranza parlamentare di un altro colore politico, e questo ha avuto due conseguenze sistemiche.
In primo luogo, ha sminuito il ruolo del Primo ministro a favore di quello del Presidente che tradizionalmente si occupava di definire un indirizzo politico generale e poi teneva per sé solo la gestione della politica estera e di difesa, mentre oggi spazia anche su economia e sociale (si parla perciò di “iper-Presidente”). In secondo luogo, il venire meno delle coabitazioni ha privato il “ciclo politico” francese di congiunture particolari che tradizionalmente sono state un periodo di cambiamenti anche radicali (dalla legge sul controllo dei prezzi nel 1986 sotto la Presidenza Chirac a quella sulle 35 ore settimanali di lavoro sotto la Presidenza Jospin nel 1997, per fare due esempi), visto che in simili congiunture entrambe le parti politiche potevano condividere in qualche modo – sfumandole o accentuandole a seconda della convenienza del momento – le responsabilità riformatrici.
Nel 2022, però, si potrebbe avere un nuovo tipo di “coabitazione”, con un vincitore alle Presidenziali non in grado di “trascinare” una maggioranza all’Assemblea nazionale solamente con il proprio partito, il che potrebbe poi portare a un governo con una “coabitazione parlamentare”, formula originale per la Francia.
I vantaggi della (ri)candidatura di Emmanuel Macron
Nella corsa per la Presidenza, dal 2000 a oggi, gli elettori francesi non sono mai stati teneri con gli uscenti, eccezion fatta per Chirac, rieletto al secondo turno nel 2002 ma contro l’iper-polarizzante di Jean-Marie Le Pen. Nel 2017 il socialista François Hollande, vista la sua enorme impopolarità, nemmeno si è ricandidato. Nel 2012 il gollista Nicolas Sarkozy non è riuscito a farsi rieleggere. Emmanuel Macron, che con ogni probabilità si ripresenterà al giudizio degli elettori, ha chance ben maggiori. Vediamo perché.
Pur al centro di varie crisi e di alcuni scandali, l’attuale presidente gode di un elevato livello di popolarità a pochi mesi dalle elezioni. Macron sta uscendo relativamente bene, per esempio, dalla crisi del Covid-19. Dopo i problemi iniziali del 2020, quando la Francia è stata colta impreparata, la gestione della politica anti-pandemia è stata accorta e attentamente comunicata al pubblico. Gli interventi televisivi di Macron hanno sancito il suo ruolo di punta nello spiegare e definire le varie tappe della gestione della pandemia. Egli è così diventato anche il simbolo del partito della fiducia nella scienza, oltre che di un certo ordine repubblicano quando ha chiaramente definito gli obblighi relativi al “passaporto vaccinale” (equivalente del “green pass” italiano). Macron rassicura chi in Francia desidera un Capo dello Stato fonte d’“ordine”, assecondando in qualche modo la tendenza bonapartista ancorata sia a destra che a sinistra. Di fronte a ciò, non sembra riuscita invece la saldatura tra Gilet Gialli e movimenti No Vax.
A proposito dei Gilet Gialli, Macron ha saputo gestire la loro protesta che nel 2018 sembrava addirittura in grado di destabilizzare l’assetto del potere. Ha preso misure che hanno contribuito a sgonfiare la bolla favorevole alle proteste, per esempio le assemblee con sindaci e gli eletti locali nel 2019. Proprio quest’ultima mossa ha spinto il presidente a tornare sul territorio per una sorta di campagna elettorale di “mid-term” che gli consentisse di recuperare il polso del Paese. Inoltre la nomina di Jean Castex come Primo ministro nel 2020 gli ha permesso di mettere in primo piano un alto dirigente dello Stato che era anche sindaco di una cittadina della Catalogna francese, un modo per incarnare un governo meno parigino e più vicino ai territori. Dal punto di vista dell’etica personale e di governo, infine, il “caso Benalla” ha comportato la condanna di un ex stretto collaboratore di Macron, mentre il Presidente ne è uscito formalmente intonso.
Per valutare le probabilità di rielezione dell’attuale Presidente, analizziamo ora il resto del panorama politico. Alla sinistra di Macron abbiamo una situazione estremamente frammentata. La sindaca di Parigi, Anne Hidalgo, è stata investita del ruolo di candidata per il Partito Socialista, ma quest’ultimo – che nei sondaggi ha meno del 10% dei consensi – non appare capace di esercitare la sua egemonia sulla sinistra, come avvenuto invece in passato dai tempi di Mitterrand a quelli di Hollande. I Verdi hanno designato Yannick Jadot come loro candidato, una figura moderata ma che non sembra comunque in grado di allargare di molto il bacino di consenso degli ecologisti. All’estrema sinistra, la France Insoumise, formazione di Jean-Luc Mélenchon, è a un livello di consensi inferiore a quello delle precedenti presidenziali. Inoltre le forti rivalità fra le varie componenti della sinistra rendono improbabile un accordo già al primo turno, il che esclude in modo quasi aritmetico la presenza di un candidato di sinistra al ballottaggio delle presidenziali. Dunque, è a destra che va ricercato il candidato che con maggiori probabilità riuscirà a imporsi al primo turno.
Una mappatura della destra francese e il caso Zemmour
Assistiamo oggi a una vibrante competizione per accaparrarsi un bacino di elettori che si troverebbe alla destra di Emmanuel Macron, un serbatoio di voti nettamente superiore a quello della sinistra. Marine Le Pen è ancora in campo, come nel 2017, e con una notevole forza, e il suo Front National nel 2018 si è evoluto in Rasseblement National. La novità però è rappresentata dalle candidature di Éric Zemmour, ufficializzata lo scorso 30 novembre alla testa del neonato movimento Reconquête, e di Valérie Pécresse che lo scorso 4 dicembre ha vinto le primarie dei Républicains, partito erede della tradizione gollista. Questi tre candidati sono tutti attorno al 15% nei sondaggi attuali e, nell’assenza di un candidato unitario della sinistra, è tra loro che verrà scelto lo sfidante di Macron al secondo turno.
Partiamo da Zemmour, la cui candidatura ha suscitato un notevole interesse mediatico anche per la novità che essa rappresenta. Zemmour sembra giocare una carta neo-populista, rivisitando in chiave moderna vecchi temi cari all’estrema destra francese (la sua critica dell’anti-razzismo, per esempio, gli consente di flirtare con il razzismo anti-islamico e con la xenofobia). Vi sono però almeno tre differenze di un certo rilievo con l’altra candidata dell’estrema destra, Marine Le Pen:
1) Zemmour innanzitutto è un intellettuale molto colto e non un politico vecchio stile.
2) Egli inoltre è un “animale mediatico”, a differenza della leader del Rassemblement National che nel 2017 uscì definitivamente sconfitta proprio dal confronto televisivo con Macron. Saggista e opinionista di destra, a lungo giornalista per il quotidiano Le Figaro, Zemmour ha iniziato a fare campagna elettorale senza dichiararsi ufficialmente candidato, sfruttando una significativa esposizione mediatica, con i canali di informazione sempre pronti a dare visibilità alle sue idee e provocazioni.
3) La candidatura di Zemmour si caratterizza per alcuni elementi di rinnovamento e trasversalità dell’offerta politica. Le Pen, nell’immaginario di molti, sconta ancora la sconfitta alle precedenti elezioni presidenziali, così come alle recenti elezioni locali. Zemmour, anche per la mancanza di un legame diretto con la vecchia guardia dell’antico Front National, sembrerebbe maggiormente in grado di fare appello a un più vasto elettorato conservatore. Alcunti tra i Républicains, in particolare quanti alle scorse elezioni avevano appoggiato François Fillon, potrebbero essere sedotti dal discorso nazional-identitario del polemista di destra.
Detto ciò, non mancano i potenziali punti deboli del candidato Zemmour. Quest’ultimo ha potuto arroccarsi a lungo nella posizione vantaggiosa di chi esercita un diritto di critica a 360 gradi. Soltanto ora che la sua discesa in campo è stata ufficializzata si dovrà confrontare con la stesura di un programma elettorale e con proposizioni necessariamente più realistiche. Inoltre il suo discorso identitario non disdegna operazioni di revisionismo storico, quasi una forma di “apostasia” nella “Francia eterna” che normalmente rigetta le espressioni di critica riguardo certi episodi del suo passato.
Quanto a Valérie Pécresse, il suo successo alle primarie dei Républicains aggiunge entropia e competitività allo schieramento di destra. Pécresse ha un profilo classico, quello di una tecnocrate conservatrice cresciuta politicamente sotto Chirac e Sarkozy; può vantare il suo operato come presidente dell’Île-de-France, la regione di gran lunga più importante del Paese.
Allo stesso tempo va rilevato come già nell’ambito di queste primarie ci sia stata una sorpresa: il candidato di Nizza Eric Ciotti è riuscito ad aggregare consensi sufficienti per raggiungere il ballottaggio nella competizione interna, dimostrando la popolarità tra i Républicains di un discorso duro, su temi molto vicini a quelli di Zemmour (che tra l’altro lo chiama pubblicamente “mon ami”). Il buon risultato di Ciotti costituisce per Pécresse sia una criticità, visto che la candidata dovrà trovare il modo per dare spazio alle istanze rappresentate dallo sfidante interno, sia una opportunità, considerato che proprio un ancoraggio conservatore potrebbe aiutarla a mantenere unite le varie anime del partito e a limitare l’attrazione esercitata da Zemmour.
D’altro canto, guai a dare Marine Le Pen per spacciata. Le Pen non solo rappresenta la continuità di un partito che ha saputo sfidare Macron alle ultime presidenziali, ma è anche un riferimento per un elettorato in cui il rispetto per il capo e la fedeltà sono considerati dei valori. In definitiva, l’esito della competizione alla destra di Macron è nient’affatto scontato.
Identità laica ed energia nucleare: una strategia politicamente trasversale
Da quanto detto finora sull’attuale situazione, e pur ricordando come questa sia suscettibile di cambiamenti radicali nei prossimi mesi, Macron sembra trovarsi nel complesso in una posizione piuttosto privilegiata per affrontare la campagna elettorale. Complice l’appiattimento di due sfidanti competitivi (Zemmour e Le Pen) verso l’estrema destra, il presidente uscente può in sostanza consolidare il proprio zoccolo duro di sostenitori e poi fare appello a un’ampia platea di elettori centristi e moderati. Non a caso Macron sembra aver già puntato su alcuni temi politicamente trasversali. Intende identificarsi, prima di tutto, con una gestione realistica della pandemia, tentando di bilanciare tutela della salute e dell’economia, anche a costo di un robusto sforzo fiscale. Un realismo apprezzato trasversalmente anche quando di recente Macron ha annunciato il rilancio della produzione di energia nucleare per limitare le emissioni di CO2, tema che raccoglie consensi tanto a destra quanto nella parte più industrialista della sinistra.
Infine c’è il fronte identitario: Macron desidera incarnare un discorso di identità politica e storica laica, che oscilla fra la rivendicazione dell’insieme delle figure nazionali del passato e la rivisitazione da parte dello Stato francese del proprio ruolo in alcuni passaggi storici (dalla richiesta di perdono per il massacro dei manifestanti algerini a Parigi nel 1961 all’ipotesi di una nomina postuma a Generale per l’ufficiale ebreo Dreyfus).
In altre parole, Macron sta tentando una sintesi tra la ferma opposizione alla “cancel culture” di matrice anglosassone che si fa strada in alcune componenti della società francese e il ripudio di letture conservatrici intransigenti, sovraniste o integraliste islamiche che siano. Sì all’enfasi sull’identità francese, dunque, ma su una identità laica e aperta.
La strategia di Macron, che si rivolge dunque all’elettorato centrista, dovrebbe essere quella più vantaggiosa anche per contrastare la candidatura di Pécresse. Quest’ultima, in linea teorica, sarebbe infatti la sfidante della destra con la maggiore capacità di allargare il bacino dei propri consensi al secondo turno. Tuttavia, a causa della dinamica descritta prima nei Républicains e in generale nel campo della destra francese, Pécresse al secondo turno si troverebbe di fronte al dilemma se aprire alla destra radicale, un passo difficile in nome della coerenza gollista e chirachiana, o alla sinistra, un passo altrettanto complicato alla luce delle divergenze sulla visione economica e sociale del Paese.
La candidata dei Républicains infatti riprende il filone “liberale” che fu incarnato da Sarkozy, operazione tanto più rischiosa in un contesto pandemico ed economico in cui il bisogno di protezione, anche da parte dello Stato, è espresso da settori trasversali della società. Pécresse, sempre nell’ipotesi arrivasse a sfidare il Presidente uscente al secondo turno, potrebbe invece avvantaggiarsi – in quanto candidata moderata – di una minore mobilitazione dell’elettorato di sinistra in chiave repubblicana e anti-estrema destra, mobilitazione che finora ha sempre giocato a favore di Macron.
Jean Pierre Darnis
Docente Luiss e Università Costa Azzurra
(da Huffingtonpost)
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