LA UE NON SI FIDA PIU’: A MARZO RENZI RISCHIA
DEFICIT, I NUMERI DI RENZI NON CONVINCONO PIÙ L’EUROPA…SCONTRO TRA GOVERNO ED EUROGRUPPO SULLA LEGGE DI STABILITà€
La guerra dello zero virgola è ripartita ufficialmente nel weekend con l’intervista di Angela Merkel al giornale conservatore Die Welt di domenica.
S’intende con “guerra dello zero virgola” quella attorno ai conti pubblici di Italia e Francia, che hanno deciso unilateralmente di rallentare il percorso verso il pareggio di bilancio.
Come vedremo la questione tecnica — la correzione del deficit strutturale italiano — è tanto confusa quanto ispirata a un gusto per le minuzie tutto bruxellese, ma resta un dato che è in primo luogo politico: il capitale accumulato da Matteo Renzi in virtù del suo essere “nuovo” e della clamorosa vittoria elettorale alle Europee si sta rapidamente esaurendo. Va, si potrebbe dire, di pari passo col consumarsi del semestre di presidenza italiana del Consiglio europeo, esperienza che — come prevedibile — definire irrilevante è persino eufemistico.
Risultato: l’Italia potrebbe essere costretta a una manovra correttiva in primavera oscillante tra i tre e i sei miliardi.
Rricapitoliamo i fatti.
“La Commissione ha ribadito che quanto presentato sul tavolo finora non è sufficiente e io condivido”, aveva detto la Cancelliera. Sebbene poi ieri il governo tedesco — e lo stesso portavoce della Merkel — avessero attenuato la portata delle critiche ai conti pubblici italiani, il messaggio è stato recepito e portato avanti nella sua sede naturale, vale a dire la riunione dell’Eurogruppo, il coordinamento dei ministri economici dell’Eurozona: lì, al tradizionale fronte del rigore nordeuropeo, s’è sommato lo scontento dei paesi che in questi anni hanno subito le cure della Troika (Grecia, Portogallo, Irlanda), che non gradiscono ovviamente il trattamento di favore concesso alle economie più grandi.
Ne è venuto fuori un confuso comunicato, seguito da una ancor più confusa conferenza stampa di Jeroen Dijsselbloem, presidente dell’Eurogruppo.
Il primo: “Prendiamo atto che in base alle ultime valutazioni della Commissione, lo sforzo strutturale italiano (sul deficit, ndr) nel 2015 sarà di 0,1%, mentre nel braccio preventivo del Patto è richiesto lo 0,5%”, quindi per l’Italia “su questa base servono misure efficaci per migliorare lo sforzo”.
Sembra una bocciatura, ma non lo è, perchè poi si dice che l’Eurogruppo “accoglie con favore” gli impegni italiani su privatizzazioni , extra-gettito e altre cosette. Dijsselbloem, poi, ha fatto una capolavoro: è partito anche lui dai numeri magici (0,1 anzichè 0,5%) per poi scandire che “le opzioni a disposizione sono poche: o misure più efficaci o nuove misure o accordi con la Commissione su alcune misure”.
Parole dure, dopo le quali si scopre però che questa terza possibilità è che c’è il problema di capire davvero quant’è la correzione dell’Italia: “È possibile che la Commissione, sulla base di valutazioni future, stabilisca che quello 0,1% sia in realtà uno 0,2%”.
Per capire quanto sia ingarbugliato e insensato il dibattito, basti dire che tutto questo è stato già oggetto di uno scambio di lettere tra Italia e Commissione Ue a fine ottobre: ne è scaturito un emendamento del governo alla legge di Stabilità che ha portato la correzione strutturale del deficit allo 0,3%.
Insomma, il segnale che l’Eurogruppo invia a Roma è innanzitutto politico. Per questo ha ragione il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan quando sottolinea, tramite il suo portavoce, che “nessuna manovra è stata richiesta all’Italia”.
D’altra parte l’eventualità non è nemmeno stata esclusa e, come ha voluto chiarire pubblicamente Jean Claude Juncker, la non bocciatura della manovra italiana è stata “una scelta politica”.
Come tale, dunque, revocabile.
Matteo Renzi— dopo le dure repliche affidate domenica ai sottosegretari Gozi e Delrio (“è il surplus commerciale tedesco che sta mettendo in difficoltà l’Europa”) — s’è tenuto su uno dei suoi classici: “La Ue non è solo un insieme di vincoli e spread, un accordo notarile, ma prima di tutto una comunità ” .
Un po’ poco di fronte a un attacco così scombiccherato come quello partito da Berlino e Bruxelles e probabilmente il segnale che anche a palazzo Chigi hanno capito il messaggio: in primavera — tra la ripresa che non arriva, i downgrade delle agenzie di rating e le critiche delle istituzioni europee — i titoli del debito italiano potrebbero tornare a ballare (e il co-costituente Silvio Berlusconi potrebbe spiegargli quanto questo possa essere pericoloso per chi voglia conservare la poltrona).
Tra qui e marzo si capirà se stiamo tornando al 2011 oppure la crisi europea ha assunto caratteristiche nuove: in ogni caso, il rottamatore ne uscirà ridimensionato.
Marco Palombi
(da “Il Fatto Quotidiano“)
Leave a Reply