L’ACCORDO CON L’ALBANIA CHE NON SI FARA’ MAI
PORTO SICURO, EXTRATERRITORIALITA’, GIURISDIZIONE E RIMPATRI. I GIURISTI: “SIAMO TRA IL FANTAGIURIDICO E LA BOUTADE”
Ha fatto vacillare anche gli esperti di diritto dell’immigrazione più ferrati il neonato protocollo tra Italia e Albania per – Meloni dixit – “la gestione dei flussi migratori”. Perché, allo stato, sono più i dubbi che le certezze. Partiamo da queste ultime: il governo italiano e quello albanese hanno deciso che nel 2024 sorgeranno due strutture per l’accoglienza temporanea dei migranti. Uno sarà una sorta di hotspot, il secondo una struttura – Meloni la definisce “modello Cpr”, il ministro dell’Interno la smentisce dicendo che sarà un hotspot simile a quello appena nato a Pozzallo – gestiti dall’Italia su suolo albanese. Ospiteranno tremila migranti al mese, che volevano raggiungere l’Italia. Quasi 40mila l’anno. Navigando in un mare di interrogativi – lasciati aperti dal governo – proviamo a capire come si realizzerà l’accordo. E che conseguenze avrà. In termini di diritti dei migranti, di decongestione dei flussi e di complicanze burocratiche.
Al momento è stato siglato è un protocollo d’intesa che, però, necessita di alcuni passaggi per avere conseguenze pratiche e giuridiche. Il diritto internazionale – la cronaca bellica di questi giorni ce lo insegna – non è una scienza esatta. Alcuni punti fermi, però, ci sono: un accordo bilaterale tra governi è un trattato internazionale. Deve, dunque, essere autorizzato dalle Camere e ratificato dal Presidente della Repubblica. Lo prevede l’articolo 80 della Costituzione, quando prescrive: “Le Camere autorizzano con legge la ratifica dei trattati internazionali che sono di natura politica, o prevedono arbitrati o regolamenti giudiziari, o importano variazioni del territorio od oneri alle finanze o modificazioni di leggi”. In questo caso, l’accordo è di natura politica e comporta una spesa a carico dell’Italia, perché i due centri da realizzare saranno finanziati e gestiti in toto con risorse italiane. Nel programma di governo di FdI c’era l’idea di questi centri “in Paesi terzi”, ma c’era l’ambizione che a gestirli fosse l’Ue. Siccome Bruxelles non ha intenzione di perseguire questa scivolosissima strada, Roma prova a fare da sola.
Durante le dichiarazioni congiunte con Edi Rama, Meloni ha detto che i due centri dovrebbero essere operativi sin dalla primavera del 2024. Data la necessità del voto delle Camere, i tempi sembrano un po’ stretti. Vedremo se saranno rispettati. Vedremo, soprattutto, se l’accordo non sarà bloccato. “I passaggi parlamentari sono necessari ma non garantiscono uno scrutinio attento. Lo abbiamo visto nel corso della conversione dei decreti varati da questo governo sull’immigrazione”, dice ad HuffPost Maurizio Veglio, dell’avvocato dell’Associazione studi giuridici per l’immigrazione.
Sembra che l’opzione Albania possa essere dedicata solo ai richiedenti asilo che arrivano da Paesi considerati sicuri, come la Tunisia. Non è detto che questi finiscano nella località a confine tra Albania e Montenegro scelta dai due governi a questo scopo, perché le strutture potranno ospitare massimo 3mila persone alla volta. Quando il migrante si imbarca verso l’Italia, può andare incontro a tre destini: il barchino riesce a raggiungere autonomamente le nostre coste, l’imbarcazione viene soccorsa dalle Ong, oppure il soccorso viene operato da una nave di un’istituzione italiana. Ai centri albanesi potrebbero essere destinati solo le persone soccorse da queste ultime.
Ora: le regole del diritto internazionale prescriverebbero che dopo il salvataggio, la nave che ha soccorso i naufraghi debba ricevere l’autorizzazione a entrare nel porto sicuro disponibile più vicino. E l’Albania, a meno che il salvataggio non avvenga a Est, difficilmente è tale. “Complesso immaginare che il porto sicuro più vicino sia quello che dista più ore di navigazione. Si tratta costringere naufraghi, magari traumatizzati, a stare più tempo sulla nave”, osserva ad HuffPost Alberto Pasquero, docente di Diritto internazionale umanitario alla Statale di Milano. Anche per Veglio “è chiaro che il principio venga messo in discussione. Si creerà un problema diverso da quello lamentato dalle Ong (che sostengono che le autorità mandino le loro navi in porti distanti, ndr), perché sistematicamente si sceglierà lo stesso luogo di sbarco”. Benché lontano, viene da aggiungere.
La premier ha chiarito che non seguiranno la procedura ‘albanese’ le donne, i minori e i soggetti deboli. E questo è un secondo discrimine, che segue quello della provenienza da Paesi sicuri. A questo punto, però, si pongono vari temi. Il sottosegretario Giovanbattista Fazzolari ha negato che la procedura possa configurare un respingimento perché “i migranti soccorsi non arriveranno in Italia, saranno portati direttamente in quelle strutture”.
Senza un testo è difficile spingersi al punto di dire che si tratti di una procedura di respingimento. Potrebbe non essere tale, ma non certamente per le motivazioni addotte da Fazzolari, perché le navi italiane sono a tutti gli effetti territorio italiano. Come spiega Pasquero: “Non si può stabilire che, in blocco, un numero di migranti venga portato in Albania. La decisione deve essere su base individuale”. L’osservazione apre la strada a un altro problema: “Quando un migrante sale a bordo della nave italiana – argomenta Veglio – è come se fosse in Italia. A quel punto, in base alle norme internazionali, ha il diritto di ricevere informazioni e di manifestare la volontà di chiedere asilo”. Allora, delle due l’una: o le richieste d’asilo vengono vagliate sulla nave – mentre il natante già fa rotta verso l’Albania? – e allora si è ancora nei confini del diritto, oppure no. Questa seconda opzione, però, dice Veglio, “cozza con il divieto di respingimento”.
Ammettiamo che questo, non banale, problema venga superato, il migrante viene poi portato in Albania. Lì si dovranno svolgere le procedure per stabilire se è titolato a restare in Italia – sì, in Italia, l’Albania presta il suo territorio solo per il tempo che serve per capire se il migrante ha diritto d’asilo o no – oppure deve essere rimpatriata. Si tratta di una procedura che prevede una serie di garanzie. A occuparsene, dice Meloni, sarà l’Italia.
“La giurisdizione all’interno di questi centri sarà italiana”, ha sottolineato più volte Giorgia Meloni. Ma esattamente cosa vuol dire? E soprattutto, è possibile fare una cosa del genere? “Dipende molto da cosa scriveranno nel trattato”, avverte Pasquero. Per Veglio “ci muoviamo in un terreno molto scivoloso ad oggi la giurisdizione italiana all’estero si applica solo alle ambasciate, ai consolati e alle navi battenti bandiera italiana. Pensare che questa regola sia estesa solo sulla base di un accordo lascia perplessi. Non è difficile immaginare che l’Albania acconsenta a delle limitazioni sul suo territorio. Ciò che va al di là dell’immaginabile è come sia possibile che la giurisdizione italiana possa estendersi ai centri in Albania e, soprattutto, limitatamente alle procedure d’asilo. Siamo tra il fantagiuridico e la boutade”.
Questo accordo, aggiunge ad HuffPost Amarilda Lici, avvocata dell’Asgi: “Per l’Italia è una novità: nonostante le tantissime modifiche legislative in materia del diritto dell’immigrazione non si era ancora arrivati a esternalizzare il diritto d’asilo in un altro territorio”.
C’è poi un altro aspetto che non è stato sufficientemente arato, che riguarda il diritto Ue. “Già il fatto che l’Italia intenda stipulare un accordo con un Paese extra Ue pone problematiche nell’ambito dell’applicazione del diritto europeo in materia di diritto d’asilo. Questo, infatti, è limitato agli stati membri aderenti”, dice . “Il principio è stato affermato – fa notare Veglio – proprio ieri da un portavoce della Commissione europea. Proprio ieri ha dichiarato che in materia di asilo si applicano soltanto alle richieste di asilo fatte nel territorio degli Stati membri, non a quelle fatte al di fuori”. Quindi, nonostante la Costituzione italiana rinvii direttamente al diritto Ue, non è scontato che si riesca a trasferire a piccole porzioni di Albania l’applicabilità del diritto europeo. L’unico modo per farlo sarebbe attuare una vera e propria cessione territoriale da parte dell’Albania nei confronti dell’Italia. Per Veglio, però, si tratta solo di un caso di scuola.
“L’intenzione ricorda il modello della Gran Bretagna, che ha stipulato un accordo con il Ruanda: secondo l’intesa, i richiedenti asilo avrebbero dovuto essere mandati nel Paese africano e lì sarebbero state valutate le richieste d’asilo. L’accordo, però, è attualmente sospeso dalla Corte d’appello britannica che ha bocciato il piano del governo”, dice Lici. Come ha fatto notare la Commissione europea, però, l’accordo Roma-Tirana è molto diverso, perché sarà applicata la giurisdizione italiana e non del Paese ‘ospitante’. La Gran Bretagna, invece, aveva lasciato che si applicasse la legislazione del Ruanda.
Grossi nodi riguardano le procedure che si svolgeranno su suolo albanese. Dovranno esserci verosimilmente dei funzionari italiani, ma come farà il migrante a esercitare il diritto di difesa? Avrà degli avvocati disponibili in Albania o dovrà rivolgersi all’Italia. E, ancora, i giudici titolari a vagliare la procedura, dove saranno? In Italia? In Albania? Interrogativi, questi, a cui nessuno riesce a rispondere: “C’è il rischio di violazione dei principi fondamentali della direttiva Ue sulle procedure – argomenta Pasquero – che prevede, tra l’altro, un esame attento delle singole domande d’asilo”. Lici, che ha origini albanesi, ci offre alcuni spunti su come il Paese di Edi Rama potrebbe porsi rispetto all’accordo: “L’Albania è considerata Paese sicuro, ma non è in Ue proprio perché, nonostante sia candidata, ancora non soddisfa i requisiti Ue in alcuni settori. Non ha problematiche evidenti, è vero, ma è un Paese dal quale ancora si emigra. “C’è poi un aspetto che riguarda i numeri: “Tremila migranti da ospitare al mese per l’Italia non sono tantissimi. Anzi, l’accordo riguarda una minima parte del totale degli arrivi. Per l’Albania che è un Paese piccolo, questi numeri hanno, però, una rilevanza diversa. Peraltro è stata fatta una scelta particolare: quella del Nord del Paese, che ha centri piccoli, e non è particolarmente sviluppato da un punto di vista delle infrastrutture. Non sottovalutarei i risvolti sociali e politici di questa scelta”
In questo nebuloso viaggio denso di nodi giuridici, siamo arrivati alla fase finale. Entro 28 giorni, in teoria, le autorità italiane dovrebbero essere in grado di decidere se il migrante è titolato ad avere l’asilo o no. Se ha i titoli, sarà accolto in Italia – ricordiamo che resta invariato il trattato di Dublino – e se invece non ne ha? Deve essere rimpatriato. Vasto programma, dal momento che se c’è una cosa che non funziona sono i rimpatri, in quanto è complesso stipulare accordi con i Paesi di origine dei migranti. Rama ha preso in considerazione l’eventuale fallimento dei rimpatri e la sua risposta è stata, in sostanza, “se non li rimandate in patria, ve li portate in Italia”. Viene da chiedersi, dunque, fino a che punto questo accordo – se mai entrerà in vigore – porterà un aiuto concreto nella gestione italiana del fenomeno migratorio. “La verità – chiosa Veglio, che considera questo un attacco al diritto d’asilo – è che questo protocollo non dissuaderà le partenze. Nessuno sarà dissuaso dal partire pensando al ‘rischio’ di essere portato in Albania”.
(da Huffingtonpost)
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