L’IDEA DEL BLITZ SU FRANCESCO SAVERIO MARINI NON POTEVA CHE ESSERE DI FAZZOLARI: IL BRACCIO DESTRO DELLA MELONI HA TIRATO PER LA GIACCHETTA ANCHE IL QUIRINALE, FACENDO INCAZZARE MANTOVANO
LA DUCETTA INSISTE CON IL VOTO A OLTRANZA SU MARINI. SPERA CHE IL MURO DELL’AVENTINO SI SGRETOLI: CALENDA GIÀ APRE, CONTE POTREBBE “INCIUCIARE” IN CAMBIO DEL TG3
Ad imporre il blitz è stato il sottosegretario Giovanbattista Fazzolari. Il quale, si apprende, non avrebbe ascoltato i dubbi espressi dal suo omologo, Alfredo Mantovano, che avrebbe invece sconsigliato di insistere senza un accordo con le opposizioni e suggerito di costruire semmai un pacchetto di nomi condiviso prima di approdare in Aula.
Il sottosegretario con delega ai Servizi, va ricordato, non è uno qualsiasi: garantisce il dialogo con il Quirinale (ha sostituito proprio Fazzolari in questo ruolo). Ed è l’unico titolato a riportare i dubbi del Colle. Il giorno dopo la sconfitta parlamentare esplode dunque un aspro conflitto sotterraneo tra i due big, con Lega e Forza Italia schierati con Mantovano e contro lo strapotere di Fazzolari. Il quale tiene il punto. Rivendica la strategia con i cronisti. E sembra ignorare il senso delle perplessità che circolano nelle istituzioni sulla possibilità che per la prima volta il consulente di un governo in carica diventi giudice costituzionale. Seguito magari da un viceministro, il forzista Francesco Paolo Sisto.
Teme di mostrarsi debole, Giorgia Meloni. Specie ora che le opposizioni sono riuscite a respingere il blitz in Aula con cui pensava di far eleggere alla Corte costituzionale il suo fidato consigliere giuridico Francesco Saverio Marini. E allora detta ai suoi la linea dell’intransigenza: nessun dialogo con il centrosinistra. Anzi, l’ordine è di insistere a testa bassa sul nome di Marini, alzando il ritmo delle future votazioni in Parlamento, mentre i suoi fedelissimi continuano a evocare il Quirinale.
Il prossimo tentativo in Aula si farà tra il 15 e il 16 ottobre. Poi, se possibile, la premier vorrebbe proseguire con una votazione a settimana per quasi un mese. Un assedio lanciato al centrosinistra nella speranza di logorarne la compattezza. «Noi convocheremo i nostri parlamentari. Le opposizioni bocceranno, faranno quello che vorranno, ma noi andremo avanti», fa sapere, petto in fuori, il sottosegretario a Palazzo Chigi Giovanbattista Fazzolari uscendo dal Senato.
«Non aver consentito ai parlamentari di entrare in Aula per eleggere il giudice della Corte costituzionale – prosegue il braccio destro della premier – è una mancanza di rispetto nei confronti del Quirinale».
Ma questo è un approccio, più che una strategia, che non tutti avrebbero condiviso nei corridoi di Palazzo Chigi. Corre voce che il sottosegretario Alfredo Mantovano sia attento, sopra ogni cosa, a evitare di tirare per la giacchetta il Capo dello Stato.
Ripetere ogni giorno che l’Aventino voluto dal Pd è uno «sgarbo» al Quirinale, infatti, assomiglia troppo a un uso strumentale e politico delle parole di Sergio Mattarella, quando nel luglio scorso invitava tutto il Parlamento, e non una sola parte, a eleggere rapidamente il giudice vacante della Consulta. Utilizzato invece da FdI come un ombrello sotto cui ripararsi dalla figuraccia fatta in Aula martedì. E Mantovano, che da Palazzo Chigi ha particolare cura dei rapporti con il Colle, non avrebbe apprezzato.
Il confronto con almeno una parte delle opposizioni sulla scelta dei giudici della Consulta, poi, è implicitamente previsto dalla Costituzione, che prevede per l’elezione non una maggioranza semplice ma dei tre quinti del Parlamento, riunito in seduta comune. Neanche Forza Italia e Lega sono entusiaste del piano di Melon: vorrebbero evitare altri flop e aprire un confronto con le opposizioni.
Le idee di Fazzolari sembrano piuttosto diverse. Prima tira in ballo il Colle e poi continua ad attaccare il centrosinistra: «È grave impedire ai parlamentari di votare». Ancora: «Credo che dall’altra parte abbiano perso il senso istituzionale anche nella forma». Arriva persino a schernirli: «Lunga vita a questa opposizione! Finché c’è, temo che gli italiani ci diranno: “Per favore rimanete lì”».
E Meloni ha sposato la linea Fazzolari. Non vuole cedere su Marini e lo ha personalmente rassicurato dopo lo scivolone in Aula. Insiste, nonostante sia una candidatura che rischia di subire l’agguato dei franchi tiratori. Oltre alla freddezza mostrata dalla Lega, infatti, dentro FI e FdI c’è chi – come sempre accade – avrebbe puntato le sue fiches su un altro nome e potrebbe far mancare il suo voto.
Anche per questo, la premier aspetta che si sgretoli il fronte dell’Aventino, dove si sono ritrovati uniti Pd, M5S, Avs e centristi. Solo dopo averlo indebolito si siederà al tavolo delle trattative. D’altronde, oggi sarebbe in una posizione debole, con la ferita ancora fresca della sconfitta in Aula. Attenderà, dunque. Provando però a non arrivare oltre il 12 novembre, quando la Corte dovrà giudicare la costituzionalità della legge sull’Autonomia.
La finestra successiva si aprirà a dicembre, quando dovrà trattare su un pacchetto di nomi, compresi quelli di Lega e di Forza Italia (che ha già in mente di candidare il viceministro Francesco Paolo Sisto. E in seconda battuta, resta viva l’opzione del senatore Pierantonio Zanettin).
Meloni non deve aspettare a lungo. Il primo aiuto arriva dal leader di Azione, Carlo Calenda: «Le opposizioni la devono piantare di fare l’Aventino. Noi la finiremo perché così non si va avanti». E apre anche sul nome di Marini: «Non è un pericoloso fascista», dice.
È il primo mattone del muro che cade, ma alla premier non bastano i voti di Azione. Ma il campo largo è ormai intossicato dai veleni. I Cinque stelle continuano a essere al centro dei sospetti degli alleati per un accordo segreto che avrebbero stretto con FdI in cambio della direzione del Tg3. Si aggiungono poi, in queste ore, velenosi dubbi su un patto tra Meloni e Calenda
(da La Repubblica)
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