L’ITALIA FA LA “VOCE GROSSA” IN EUROPA È L’UNICO RISULTATO CHE OTTIENE E RESTARE ISOLATA: IL MINISTRO DELL’ECONOMIA, GIANCARLO GIORGETTI, SI DICE INSODDISFATTO DEI NEGOZIATI PER LA RIFORMA DEL PATTO DI STABILITÀ
GLI ALTRI MINISTRI UE SONO STUPEFATTI: DURANTE LA RIUNIONE DELL’ECOFIN IL SEMOLINO DELLA LEGA NON HA PROFERITO PAROLA
«Non si capisce più cosa voglia l’Italia». Quando finisce la riunione dell’Ecofin che per la prima volta apre concretamente la strada alla riforma del Patto di Stabilità, i principali partner europei – a partire da Francia e Germania – restano sbalorditi dalle minacce di Roma di porre il veto. Il ritorno alle vecchie regole, infatti, rappresenterebbe un problema soprattutto per il nostro Paese. Il segnale offerto ai mercati finanziari sarebbe disastroso.
La stessa Bce, che sta riducendo gli acquisti dei titoli di Stato, ha spiegato che un mancato accordo provocherebbe conseguenze nei Paesi più esposti. Ossia l’Italia.
Ma lo sconcerto nasce anche da un’altra circostanza: il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, nel corso del vertice non ha detto nulla di quel che ha fatto trapelare ufficiosamente alla stampa italiana. «Grazie alla Spagna – sono state al contrario le sue parole – per il lavoro compiuto al fine di arrivare ad un’intesa. È un bel passo avanti».
La contraddizione tra il “dentro e fuori”, dunque, ha reso incomprensibile la linea italiana. E ha di fatto sospinto il nostro Paese nell’angolo dell’isolamento. L’esecutivo di centrodestra avrebbe dovuto saldare un’alleanza almeno con l’Eliseo e Madrid. Ma non ne è stato capace. Anzi, l’esito è che la partita della governance economica si ritrova completamente nelle mani di Francia e Germania, i cui due titolari dell’Economia si incontreranno nei prossimi giorni a Berlino. Roma è tagliata fuori.
L’isolamento ha preso plasticamente corpo proprio durante l’Ecofin. Mentre alcuni degli Stati “frugali” come Austria, Finlandia e Ungheria (la sovranista Ungheria) si lamentavano per la mediazione spagnola giudicata troppo morbida, nessuno ha preso le difese del governo Meloni.
Anche perché proprio nei negoziati degli ultimi giorni la Spagna aveva tenuto conto delle indicazioni di Parigi che erano involontariamente allineate alle richieste italiane. Il Tesoro sostanzialmente aveva ottenuto tre benefici importanti: il piano di rientro dal deficit è diluito automaticamente su sette anni e non su quattro per i Paesi che prevedono riforme strutturali nel Pnrr; alcune spese come quelle per la Difesa, i prestiti sempre del Pnrr e i cosiddetti cofinanziamenti avranno un trattamento “agevolato” nel calcolo del deficit (non è un vero proprio scomputo ma quasi); e dopo il percorso del rientro dal deficit, la riduzione del debito – spalmato su almeno quattro anni – sarà “mediamente” dell’1 per cento annuo e quindi sarà elastico (un modo per consentire eventuali campagne elettorali).
Certo in cambio di tutto questo la Francia ha concesso alla Germania una sorta di “salvaguardia” nella riduzione del deficit: ossia anziché scendere sotto il 3 per cento, dovrà essere limato sotto il 2. Una sorta di “cuscinetto” reclamato da Berlino che non si fida di alcuni partner, a cominciare dall’Italia. Ma si tratta comunque di una soglia che il nostro Paese ha quasi sempre rispettato.
La “voce grossa” di Roma, dunque, viene considerata inspiegabile. Così come sono state colte con sorpresa le critiche che informalmente il governo Meloni ha mosso al Commissario italiano agli Affari economici, Paolo Gentiloni. Anzi, i “falchi” accusano l’ex premier italiano di essere troppo accondiscendente con il suo Paese.
Il doppio binario di Giorgetti, quindi, viene letto come un modo per fare propaganda nel perimetro ristretto della politica italiana. E anche per tenere alta la tensione su alcune delle prossime scadenze. In particolare tre. La prima è fissata per il 21 novembre. Quel giorno la Commissione emetterà il suo giudizio sulla legge di Bilancio.
La seconda riguarda proprio il Pnrr. Le prime valutazioni sulla revisione presentata da Palazzo Chigi non sono entusiasmanti. […] Il quadro complessivo non torna. Il nuovo progetto rischia quindi di essere sospeso o rinviato.
§Il terzo nodo è il Mes. Giorgia Meloni non si è ancora decisa al via libera, il nervosismo dei partner sta crescendo. Palazzo Chigi deve insomma decidere: subire la riforma del Patto o promuoverla. Ma se Francia e Germania si metteranno d’accordo, difficilmente qualcuno potrà dire no.
(da La Repubblica)
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