L’ULTIMO SELFIE: E ORA LA LINEA SALVINI FINISCE SOTTO PROCESSO NELLA LEGA
LA GUERRA DI VOTI CON FDI E’ STATA PERSA, A MILANO IN DUE ANNI LA LEGA HA PERSO IL 15%…. “TRA POCO SAREMO IL TERZO PARTITO”
“Matteo, scendi…”. Alle otto della sera Salvini è solo un’ombra che compare e si dissolve dietro la finestra al primo piano della palazzina di via Bellerio. Barricato nella sua stanza con pochi fedelissimi fra cui Andrea Crippa e Fabrizio Cecchetti, il segretario della Lega lascia con il naso all’insù, per ore, una cinquantina di giornalisti e operatori che lo attendono sotto la pioggia per una conferenza stampa che arriverà solo a tarda ora.
Ma nessuna domanda sarà concessa, il tutto si esaurirà in una lunga dichiarazione, che resterà sospesa fra più comode comparsate televisive.
Nulla, più del plumbeo cielo di Milano, racconta meglio questa giornata politica sofferta per il Capitano, concentrato fino a tardi nella lettura dei dati di lista, per capire se la debacle del centrodestra – testimoniata dai deludenti risultati dei candidati sindaci nelle grandi città – non si trasformerà pure in un tracollo del Carroccio, surclassato da Fratelli d’Italia a Roma e superato a Bologna, impegnato a difendersi dal sorpasso a Torino e Milano.
Il primato, a luna già alta, è ancora conteso e curiosamente sia Salvini che Giorgia Meloni lo reclamano. “Siamo primi”, dice lei. “Siamo noi i primi quasi ovunque”, ribatte lui con eccesso di ottimismo.
Anche se ormai, dentro un centrodestra in ripiegamento, sembra tanto la rincorsa di una vittoria di Pirro. Mentre il moderato Maurizio Lupi, senza mezzi termini, chiude la questione parlando di una “scoppola” per la coalizione.
Il concession speech, da parte del leader, arriva finalmente davanti alle telecamere di Porta a Porta: “Abbiamo perso sonoramente, non faccio finta di nulla”. Prima Salvini aveva cercato di dissimulare lo smacco subito soprattutto a Milano, la sua città, dove la Lega ha perso 15 punti percentuali in due anni, parlando d’altro.
Sottolineando la vittoria alle Regionali in Calabria, facendo professione di fede per i ballottaggi (“A Roma e Torino la partita è ancora aperta”), o tracciando un bilancio esteso anche a centri piccoli e piccolissimi: “Nel computo complessivo la Lega oggi ha cinquanta sindaci in più. Ma non fanno titolo sui giornali”.
Salvini non sconfessa i suoi candidati che persino Giancarlo Giorgetti aveva scaricato ma ravvisa l’errore fondamentale nel ritardo con cui, nella coalizione, sono stati scelti i nomi da far correre: “Non possiamo perdere altri mesi di tempo per questioni interne. L’anno prossimo – dice – votano 25 capoluoghi di provincia, città importanti per il centrodestra che ha il dovere di individuare i candidati il prima possibile, entro novembre: civici o politici, poco importa”. La lezione, dunque, è “scegliere presto e insieme. Nessuna scusa, dove si è perso, si è perso per demeriti nostri. Il centrodestra vince dove è unito. Ma deve essere unito sul serio”. E in serata la telefonata a Meloni e al presidente di Forza Italia Silvio Berlusconi, per capire quando rivedersi.
Ma non sarà facile ora ripartire. Anche perché il voto di ieri accentua le distanze. Matteo Salvini, ad esempio, a spoglio in corso, afferma che l’obiettivo da qui al 2023 è quello di vincere le politiche”. Mentre la presidente di Fratelli d’Italia – confortata da un trend di Fdi in crescita – si dice pronta a sostenere Draghi per il Quirinale “pur di tornare alle urne l’anno prossimo”.
Nella sede della Lega trasformata in fortino, il capo del Carroccio esprime ai suoi l’amarezza per il caso Morisi esploso a sei giorni dal voto (“I giornali che spiano dal buco della serratura hanno distolto l’attenzione dalle nostre battaglie”) e batte su una parola, “concretezza”, che a suo parere è la caratteristica che è mancata alla coalizione come al governo, determinando l’astensionismo: “Chiederemo a Draghi maggiori incisività su alcuni temi: taglio delle tasse, sicurezza, giustizia, scuola. Spero di non passare le prossime settimane in Parlamento a discutere di legge elettorale, ddl Zan e ius soli”.
E così finisce, Salvini, per rimarcare altre differenze, tutte interne, con l’ìperdraghiano Giancarlo Giorgetti che due anni fa festeggiava il trionfo alle Europee in via Bellerio e oggi sta ben lontano dalla sede leghista, per incontrare al Mise il governatore della Sassonia, Michael Kretschmer, dirigente della Cdu della quale apprezza – a differenza del Capitano – la collocazione nel Partito popolare europeo.
“Aspettiamo i ballottaggi e poi vediamo se i sondaggi su scala nazionale confermano che siamo ben sotto il 20 per cento. Ho l’impressione che di qui a poco ci troveremo a essere terzo partito”, soffia al telefono uno di quei big che restano ufficialmente in silenzio, che non dicono una parola lasciando il segretario a difendere un risultato modesto.
Nessuno ha intenzione di affondare il colpo, per ora. Ma i più critici sull’operato di Salvini, nell’ala Giorgetti e fra i governatori del Nord, sono pronti a chiedere al leader un cambio di linea. A fargli notare che la trasformazione della Lega in soggetto politico nazionale “stia facendo tragicamente perdere consensi nelle aree di radicamento storico”, per dirla con le parole di un altro notabile.
A questo punto Salvini non può più rinviare il chiarimento. E l’annuncia, pur negando qualsiasi malessere interno: “Per quanto riguarda la Lega, ci troviamo in settimana. Ma siamo assolutamente compatti”, dice in modo sbrigativo. Prima di cimentarsi nell’opera alla quale è meno abituato: la gestione di un rovescio.
(da La Repubblica)
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