MATTARELLA DICE DI NO, NON POTENDO ESCLUDERE IL SI’
SA CHE DI FRONTE A UN’IMPASSE POTREBBE ESSERE COSTRETTO AD ACCETTARE
In più occasioni Sergio Mattarella ha lasciato intendere di non essere disponibile per un secondo mandato presidenziale. Lo ha fatto en passant nel discorso di fine anno con quel “care concittadine e cari concittadini, quello che inizia sarà il mio ultimo anno da presidente della Repubblica”.
Lo ha fatto indirettamente, a inizio febbraio, ricordando Antonio Segni a 130 anni dalla nascita e, in particolare, una proposta che l’ex capo dello Stato avanzò agli inizi degli anni Sessanta. Riguardava, non a caso, l’opportunità di introdurre in Costituzione la non rieleggibilità del capo dello Stato.
Stavolta, parlando ai bambini della scuola elementare Geronimo Stilton di Roma, l’ha messa giù con inequivocabile chiarezza, introducendo un elemento personale: “Il mio è un lavoro impegnativo, ma tra otto mesi il mio incarico termina, potrò riposarmi, sono vecchio”.
Il prossimo 23 luglio Mattarella compirà 80 anni che non è propriamente un’età incompatibile col ruolo. Sandro Pertini, al momento dell’elezione di anni ne aveva 82. Napolitano, alla seconda elezione 88, il che significa che alla prima ne aveva 81.
Più che il riferimento anagrafico, evidentemente vale il senso complessivo del messaggio, in relazione al rumore di sottofondo che si ode nei Palazzi sull’eventualità del suo bis, resistente anche alle insistenti precisazioni.
Anzi, i più maliziosi, avvezzi ad attribuire ai democristiani l’antica arte della simulazione e della dissimulazione, proprio in questa insistenza nel negare, vedono una preparazione ad una eventualità che deve consumare fino in fondo i suoi rituali dell’eccezionalità: l’indisponibilità, gli scatoloni a palazzo Giustiniani, fino alla grande chiamata in assenza di alternative.
La sensazione del cronista è che non ci sono ragioni per dubitare della sincerità di Mattarella.
Già in tempi non sospetti, prima del default politico che ha imposto una situazione di emergenza, ha espresso le sue perplessità sul considerare ordinaria la rielezione di un capo dello Stato perché sette anni sono già un tempo congruo e raddoppiarli significa portare ai vertici delle istituzioni una anomalia politica e in fondo anche costituzionale. Proprio il citato Segni, nel presentare la sua proposta, definiva “il periodo di sette anni sufficiente a garantire una continuità nell’azione dello Stato” e aggiungeva che l’introduzione della ineleggibilità “vale anche ad eliminare qualunque, sia pure ingiusto, sospetto che qualche atto del capo dello Stato sia compiuto al fine di favorirne la rielezione”.
Il che non è certo il caso di Mattarella, ma il punto è proprio questo: quanto la sua permanenza al Quirinale ne altererebbe, nella percezione e nella sostanza, il ruolo? Inevitabilmente, dopo due bis, ogni inquilino del Colle verrebbe percepito come il primo successore di se stesso e, anche involontariamente, i suoi atti durante il settennato potrebbero essere letti sotto questa luce.
E fin qui c’è la dottrina, le buone intenzioni di oggi, la stanchezza di anni pesanti, soprattutto l’ultima legislatura, iniziata con la richiesta di impeachment e le effervescenze populiste, e terminata con un governo del presidente per far fronte alla più drammatica emergenza degli ultimi cinquant’anni.
Poi c’è la situazione concreta. Domanda: si può escludere che, di fronte a una impasse di straordinaria gravità, con i partiti che non riescono a mettersi d’accordo su un nome, l’ennesimo scenario di emergenza nel quale garantire la continuità di un governo di emergenza, l’effervescenza dei mercati, Mattarella sia “costretto” a piegarsi alla ragion di Stato? La risposta è no.
E dunque, le ultime uscite del capo dello Stato, dalla convocazione dei presidenti delle Camere al Colle per sollecitare i partiti a mettere la testa sul Recovery all’appello ad evitare inutili tensioni, raccontano proprio questo: la consapevolezza che, per concedersi un meritato riposo, la precondizione è che il quadro politico sia in sicurezza.
Se altrimenti l’attuale maggioranza affronta la partita del Quirinale in ordine sparso si crea automaticamente un contesto che giustifica l’appello a rimanere contro le sue intenzioni.
Il tema politico è questo: se Draghi, l’unico che può avere un consenso largo in un Parlamento in cui né centrodestra né centrosinistra sono in grado di eleggersi il capo dello Stato da soli, è costretto a rimanere nella sala macchine di palazzo Chigi come garanzia sul Recovery, si può, ed è opportuno, cambiare presidente in una fase emergenziale di governo del presidente senza contraccolpi?
O in fondo c’è una missione comune da portare a termine che al dunque sarà più forte delle inclinazioni soggettive?
(da Huffingtonpost)
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