MATTARELLA FA IL POMPIERE: DAL NO ALL’INCONTRO COL PD ALLE RASSICURAZIONI SUL GOVERNO
LA VICENDA TORRISI E’ CHIUSA… IL PRESIDENTE SPEGNE LE FIAMMATE RENZIANE SULLA CRISI
C’è un motivo se l’incendio si è già spento. E si è passati dalle fiammate del giorno prima, il “così non si va avanti” di Lorenzo Guerini e Matteo Orfini al “sosterremo il governo di oggi”.
Il pompiere, silenzioso e operoso, è sul Colle più alto. E questa, di per sè, non è una gran notizia.
La notizia è che, mercoledì pomeriggio, per la prima volta si è registrato al Quirinale un sincero moto di irritazione e disappunto. È stato quando scomposti propositi incendiari si sono levati dalla selva del Parlamento.
Con i vertici del Pd che chiedevano un colloquio col capo dello Stato, dopo l’elezione di Salvatore Torrisi: “Al Colle, al Colle”, che suonava come un “al voto, al voto”, drammatizzando una vicenda parlamentare che con la tenuta del governo non aveva a che fare nulla.
A ben vedere non solo non è arrivata risposta, ma — col passare delle ore — è stata, di fatto, ritirata da richiesta.
Una fonte molto vicina a Renzi racconta, in modo confidenziale: “Con Mattarella siamo andati a sbattere contro un muro. Ci ha fatto sapere: se mi fate la domanda di un incontro mi costringete a dire pubblicamente di no, quindi ritirate la domanda”. Ecco che, col passare delle ore, il nome del capo dello Stato è scomparso dalle dichiarazioni.
Il perchè, del ragionamento di Mattarella è evidente: il capo dello Stato non si intromette in normali vicende parlamentari, come l’elezione di un senatore di maggioranza alla presidenza della commissione, nè può considerare la sconfitta di un candidato di un partito, o meglio di una mozione, un affare da crisi di governo.
È accaduto che non ha ricevuto i Cinque Stelle che, sempre in relazione a vicende parlamentari urlavano al golpe, è accaduto col Pd, che voleva salire al Colle con lo spirito da cui andò dal notaio per sciogliere il Comune di Roma.
La vicenda ora è chiusa, però dice molto di più. E i parlamentari attorno a Renzi hanno ben chiaro il punto.
Prosegue la fonte che in questi due giorni ha sentito l’ex premier più volte: “La finestra elettorale di giugno ormai è chiusa. Renzi ieri si è gasato pensando di poter costruire l’incidente e andare al voto, ma questa roba non c’è più. Il Colle giugno lo ha chiuso. Il punto è che è già in atto in modo riservato un confronto su ottobre”.
Il confronto ruota attorno al termine “abbinamento”, che sarebbe la coincidenza tra il voto in Italia e il voto in Germania.
L’ex premier è convinto che resti la via maestra perchè approvare, in questo quadro politico e parlamentare, è un’impresa e dunque, in qualche modo, va messa nel conto un po’ di instabilità dei mercati, ma poi la manovra la fa un governo in carica.
E se proprio non è il 24 settembre, ottobre va bene lo stesso. Dalle parti del Colle tutta quest’ansia di tornare alle urne non si percepisce, soprattutto — questo resta il punto — in assenza di un sistema elettorale omogeno e coerente.
Che eviti il rischio che, dalle urne, esca una maggioranza alla Camera e una al Senato, rischio insito nell’utilizzo della legge attuale. Fa notare poi più di un costituzionalista di area Colle che la scadenza naturale della legislatura — febbraio — implica lo scioglimento a dicembre, dunque siamo davvero al mese più, mese meno che rende difficilmente comprensibile la fretta. Non solo.
Un’antica sapienza democristiana suggerirebbe di aspettare l’esito delle elezioni tedesche per vedere che clima europeo si produce e a quel punto affrontare le elezioni nazionali.
Resta comunque, al netto di ragionamenti e valutazioni di buon senso, un punto irrinunciabile, tra una secchiata d’acqua su un fuoco e l’altro. Irrinunciabile istituzionalmente. Occorre una legge elettorale.
Altrimenti non si va al voto, ma al caos. Ed è l’unica discussione che non appassiona il Palazzo, e neanche i suoi inquilini più frettolosi (e incendiari).
(da “Huffingtonpost”)
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