MATTARELLA TEME LO SCONTRO CON UE E MAGISTRATURA: “PUO’ SALTARE IL SISTEMA”
IL QUIRINALE VIGILA E NON ESCLUDE LA BOCCIATURA LA TESTO CHE I SOVRANISTI VOGLIONO VARARE DOMANI
L’appuntamento è fissato per domani, lunedì 21 ottobre, alle 18. A quell’ora Giorgia Meloni riunirà il Consiglio dei ministri ad hoc convocato per dare risposta alla decisione con cui il Tribunale di Roma ha smontato dalle basi il progetto di “delocalizzazione” dei richiedenti asilo in Albania, imponendo al governo di far rientrare subito in Italia i primi 12 migranti spediti oltre Adriatico.
L’obiettivo è chiaro, i mezzi a grandi linee definiti. Ma la strada appare tutt’altro che in discesa. Fin da ieri i retroscena dei giornali indicano lo schema cui i tecnici di Palazzo Chigi starebbero lavorando, sotto la supervisione del fidato sottosegretario Alfredo Mantovano.
L’idea guida è quella di approvare un decreto legge che dia maggior forza a quella lista di Paesi sicuri azzoppata dalle sentenze: quella della Corte di Giustizia Ue prima, quella della giudice di Roma Silvia Albano poi. Non è possibile per i governi degli Stati membri Ue espellere migranti – neppure in caso di diniego della domanda di asilo – in Paesi terzi in cui corrano il rischio anche solo in parte di condanne a morte, torture o trattamenti degradanti, hanno messo in chiaro le due decisioni. «La definizione di Paese sicuro non può spettare alla magistratura, è una valutazione politica pur nei parametri del diritto internazionale», è la posizione del governo riassunta dal Guardasigilli Carlo Nordio stamattina in un’intervista a Repubblica. Specie se ad assumere scelte del genere è quella che la premier Giorgia Meloni non esita in queste ore a definire una parte «politicizzata e ideologicamente prevenuta» della magistratura. Ecco dunque che prende forma il nuovo decreto.
La lista dei Paesi sicuri «a prova di giudici»?
Il punto di partenza è quel decreto interministeriale del 7 maggio 2024 che stabiliva l’elenco dei Paesi di provenienza di migranti che per l’Italia sono sicuri. Il passaggio cruciale da effettuare ora, ragionano a Palazzo Chigi, è quello di elevare quel testo a norma di legge di rango primario, inserendo la lista – debitamente aggiornata – in un decreto legge, appunto. Nella speranza di “schermare” preventivamente ulteriori interventi della magistratura su nuovi provvedimenti di deportazione o espulsione.
Le opzioni tecniche per la verità paiono al momento due: l’inserimento della lista dei 22 Paesi sicuri direttamente nel decreto (opzione “rigida”), oppure in forma di allegato che il ministero degli Esteri avrebbe il compito di aggiornare periodicamente, forse ogni sei mesi (opzione “flessibile”).
Il decreto approderebbe poi in Senato entro una decina di giorni, con l’obiettivo di avviare un iter di conversione spedito. Il problema, come scrive Repubblica, è che non c’è garanzia a priori che lo scudo anti-giudici funzionerà. Nulla garantisce che altri giudici non interverranno comunque per non convalidare trattamenti sui migranti giudicati incompatibili con la sentenza Ue del 4 ottobre.
Il faro del Quirinale e l’ipotesi bocciatura
Per questo prosegue certosino in queste ore il lavorio dei tecnici, così come il filo dei contatti istituzionali. Per questo ma anche per un’altra ragione. E cioè che il Quirinale ha acceso sin da venerdì un faro sulla vicenda.
Sergio Mattarella ufficialmente tace, ma non c’è dubbio che sia assai preoccupato per la piega che sta prendendo il nuovo scontro tra politica e magistratura. Il primo ed essenziale obiettivo dal suo punto di vista, scrive il quirinalista del Corriere Marzio Breda, è quello di scongiurare il rischio di un conflitto istituzionale interno che «potrebbe incrinare persino la tenuta del sistema».
Il rapporto tra potere politico e giudiziario è da ormai 30 anni un punto dolente e vulnerabile dell’assetto istituzionale italiano: guai a metterne alla prova la tenuta. Sul fronte esterno, poi, va evitato a ogni costo – dal punto di vista del Colle – uno scontro a colpi di provvedimenti con l’Ue, alla vigilia tra l’altro dell’audizione di Raffaele Fitto come vicepresidente in pectore della nuova Commissione.
Insomma Mattarella per ora non parla, ma i suoi consiglieri ed uffici sono attivi nei contatti con quelli di Palazzo Chigi perché il decreto in preparazione non sia il preludio a scontri del genere. Il capo dello Stato potrebbe non firmarlo qualora ravvisasse tale rischio? Nessun indizio formale in proposito: vale la regola d’oro del silenzio preventivo cui Mattarella ha abituato da sempre il Paese. Ma non c’è dubbio che al Quirinale monitoreranno con estrema attenzione come il testo sarà scritto e l’iter di conversione in Parlamento.
E in caso di dubbi sul da farsi, il capo dello Stato si riserva una terza via, questa sì, sicura, nota Ugo Magri sulla Stampa: lasciare che sia la Corte costituzionale ad esprimersi, e scrivere la (auspicabile) parola fine su una vicenda politico-giuridica esplosiva.
(da la Stampa )
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