MELONI VUOLE CANDIDARSI ALLE EUROPEE PER USCIRNE PIU’ FORTE
SONDAGGISTA NOTO: “PUO’ PORTARE FDI OLTRE IL 30% SE SI CANDIDA IN TUTTE LE CIRCOSCRIZIONI”… POCHI I MINISTRI IN PISTA, LOLLOBRIGIDA HA AMBIZIONI EUROPEE
L’approccio di Giorgia Meloni alle elezioni europee del 9 giugno è molto determinato, quasi spietato. Nessuna tregua agli avversari. Nulla lasciato al caso. “Dobbiamo vincere, anzi stravincere. Non gareggiare”, ha detto la premier ai suoi canzonando lo spirito olimpico di De Coubertain. L’obiettivo è chiaro: far uscire il suo governo rafforzato, nonostante un anno e mezzo non esattamente brillante, da quelle che negli Stati Uniti chiamano elezioni di midterm. E se per ottenere il risultato basterebbe anche un solo nuovo voto aggiuntivo rispetto al 26% incassato nel 2022, Meloni vuole di più. “Molto di più”. Da qui un’agenda studiata nel dettaglio per prendere la rincorsa elettorale. Con l’intenzione di tagliare, proprio a ridosso del voto europeo, i primi nastri nei campi-migranti promessi in Albania e di incassare i primi “sì” alla riforma del premier eletto dal popolo.
L’obiettivo della leader di Fratelli d’Italia, si diceva, però è “stravincere” il test di metà mandato. Mettere alle spalle il logorio di mesi e mesi a palazzo Chigi fatti di molte grane e pochi risultati. Dare conferma della solidità della sua leadership.
Così, anche per assicurare al suo governo una navigazione tranquilla dopo le elezioni di giugno e dare il primo seguito concreto allo schema plebiscitario insito nell’elezione diretta del premier, Meloni sta valutando il passo successivo: mettere la faccia sulle elezioni europee, candidandosi in tutte e cinque le circoscrizioni elettorali.
La premier è descritta combattuta, non certo però come Elly Schlein. Da una parte Meloni valuta che esiste un unico precedente: soltanto Silvio Berlusconi, nel 2014, si presentò al voto mentre stava a palazzo Chigi e non brillò (16,8%).
Dall’altra, analizza le performance di Matteo Renzi che pur senza candidarsi (sempre nel 2014) portò il suo Pd al 40,8% e quella di Matteo Salvini del 2019. Il leader leghista, allora vicepremier e ministro dell’Interno, fece salire la Lega al 34,3%, salvo poi dissipare il patrimonio a causa delle sbronze (politiche) di mojito al Papeete.
Il Giornale scrive che Meloni deciderà dopo la festa di Atreju in programma dal 14 al 17 dicembre a Roma. Ma la decisione sarebbe già pressoché presa. “Giorgia ha deciso di candidarsi per trainare il partito”, dice un ministro di rango di FdI. “Giorgia per la verità sta ancora riflettendo”, aggiunge un alto esponente di via della Scrofa, “ma alla fine sarà costretta a candidarsi: è l’unica che porta davvero voti”.
Vero? A sentire il sondaggista Antonio Noto non ci sono dubbi. “Meloni è il volto di FdI ed è un aggregatore di consensi”, spiega, “in Italia chi si dichiara di destra è il 10%, ma grazie a lei alle elezioni del 2022 hanno votato FdI il 26% degli elettori”.
Dunque? “Dunque se Meloni si candida può portare FdI ben oltre il 30%. Tanto più che, come dimostrano le esperienze di Renzi e di Salvini, alle elezioni europee c’è un solo partito che fa boom, il botto. E per come vanno i sondaggi”, conclude Noto, “questa volta sarà il partito della premier, forte anche del fatto di guidare il governo”.
Di certo, c’è che Meloni sembra infischiarsene dello stato di salute post elettorale degli alleati. Anzi, appare intenzionata ad asfaltarli per essere ancora più forte e mettere il suo governo a riparo dalle fibrillazioni. “Salvini e Tajani aprono la crisi se vanno male? Balle!”, ridacchia un colonnello di FdI, “queste sono dinamiche antiche di sopravvivenza. Con i numeri che abbiamo in Parlamento non c’è possibilità di un esecutivo tecnico o di una diversa maggioranza senza i nostri voti. Dunque leghisti e forzisti se ne staranno buoni pur di conservare la poltrona. L’alternativa sarebbe sparire subito con le elezioni anticipate…”. Guarda caso il leitmotiv di Meloni è l’ormai famoso… “Non sono ricattabile”.
Nel quartier generale di FdI di via della Scrofa c’è chi sostiene che la candidatura di Meloni in tutte le circoscrizioni elettorali porterebbe con sé la rinuncia a far scendere in lizza i ministri. Ma c’è chi indica la pista di qualche candidatura, come quella di Daniela Santanché, per cambiare quelli meno graditi. Senza infrangere però l’ultima promessa solenne. “Voglio battere un altro record”, ha detto Meloni a Bruno Vespa, “finire la legislatura con lo stesso governo con cui l’ho iniziata”. Promessa fatta non soltanto per fregiarsi di un’altra medaglia, ma perché un rimpasto vero porterebbe alla necessità di aprire una crisi pilotata per il battesimo del Meloni-bis. Passaggio sempre rischioso. “Comunque tranquilli, lo sbarco di Santanché al Parlamento europeo imporrebbe un avvicendamento, non un rimpasto…”, ghigna un deputato di alto livello di FdI, “ma ci sono anche altre strade, come le dimissioni e l’interim nelle mani del premier”.
Si parla di candidatura anche per il cognato d’Italia: Francesco Lollobrigida. Il ministro dell’Agricoltura è indicato come probabile presidente del gruppo dei conservatori, l’Ecr. E per assumere la prestigiosa carica dovrebbe candidarsi a giugno. Percorso non necessario, invece, per chi è dato come probabile prossimo commissario europeo al posto di Paolo Gentiloni. I nomi più accreditati: Adolfo Urso (Imprese e made in Italy), Guido Crosetto (Difesa) e Raffaele Fitto (Pnrr, Affari europei).
(da Huffingtonpost)
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