PD, I RISCHI DI UN DIVORZIO
POTREBBE ESSERE IL TERRENO DELLO SHOWDOWN DECISIVO TRA RENZI E I SUOI OPPOSITORI
La riforma del lavoro non è cosa astrusa come la riforma elettorale o quella costituzionale. È materia viva.
Se c’è una questione su cui la minoranza del Pd potrebbe rompere è questa.
Non si rompe sulle soglie dell’Italicum o sulla elezione diretta o meno dei futuri senatori. Cose incomprensibili ai più.
L’articolo 18 è una questione identitaria. È questo che alza la posta in gioco per la sinistra del partito
Ma non è affatto detto che comunque si arrivi a una scissione.
Intanto, c’è da mettere in conto che per una parte degli attuali oppositori di Renzi l’unità del partito è un valore.
Altri temono che una scissione porti a elezioni anticipate e, quindi, a un futuro politico incerto.
Altri ancora — a ragione — si chiedono se di questi tempi ci sia uno spazio elettorale significativo per un partito di sinistra.
E poi chi guiderebbe il nuovo partito? Dove è il leader capace di prendere voti di questi tempi?
Insomma, una scissione è cosa complicata e rischiosa. Ma potrebbe succedere.
Molto dipenderà da Renzi
Anche le questioni identitarie si prestano a compromessi. E sulla riforma del lavoro se ne possono immaginare diversi sia all’interno dell’articolo 18 che tra l’articolo 18 e altri aspetti della riforma.
Ma per arrivare a un compromesso occorre essere in due. Posto che la minoranza Pd sia disponibile, lo è Renzi?
Un altro modo di porre la questione è chiedersi quale interesse potrebbe avere il premier a spingere fuori dal partito i suoi critici.
Per ragionare su questo occorre fare un po’ di conti
È possibile che nonostante le defezioni il governo riesca a conservare la maggioranza alla Camera, ma è molto difficile che possa farlo al Senato.
Se così fosse, una crisi di governo sarebbe inevitabile. Gli esiti potrebbero essere due: una diversa maggioranza o il voto anticipato.
Ma una diversa maggioranza con chi? Con Berlusconi? È d difficile.
Ma è complicato anche il ricorso al voto.
Tanto per cominciare non si sa se si voterebbe con l’attuale sistema elettorale, quello della Consulta, o con l’Italicum che è in lavorazione.
Più probabile che si voti con il primo che è — ricordiamolo — un proporzionale.
E cosa potrebbe succedere? Il Pd da solo non può arrivare alla maggioranza assoluta dei seggi. Avrebbe bisogno di alleati.
Il Ncd di Alfano però avrebbe un piccolo problema. Alla Camera la soglia di sbarramento per chi va da solo è al 4 per cento.
Il Ncd potrebbe superarla e portare così un pacchetto di seggi al governo con il Pd.
Ma al Senato la soglia è l’8 per cento. Solo per chi si allea diventa il 3 per cento.
E con chi si allea Alfano per avere lo sconto? Con il Pd o con Forza Italia? Difficile che si possa alleare con Forza Italia e poi fare il governo con il Pd.
Ma alleandosi con il Pd quanti voti prenderebbe? E in ogni caso basterebbero i suoi seggi a garantire a Renzi una maggioranza di governo?
È vero che in caso di elezioni anticipate l’offerta politica cambierebbe e quindi potrebbe venir fuori un esito oggi imprevedibile.
Ma il punto è che un sistema elettorale proporzionale, pur con le soglie che ci sono, non può assicurare che dalle urne esca una maggioranza.
Il governo si farebbe dopo il voto. Se il Pd fosse il partito di maggioranza relativa dovrebbe presumibilmente scegliere tra Grillo, sinistra e Berlusconi.
Una prospettiva comunque complicata, anche se Renzi avrebbe il vantaggio di avere un gruppo parlamentare scelto da lui.
Il quadro non cambierebbe molto nemmeno se l’Italicum venisse approvato definitivamente prima di andare alle urne.
Infatti, il nuovo sistema elettorale vale per la Camera ma non per il Senato. Il Senato attuale dovrebbe essere superato.
Ma è del tutto improbabile che la riforma arrivi in porto prima di un eventuale voto anticipato.
Quindi si voterebbe per la Camera con l’Italicum e per il Senato con il Consultellum. Un pasticcio. La differenza con lo scenario precedente è che in questo caso il Pd avrebbe la maggioranza assoluta dei seggi alla Camera, ma l’esito al Senato sarebbe comunque legato alle incognite che abbiamo descritto in precedenza
Fatti i conti, il divorzio tra Renzi e i suoi oppositori interni non conviene nè all’uno nè agli altri.
Ma in politica i conti fatti a tavolino, o sulle pagine dei giornali, non sempre colgono nel segno. Il caso ha sempre un suo peso. E così le passioni.
Alla fine il gioco potrebbe scappare di mano. Per il paese sarebbe un salto nel buio.
Roberto D’Alimonte
(da “Il Sole24ore“)
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