PD, IL PARTITO DELLE DELUSIONI
L’ANALISI DI PANEBIANCO SUL “CORRIERE DELLA SERA”… LA VITTORIA DI PISAPIA A MILANO SEGNA UNA SCONFITTA POLITICA DELLA CLASSE DIRIGENTE DEL PD…COM’E’ POSSIBILE CHE, A FRONTE DEL CALO DI CONSENSI DEL CENTRODESTRA, SI ASSISTA AD UNA FLESSIONE ANCHE DEL PRINCIPALE PARTITO DI OPPOSIZIONE?… SI ANDRA’ A UNO SFARINAMENTO DEL SISTEMA POLITICO ATTUALE
La vittoria di Giuliano Pisapia alle primarie milanesi del centrosinistra contro il candidato del Partito democratico Stefano Boeri rappresenta, come ha scritto sul Corriere di ieri Michele Salvati, una «secca sconfitta politica» per il gruppo dirigente di quel partito.
Una sconfitta che si somma a tante altre batoste, come, a suo tempo, la vittoria di Nichi Vendola in Puglia contro il candidato ufficiale del Pd, la perdita di regioni tradizionalmente governate dalla sinistra, il successo, anche se per ora solo mediatico, della rivolta capeggiata dal sindaco di Firenze Matteo Renzi, e altro ancora.
Se la politica italiana è, come è, alla deriva, se la rottura del Pdl e il possibile declino di Silvio Berlusconi preannunciano una crisi di sistema destinata ad avere ripercussioni ovunque, è difficile pensare che possa cavarsela un partito di opposizione così mal messo come il Partito democratico.
Talmente mal messo da non aver saputo nemmeno approfittare, in questi anni, della crisi economica per rimontare nei sondaggi (che è ciò che normalmente accade in democrazia: i consensi per l’opposizione crescono quando il governo deve fronteggiare una grave crisi).
Così come è fallita l’aggregazione a destra denominata Popolo della libertà sta fallendo l’aggregazione a sinistra denominata Partito democratico.
Quando nacque, il Pd suscitò molte speranze fra coloro che auspicavano un rinnovamento della cultura politica della sinistra.
Ma le speranze andarono deluse.
A poco a poco vennero fuori le magagne: il nuovo contenitore risultò privo di contenuti, più un mezzo per assicurare la sopravvivenza di spezzoni di vecchia classe dirigente che un partito (nonostante, va detto, la serietà degli sforzi iniziali dell’allora segretario Walter Veltroni) dotato di identità e capacità progettuale.
Forse il Pd cominciò a morire quando, nell’inverno 2007-2008, fallirono le trattative tra Veltroni e Berlusconi per una riforma, a vantaggio dei grandi partiti, del sistema elettorale.
Se quelle trattative fossero andate in porto, il Pd sarebbe forse riuscito a mettere in sicurezza, oltre al bipolarismo italiano, anche se stesso. Probabilmente, avrebbe ugualmente perso le elezioni del 2008 ma, almeno, avrebbe monopolizzato l’opposizione e sarebbe stato in gara per giocarsi, con qualche chance di successo, la prova elettorale successiva.
Non andò così.
L’incapacità di elaborare e imporre una sua visione delle cose politiche ne fece un partito nè carne nè pesce, in balia delle pressioni esterne: prima succube dei giustizialisti, poi alla rincorsa dei centristi di Casini, e oggi anche di Fini, domani probabilmente risucchiato (ma, sicuramente, dopo avere perso per strada molti pezzi) dal radicalismo di Vendola e Di Pietro.
Non deve rallegrare il declino del Partito democratico.
Per chi, come chi scrive, è scettico sulle possibilità del cosiddetto «terzo polo», quel declino, insieme alla crisi del centrodestra, preannuncia lo sfarinamento del sistema politico vigente anzichè la sua imminente ricomposizione su nuove basi.
Le crisi di sistema sono lunghe, complesse e imprevedibili.
Quando alla fine si affermeranno nuovi equilibri, difficilmente ne sarà protagonista il Partito democratico con la sua fisionomia di oggi.
Angelo Panebianco
(da “il Corriere della Sera“)
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