PERCHE’ IL GOVERNO MELONI RISCHIA DAVVERO DI FAR PERDERE I SOLDI DEL PNRR ALL’ITALIA
I RITARDI SI ACCUMULANO E LE PROPOSTE DI MODIFICA NON ARRIVERANNO PRIMA DELL’ESTATE
Il Piano nazionale di ripresa e resilienza, o Pnrr, è uno dei punti cruciali su cui il governo di Giorgia Meloni misurerà il successo o l’insuccesso della sua politica economica. Oggi, però, i ritardi stanno emergendo ed è sempre più evidente che alcuni obiettivi non saranno raggiunti in tempo, mettendo a rischio una grossa parte degli oltre 191 miliardi di euro di fondi europei.
Da mesi il governo parla della necessità di “rimodulare” il Pnrr, ma per adesso non è ancora dato sapere come intenda farlo. Luca Dal Poggetto, analista di Openpolis – fondazione indipendente che monitora l’attuazione del Pnrr – ha evidenziato per Fanpage.it i punti più critici: “Fondamentalmente, la situazione è difficile, il tempo stringe e sembra complesso che il Piano venga attuato nella sua forma attuale”.
Il vero problema con la terza rata da 19 miliardi di euro
A dicembre 2022 sono arrivati a scadenza 55 obiettivi, che il governo Meloni ha dichiarato raggiunti. Nel giro di due mesi avrebbe dovuto arrivare l’ok per la terza rata dei fondi, da 19 miliardi di euro, ma la Commissione europea ha deciso di prendersi più tempo per verificare il lavoro fatto dall’Italia. Alcune cose non tornavano.
“Per l’Italia è una novità, con il governo Draghi non era mai accaduto, quindi è certamente un campanello d’allarme”, ha detto Dal Poggetto. Una delle obiezioni mosse dalla Commissione riguardava gli stadi di Firenze e di Venezia: “Però mi riesce difficile pensare che il problema fosse solo questo”.
“Il comunicato in cui veniva annunciata questa cosa è stato diramato esclusivamente da Palazzo Chigi. Non è stata una nota congiunta firmata dalla Commissione europea. Si individuano tre scadenze su cui sono stati mossi dei rilievi”. Le stesse su cui il ministro Fitto ha poi reso conto nella sua informativa al Parlamento. “Ma non è da escludere che queste scadenze con aspetti critici possano essere state anche di più” .
Insomma, “è vero che lo stadio di Firenze sarebbe stato realizzato con fondi dedicati alla rigenerazione urbana, ma non è l’unico caso di questo tipo. Ne abbiamo individuati diversi. Probabilmente la realtà è un po’ più complessa, e rientrano in questo discorso anche ragionamenti di carattere politico, legati al rapporto tra il nuovo governo italiano e l’Ue”.
Cosa succede se l’Italia non rispetta i tempi del Pnrr
Il governo sta ritrattando per gli aspetti più problematici degli obiettivi fissati per dicembre 2022. La decisione di escludere gli stadi di Firenze e Venezia dai fondi europei, però, non significa automaticamente che l’Italia perderà quei soldi.
“Le scadenze del Pnrr non hanno questo livello di dettaglio. Bisogna esaurire i fondi destinati a un certo ambito. Ad esempio, per la rigenerazione urbana erano circa tre miliardi. Alla Commissione non interessa tanto quanti e quali progetti saranno realizzati, ma il fatto che tutte le risorse vengano utilizzate. Poi chiaramente si entra nel merito e se ci sono delle cose che non funzionano vanno sistemate”.
È davvero colpa del governo Draghi?
Molti esponenti della maggioranza e del governo Meloni, inclusa la stessa presidente del Consiglio, hanno detto che l’esecutivo in carica si è trovato a gestire un Pnrr programmato male e già gravemente in ritardo. In effetti ” i dati ci dicono che c’era un ritardo già ai tempi del governo Draghi. Questo è oggettivo. Probabilmente si è sottovalutato il carico di lavoro che le amministrazioni locali avrebbero dovuto sopportare. Evidentemente, però, in sede di valutazione europea si era scelto di chiudere un occhio o di essere di manica più larga”, ha detto Dal Poggetto.
Tuttavia, ci sono anche “responsabilità che si possono attribuire a questo governo”. Una su tutte, la famosa “rimodulazione” del Pnrr: “Dopo mesi, ancora non si sa niente. Continuano a dire che le trattative con la Commissione europea sono in corso, ma non sappiamo di cosa si parlano. Ci si è mossi tardi”.
Lo stesso Def del governo Meloni, pubblicato poche settimane fa, è stato scritto “dando per scontato che gli investimenti previsti dal Pnrr saranno realizzati tutti. A dirlo è l’Ufficio parlamentare di bilancio”. Le stime di crescita inserite nel documento, quindi, “vanno prese con le dovute cautele. Anche perché si dice esplicitamente che i dati più precisi saranno resi noto solo dopo le interlocuzioni con la Commissione. In questo momento, però, sembra complesso che il Piano venga attuato nella sua forma attuale”.
Perché i ritardi del governo Meloni possono costare cari all’Italia
A proposito di revisione del Piano, questa possibilità “non è mai stata negata dalla Commissione europea, in caso di difficoltà oggettive come l’aumento dei costi”. Tuttavia, la stessa Commissione aveva chiesto ai Paesi di presentare la propria proposta di revisione entro il 30 aprile. Una data non vincolante, dato che la scadenza legale è al 31 agosto, ma comunque utile per permettere di restare nei tempi.
Il governo Meloni, dopo aver detto a lungo che avrebbe agito entro il 30 aprile, ha fatto slittare la scadenza a fine estate “senza colpo ferire, come fosse una cosa normale, ma fino a poche settimane fa nessuno aveva parlato di fine agosto come scadenza”. Questo passaggio “non è indolore”, poiché il tempo per analizzare le proposte di modifica in sede europea “può essere anche molto lungo – fino a due mesi – e quindi se si parte a fine agosto il via libera potrebbe arrivare a novembre”.
In questo caso “ci sarebbe il rischio di perdere il 30% delle risorse previste per il nostro Paese”. Questa è una stima “fatta dalla Commissione europea e in particolare da Gentiloni”, non un dato certo, ma il tema è che “più si va in la nell’approvazione del piano rivisto, e meno ci sarà tempo per attuarlo. Se il nuovo Pnrr dovesse entrare in vigore a dicembre 2023, per ipotesi, rimarrebbe sostanzialmente la metà del tempo per completarlo”.
L’Italia, infatti, ha chiesto di “poter rivedere il Piano, stralciando i progetti non più realizzabili, ma le risorse non ancora spese dovranno essere riallocate, e il Pnrr deve comunque concludersi entro il 2026”. Perciò, con un piano da rispettare in tempi ancora più stretti e considerando che “ogni Paese può chiedere l’erogazione dei fondi del Pnrr massimo due volte l’anno, c’è il serio rischio che possano saltare le ultime tranche”.
Quali sono le prossime scadenze da rispettare
Mentre continuano le trattative con la Commissione, la prossima scadenza è a giugno, per sbloccare una quarta rata da 16 miliardi di euro. Anche qui però stanno emergendo problemi, come sul progetto di ampliamento degli asili nido o sulla rete di distribuzione dell’idrogeno. “Nel primo trimestre dell’anno c’erano dodici scadenze, di cui sette sono rimaste indietro. Ma quello è un passaggio intermedio, le verifiche della Commissione saranno a giugno, quindi c’è tempo per recuperare. Nel frattempo però si accumulano i ritardi, entro fine giugno ci sono altre quindici scadenze da rispettare”.
Sugli asili nido, “il testo originale prevedeva che entro giugno si assegnassero tutti gli appalti per la costruzione”. Nel suo discorso in Parlamento, però, il ministro Fitto ha confermato che questo obiettivo dovrà slittare perché alcuni Comuni “non hanno la capacità di effettuare gli interventi in tempo”.
Il tentativo del governo di scaricare la responsabilità sui Comuni
Il caso degli asili nido è emblematico. Il ministro Fitto ha sottolineato che il motivo dei ritardi è che alcuni Comuni non hanno rispettato le scadenze. Ha aggiunto che in futuro il governo chiederà a Comuni e Regioni di “garantire, assumendosi la responsabilità, la realizzazione degli interventi” nei tempi stabiliti, così il governo “si sentirà molto più tranquillo” ed eviterà di “vedere scaricato su di sé” il “rischio di non realizzazione degli interventi”.
Dal Poggetto ha sottolineato: “Sicuramente c’è il tema delle scarse competenze delle amministrazioni locali. Ci sono tanti casi di proposte presentate da Comuni piccoli che non sono state accettate perché il dirigente comunale non aveva una qualifica adeguata, o perché i progetti non avevano una qualità sufficiente. Ricordo, però, che i fondi che vengono assegnati alla diretta gestione delle amministrazioni locali ammontano al 40% del totale dei fondi del Pnrr. Questo significa che la maggioranza è comunque gestita dai ministeri, a livello centrale”.
Proprio per intervenire sulla gestione centrale del Piano, il governo ha varato il decreto Pnrr. “Non se ne vedeva il bisogno”, ha commentato Dal Poggetto. “In una fase così complessa, dove bisogna di recuperare i ritardi, aggiungere ulteriori elementi di complicazione porterà via altro tempo”. Anche perché a livello pratico “ci sono dei passaggi amministrativi, nuove approvazioni, nuove nomine. Sembra azzardato in questo momento dedicarsi a riformare le strutture interne dei ministeri”. Dire se con la riforma ci sarà in futuro una maggiore efficienza “è difficile, per adesso”.
La trasparenza che manca sul Pnrr
“Facciamo da mesi una battaglia per la trasparenza del Pnrr. Le informazioni complete non sono disponibili a livello nazionale”, ha concluso Dal Poggetto. Openpolis ha “l’ambizione di mappare il Pnrr su tutto il territorio italiano, ma oggi è impossibile”. Qualcosa “si sta iniziando a muovere, sono stati pubblicati dati su 50mila progetti. Sappiamo che non sono tutti quelli disponibili, dato che la Corte dei conti ha parlato di 134mila progetti, ma è un primo passo”.
Poche settimane fa “un sondaggio ha rilevato che 9 italiani su 10 non sono in grado di indicare nemmeno un progetto finanziato con i fondi del Pnrr che sarà realizzato sul proprio territorio. È una lacuna a cui vorremmo sopperire, ma i dati non ce li possiamo inventare”.
(da Fanpage)
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