PRESUNTI INDECENTI
LA PRESUNZIONE D’INNOCENZA SPESSO ULTIMO RIFUGIO DELLE CANAGLIE
A maggio, nel suo forum con Il Fatto, Matteo Renzi rispose sui quattro inquisiti del Pd promossi sottosegretari e su quelli candidati al Parlamento europeo: “Per me, finchè non sei condannato, sei innocente. Io sono su posizioni diametralmente opposte a voi. Non cambierò mai idea su una persona in base a un avviso di garanzia. Difendo la presunzione di non colpevolezza, in questo sono più fedele alla Costituzione di voi. Poi, se uno è condannato, se ne va”.
Ora, dinanzi allo scandalo Mafia Capitale, che aggiunge mafiosi, terroristi neri, cravattari, spacciatori, professionisti della violenza alla formazione-tipo del malaffare, il premier sembra vacillare.
È troppo presuntuoso per ammetterlo, ma basta sentirlo parlare: “Fuori i ladri dalla politica” è una frase che, alla luce della presunzione di non colpevolezza come la intende lui, pare un tantino azzardata.
Andrebbe pronunciata fra una decina d’anni (se basteranno), dopo la Cassazione: ora siamo appena agli avvisi di garanzia e alle misure cautelari, neppure ancora confermate dal Riesame. Eppure Renzi legge le carte con le intercettazioni e dice “ladri”.
Come qualunque cittadino dotato di media intelligenza. Poi però si ricorda delle sue interviste e dei suoi inquisiti (a cui si sono aggiunti il neogovernatore Bonaccini e diversi neoconsiglieri emiliani e calabresi) e mette una toppa peggiore del buco: “Subito i processi”.
Pura propaganda, con un’indagine così complessa ancora in corso e con un sistema farraginoso come il nostro.
Ma anche una resa incondizionata al potere giudiziario di un presunto primatista della politica: come se non bastasse quel che emerge dalle intercettazioni per farsi un’idea di certi politici e decidere di conseguenza (politicamente, non giudiziariamente).
Non c’è niente da fare: pare proprio che nemmeno un premier giovane e sveglio come lui riesca a divincolarsi dalle fumisterie e dalle tartuferie della vecchia politica, che da sempre usa la presunzione d’innocenza come l’ultimo rifugio delle canaglie: un gargarismo utilissimo per buttare la palla in tribuna e sfuggire fino alle calende greche alle proprie responsabilità dinanzi alle indecenze emerse da questa o quell’indagine.
Se un politico o un pubblico amministratore è indagato perchè filmato o intercettato o immortalato da una contabile bancaria a incassare mazzette, non dev’essere dimissionato perchè è indagato, ma per i fatti gravi che lo rendono un potenziale, probabile corrotto.
Magari quei fatti, al terzo grado di giudizio, non basteranno per condannarlo.
Oppure la mannaia della prescrizione calerà prima.
Ma è giusto che la soglia probatoria richiesta per mandarlo in galera sia molto più alta di quella necessaria per lasciarlo a casa.
Altrimenti, siccome Carminati, Buzzi e pure la mamma di Loris sono solo indagati dunque innocenti, perchè non portiamo al governo o in Parlamento anche loro, poi quando arriva la Cassazione ne riparliamo?
Viceversa: se, per assurdo, 10 o 20 anni fa un leader di sinistra avesse fatto quel che abbiamo fatto noi, cioè avesse letto le carte, guardato i fatti e poi chiamato “delinquenti” Berlusconi, Previti e Dell’Utri senz’aspettare la Cassazione (oggi son buoni tutti), si sarebbe beccato anche lui decine di querele e cause civili, e da allora sarebbe imputato a vita per diffamazione: ma avrebbe migliorato la propria reputazione e nessuno si sarebbe mai sognato di chiederne le dimissioni.
Un politico vero, per dare un giudizio e prendere una decisione (subito, non dopo la Cassazione), non guarda i registri degli indagati e i dispositivi delle sentenze: legge gli atti, valuta i fatti e poi decide se i protagonisti sono degni di restare al loro posto o meno.
Se poi proprio non capisce, chieda una consulenza ad Antonio Mancini, il pentito della Magliana intervistato dal Fatto e da Announo.
L’altro ieri Mancini ricordava che Carminati era imputato a Perugia con Andreotti per il delitto Pecorelli.
Sandro Ruotolo obiettava: “Ma poi la Cassazione li ha assolti”.
E Mancini: “Sapesse quante volte hanno assolto me!”.
Un genio.
Marco Travaglio
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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