SCATTA LA RABBIA DEI BRASILIANI PER LA GESTIONE CRIMINALE DELLA PANDEMIA DA PARTE DI BOLSONARO: DECINE DI MIGLIAIA IN PIAZZA
IL BRASILE E’ SECONDO AL MONDO PER VITTIME (460.000) E TERZO PER CONTAGI (16 MILIONI)… IL 57% DEI BRASILIANI LO VUOLE A PROCESSO
Decine di migliaia di brasiliani sono scesi in strada sabato per chiedere l’impeachment del presidente Jair Bolsonaro, responsabile di una gestione della pandemia definita «disastrosa» che ha reso il Brasile uno degli epicentri del Covid-19 e ha provocato la morte di 460 mila persone.
Le manifestazioni, le più grandi dall’inizio dell’emergenza sanitaria, sono state organizzate dai partiti di sinistra e dalle associazioni sindacali e studentesche in numerose città, da San Paolo a Belo Horizonte, da Recife alla capitale Brasília, fino a decine di piccole cittadine in tutto il Paese. «Oggi è un giorno decisivo nella battaglia per sconfiggere l’amministrazione genocida di Bolsonaro», ha affermato Silvia de Mendonça, 55 anni, attivista del Movimento Negro Unificado brasiliano, alla testa del corteo di circa 10 mila persone che ha marciato nel centro di Rio de Janeiro.
Nella metropoli brasiliana molti manifestanti — dotati di mascherina — brandivano cartelli che ricordavano i propri cari uccisi dalla pandemia, in un Paese che registra il secondo bilancio peggiore dopo gli Stati Uniti e che ha visto crescere esponenzialmente i contagi — ora 16 milioni — e le vittime dall’inizio del 2021.
«Fanno cori per tutto, anche per la Palestina: chiedono vaccini, sanità pubblica, istruzione», ha spiegato la corrispondente di Al Jazeera da Rio, Monica Yanakiew.
«Il denominatore comune è che vogliono le dimissioni di Bolsonaro», il presidente «Bolsovirus» — come viene sbeffeggiato dai detrattori — che continua a opporsi a mascherine e distanziamento sociale e fa pressione sui governatori e sui sindaci «che hanno adottato lockdown senza prove scientifiche», affinché facciano marcia indietro.
«Non possiamo perdere le vite di altri brasiliani: dobbiamo scendere in strada ogni giorno finché il governo non cadrà», ha detto al Guardian Osvaldo Bazani da Silva, parrucchiere 48enne che a causa del coronavirus ha perso il fratello minore.
«Sono qua per lui», ha riferito il 18enne Luiz Dantas, indicando la foto del nonno Sebastião morto a febbraio a 75 anni. «Il colpevole ha un nome e un cognome», ha proseguito in lacrime Dantas riferendosi al presidente negazionista, in carica da gennaio 2019, che ha ripetutamente sminuito la portata dalla pandemia e ha definito il coronavirus «una piccola influenza», boicottando le misure restrittive adottate in tutto il mondo e sminuendo i rischi. «Voglio giustizia».
Secondo la 46enne Ana Paula Carvalho, economista scesa in strada a Rio, il presidente dovrebbe essere giudicato alla Corte penale internazionale dell’Aia per «crimini contro il popolo brasiliano: ha favorito la morte e la distruzione, Bolsonaro è una tragedia brasiliana».
Il presidente si è sempre difeso sostenendo di essersi opposto al lockdown per proteggere il sostentamento e i posti di lavoro del popolo brasiliano, ma secondo i critici ha ottenuto il risultato opposto: la diffusione incontrollata del virus e il numero insufficiente di vaccini acquistati per contrastarlo hanno distrutto l’economia e ucciso centinaia di migliaia di persone. «Oggi il popolo brasiliano può scegliere se morire di coronavirus oppure di fame», ha spiegato al quotidiano britannico Carvalho.
L’approvazione dell’operato di Bolsonaro — eletto il 28 ottobre 2018 con il 55% dei voti — sta crollando e, stando ai rilevamenti dell’istituto di sondaggi Datafolha, il 45% dei brasiliani ritiene il suo governo «pessimo» o «terribile».
Il 57% della popolazione è ormai favorevole alla messa in stato d’accusa del presidente, furiosa per la retorica populista di estrema destra con cui ha guidato il Paese durante la pandemia.
A favorire l’indignazione della popolazione sta contribuendo l’inchiesta del Senato sulla gestione di Bolsonaro, che ogni sera domina tutti i telegiornali, ma anche la resurrezione politica dell’ex presidente Luiz Inácio Lula da Silva, in carica dal 2003 al 2010 e in carcere per 560 giorni a partire da aprile 2018, dopo una controversa condanna per corruzione e riciclaggio.
Scarcerato dalla Corte Suprema a novembre 2019 e annullata la condanna a marzo di quest’anno, l’ex presidente di sinistra — padre del Partido dos Trabalhadores che fondò durante la dittatura militare e con il quale arrivò a governare il Paese — ha recentemente riacquisito i diritti politici e punta a candidarsi nuovamente nel 2022: i brasiliani «si libereranno» di Bolsonaro, sostiene Lula, che non si è ancora candidato ufficialmente e non ha mai confermato le indiscrezioni. «Avrebbe potuto evitare metà di tutti questi morti».
(da agenzie)
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