“SIAMO TUTTI CAROLA, SIAMO TUTTI COLPEVOLI”
VIAGGIO NEL MONDO DELLE ONG CHE RESISTONO
L’arresto della “Capitana coraggiosa”, la nave della speranza sequestrata, l’odio che tracima sulla rete.
Rabbia, indignazione, ma al tempo stesso, l’orgogliosa determinazione di chi sa di essere dalla parte giusta: quella della difesa dei più indifesi. E se vogliono imporre il “reato di solidarietà ”, siamo tutti “colpevoli”.
“Siamo ormai di fronte a un paradosso assodato: salvare vite umane è diventato un crimine — annota Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia – Carola ha fatto benissimo. Ha applicato principi universali di tipo giuridico ed etico e ha tutta la nostra solidarietà . Purtroppo anche questa volta dobbiamo notare che chi salva vita umane in mare è visto con stigma e vero proprio odio, a cui, in questo caso, si aggiunge nei confronti della capitana una gravissima misoginia. È stucchevole — aggiunge l’esponente di Amnesty — che tutti i rappresentanti istituzionali che in ogni ora ripetono la parola ‘Dublino’, siano proprio coloro che hanno dimostrato profonda indifferenza, se non addirittura contrarietà , alla riforma del regolamento di Dublino nella scorsa legislatura del Parlamento europeo”.
A fianco di Carola Rackete senza se e senza ma, è Luca Casarini, che è stato capo missione dell’Ong “Mediterranea Saving Humans”: “Di questa vicenda — dice — mi colpiscono in particolare due aspetti: il primo, è l’assoluta sparizione dalla scena delle persone salvate. Questo, è un limite, purtroppo, anche nostro: queste persone hanno un volto, un nome, delle storie spesso terribili. Hanno desideri, sogni, sono cioè essere viventi e invece sembrano che siano solo numeri, problemi. Anche noi dobbiamo fare di più per restituire il fatto che noi salviamo persone e che questo è il vero nodo della questione. Il secondo aspetto che mi colpisce — rimarca Casarini — è il veleno dell’odio che è capace di trasformare tutto in guerra. Credo che quella a cui stiamo assistendo possa essere una forma di guerra civile, con tutta la sua tragicità e con la orribile capacità di annullare qualsiasi ragionamento e pensare solo ad annientare il nemico. Su questo andrebbe fatta una riflessione, su chi sia il nemico. Secondo me, il nemico non è un ministro pro tempore, ma il blocco culturale, sociale che tiene in ostaggio la possibilità di evolvere di un Paese, di affrontare nuove sfide. Dall’altra parte, il nemico, non sono le Ong ma come si vede sono le donne, le persone con una pelle diversa e, in qualche modo, i meccanismi complessi della democrazia”.
A lanciare l’allarme è anche Roberto Barbieri, direttore generale di Oxfam Italia: “Il caso Sea Watch — rimarca – è l’ultimo caso in cui persone che rischiano di morire in mare, fuggite dalla guerra o dai campi di detenzione, sono usate strumentalmente per trattative politiche di un governo italiano che ne fa merce di scambio in Europa. Allo stesso modo gli Stati e l’Unione Europea sono sordi e miopi nel non andare oltre una Convenzione di Dublino, che deve essere cambiata. È gravissimo che il diritto del mare e svariate convenzioni internazionali non siano state applicate, scegliendo di voltarsi dall’altra parte, con banali questioni interpretative. Di queste ultime ore, emozionano gli abbracci delle persone sulla nave con l’equipaggio, così come raccapricciano gli insulti a Carola mentre viene portata via dalla Guardia di Finanza. Siamo arrivati al punto in cui questioni di tutela dei diritti di ogni persona sono oggetto di processi sommari nella pubblica piazza, su cui si vuole che ciascuno diventi giudice di Carola o delle 42 persone della Sea Watch. Questo è gravissimo — avverte il direttore di Oxfam Italia – e la situazione non potrà che peggiorare se il governo e il ministro dell’Interno continueranno seguendo questa linea. Ora più che mai ci appelliamo al senso di responsabilità istituzionale nel fare di tutto perchè le negoziazioni politiche si facciano nelle giuste sedi, senza alimentare ulteriormente il clima di tensione nel nostro paese e senza usare le persone come merce di scambio. C’è un problema di diritto, prima di tutto. Il diritto del mare obbliga al salvataggio chi è in pericolo in mare e all’individuazione il più presto possibile di un posto sicuro, la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo vieta le espulsioni collettive e i trattamenti inumani e degradanti, la Convenzione sullo status dei rifugiati impone il principio di non refoulement verso un luogo ove la persona sarebbe a rischio di persecuzione e la stessa Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo sancisce che ogni individuo ha diritto a lasciare qualunque paese. Questi diritti sono calpestati per interessi politici e propagandistici. Il Governo italiano, negando lo sbarco a Lampedusa, ha violato queste convenzioni ed i diritti di quelle 42 persone. I Governi Europei e la stessa Unione Europea lo hanno fatto voltandosi dall’altra parte”.
“Siamo tutti con Carola”, dice Alessandro Metz, armatore di Mare Jonio del progetto Mediterranea Saving Humans, L’occasione è il corteo in mare in favore dell’accoglienza dei migranti promosso dal sindaco di Napoli, Luigi de Magistris, a cui partecipano i rappresentanti e le navi di diverse Ong. La barca di Mediterranea, salpata dal Molosiglio, è stata oggi ribattezzata ‘Free Carola’ perchè – ha spiegato Metz – “riteniamo che l’esercizio del diritto da parte della comandante della Sea Watch 3 sia stato giusto e corretto. E’ stato tentato in tutti i modi di impedire l’attracco e lo sbarco, mentre la Convenzione internazionale impone al momento del salvataggio di sbarcare nel porto più vicino e sicuro che è Lampedusa. Tenere a bordo quelle persone – ha aggiunto – è un atto criminale e illegale da parte del Governo”. Metz ha annunciato che la Ong italiana Mediterranea tornerà in mare “il prima possibile nonostante la Mare Jonio sia sotto sequestro perchè noi dobbiamo essere nel Mediterraneo dove la contraddizione si esprime maggiormente, dove le persone continuano a morire a pochi chilometri dalle nostre coste”.
Al Molosiglio anche Stefano Bertoldi di SOS Mèditerranèe che ha ribadito come le Ong “sono considerate testimoni scomodi. A bordo della nave Aquarius – ha aggiunto – abbiamo raccolto testimonianze orribili di violenze assurde e possiamo testimoniare che il ‘pool factor’, cioè la presenza delle nostre navi, non influenza l’arrivo dei migranti che partono a prescindere. Noi – ha spiegato – ci occupiamo solo di questo piccolo pezzo di tragedia, nel momento in cui il migrante salpa su una barca senza avere nulla da perdere per raggiungere una vita migliore”.
I più indifesi tra gli indifesi sono i bambini. “La capitana della Sea Watch III — rileva Raffaela Milani, direttore dei Programmi Italia- Europa di Save the Children, – si è assunta una responsabilità che per giorni e giorni gli Stati non hanno saputo o voluto assumersi. Carola ha risposto ad un evidente e drammatico stato di necessità ricordando anche la presenza a bordo di minori e di donne. Quanto al clima di odio, non va certo sottovalutato, ma bisogna dire allo stesso tempo che i nostri operatori ogni giorno ricevono continui attestati di incoraggiamento. Vediamo un volto solidale del Paese che fa meno rumore, e impatto mediatico, dell’odio ma è comunque forte e presente sui territori”.
“Questa vicenda — sottolinea Marco De Ponte, segretario generale di ActionAid Italia — segna un passaggio in cui siamo chiamati a valutare l’opportunità di fare quella che si chiamerebbe disobbedienza civile. Noi di ActionAid non l’abbiamo mai promossa ma stiamo dicendo che va compresa. Ci auguriamo che le autorità italiane, la magistratura, tengano adeguatamente conto dello stato di necessità , visto che erano a rischio 40 vite umane. In questi giorni — prosegue De Ponte — ero in Ghana dove la nostra assemblea internazionale ha discusso e approvato una mozione di emergenza proprio per indicare che tra le cose da considerare, di fronte a leggi ingiuste, vi potrebbe essere anche un appoggio alla disobbedienza civile”.
“Tutta la vicinanza e il sostegno di Medici senza Frontiere alla capitana di Sea Watch, a tutta l’organizzazione e a quanti sono tuttora impegnati nei soccorsi in mare — dice Marco Bertotto, responsabile advocacy di MsF -.Purtroppo siamo caduti molto in basso, nel senso che fino a pochi anni fa le forze dell’ordine erano al nostro fianco nel soccorso delle vite in mare. Oggi le ONG continuano con il loro mandato di salvare le vite in mare, le autorità , invece, ostacolano l’attività di soccorso. C’è bisogno di continuare a svolgere questo lavoro, un impegno umanitario al quale Medici senza Frontiere non verrà mai meno”.
(da “Huffingtonpost”)
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