SILVIO TIRA DENTRO PARISI, NON SOPPORTA PIU’ LA NOMEKLATURA
TRA MENU TRICOLORE E GAFFE DI TOTI, SI DELINEA IL FUTURO PARTITO
Villa San Martino (Arcore) ore 14,15. Il menù tricolore è stato già servito a tavola. Silvio Berlusconi, un po’ stanco ma lucido, è seduto tra Gianni Letta, l’uomo della diplomazia e dalla tutela aziendale, e Valentino Valentini, l’uomo dei dossier più delicati, odiato dal cerchio magico che fu.
Il Cavaliere racconta quanto è stata dura: l’intervento, il dolore, la paura.
Poi fa ingurgitare alla riottosa nomenklatura il piatto forte del giorno: “Il partito non gira e va riorganizzato, ho chiesto a Stefano Parisi di fare una due diligence. È un manager, un tecnico, chi meglio di lui? Personalmente lo stimo e penso possa essere utile”.
La nomenklatura azzurra ascolta con rispettoso silenzio. Attorno al tavolo i capigruppo di camera e Senato, i vice. E poi: Antonio Tajani, Mara Carfagna, Maurizio Gasparri, Altero Matteoli, Gregorio Fontana, Sestino Giacomoni e Giovanni Toti
Olive, mozzarelline, pomodorini, per antipasto. Maccheroncini tricolori. Un trionfo di verdure, tricolori anch’essi.
Tutto è politica ad Arcore, compreso il ritorno del menù abolito nell’era del “cerchio magico”.
Meno digeribile la pietanza del partito e della sua riorganizzazione, che è stata già affidata a Stefano Parisi, da Berlusconi, Letta e Confalonieri.
E che prevede la chiusura di Forza Italia e l’apertura di una nuova ditta, con molta società civile e pochi politici di professione.
Stefano Parisi, manager, ha il ruolo chiave di studiarla, pensarla, realizzarla: “Parisi — dice Berlusconi – è un tecnico, non un professionista della politica, che può darci una mano a far girare un partito che non va”.
Nel favoloso mondo berlusconiano, molto meno decisionista di come lo si rappresenta e si autorappresenta, tutto accade in modo poco lineare.
Berlusconi, consapevole dell’ostilità dei commensali all’idea, fa come ha sempre fatto. E cioè tira dentro Parisi, senza investirlo ufficialmente.
Un po’ come fece con Giovanni Toti, quando doveva fare fuori Raffaele Fitto. Fu prima inserito alle riunioni, poi nominato consigliere politico, poi candidato. E infatti il “contributo di Parisi” è nominato nel comunicato finale in cui si annuncia il rilancio del partito. Non una designazione ma l’inizio di un percorso.
Al giro di tavolo emerge la contrarietà a Parisi, secondo una scientifica divisione dei ruolo messa a punto in tanti pranzi e riunioni.
La critica è dolce e prudente nell’intervento della Gelmini, dura in quello di Romani, una clava in quello di Matteoli: “Presidente, Parisi non può venire qua a insegnarci come si fa la politica”.
Gran finale, Giovanni Toti: “Il programma che ha illustrato Parisi non è tecnico, è politico. In politica non ci si può improvvisare, ci vuole esperienza”.
Una frase giudicata poco felice dai commensali che ricordano quando fu preso da Mediaset e improvvisato politico alla bisogna.
Alla fine della riunione lo spin di Toti per i giornalisti è: “Nessuna nomina, Parisi è solo un contributo come gli altri. A Berlusconi non è piaciuta la sua intervista”.
Un paio d’ore scarse, una fatica per Berlusconi, tanto lucido di testa quanto ancora molto fragile di corpo.
Che però il vecchio leader ha voluto sopportare non per amore nei confronti dei presenti che comincia a non sopportare più, ma sia per introdurre il discorso Parisi che maturerà a settembre sia per dare un’idea di normalità : la riunione ad Arcore, il comunicato, la notizia che esce sui giornali.
Un modo per dire “ci siamo”.
Non doveva essere il luogo delle decisioni, che sono già state prese altrove. Felice Renato Brunetta, il più lineare e il meno tramatore di tutti.
Che ha incassato, nel comunicato finale il no al referendum, la madre di tutte le battaglie, da cui dipenderà il futuro del governo, del sistema politico e dei singoli partiti.
Il resto, ripete, “sono chiacchiere”. Dategli torto.
(da “Huffingtonpost”)
Leave a Reply