VOTO A SETTEMBRE ORMAI E’ UN MIRAGGIO, RENZI ESPLORA L’IPOTESI DECRETO, MA IL QUIRINALE NON GRADISCE
TUTTO RINVIATO A DOPO LE AMMINISTRATIVE
L’istinto è di urlare “al voto, al voto”, “con la legge che c’è”. O meglio, “prima un decreto, per mettere mano a qualche tecnicalità poi voto”.
Perchè “non si può fare finta di niente, ed è evidente che questo Parlamento non è in grado di fare la legge elettorale”.
Racconta più di uno dei presenti che Matteo Renzi, quando nel pomeriggio riunisce la segreteria del Pd, non è stravolto più di tanto per la frana del “patto” nel voto segreto. Perchè la botta c’è. Ma torna la prima opzione.
Quella sostenuta dal primo minuto: al voto con la legge che c’è, il Consultellum.
Però è tutto maledettamente complicato. Dice uno dei big presenti in segreteria: “Ora basta, non è che sulla legge elettorale giochiamo al ‘ritenta che sarai più fortunato’. È finita qui. Mattarella ci ha chiesto un tentativo, noi l’abbiamo fatto, ci siamo presi palate di fango da Prodi, Napolitano, i fondatori del Pd. Ora sarà anche un problema degli altri. Noi abbiamo dato. Che vogliono fare? Loro che propongono?”.
Tutto il ragionamento ruota attorno a quel “loro”, che si riferisce in primo luogo all’inquilino del Colle. Che convocò i presidenti di Camera e Senato, per sottolineare l’urgenza della legge elettorale e stoppare il tentativo di elezioni a giugno. Formalmente, dice Matteo Richetti uscendo dal Nazareno, se ne riparla dopo le amministrative.
Da martedì, quando — questo è il non detto — il segretario del Pd spera di avere una spinta dalle urne, qualora Grillo — come pare dicano i suoi sondaggi — dovesse andare male a Genova e Palermo e qualora Pizzarotti dovesse vincere a Parma.
Ma i contatti col Quirinale sono già in atto. E ruotano attorno a una valutazione di quel che è successo e alla fattibilità del decreto sulla legge elettorale.
Ipotesi tanto azzardata quanto complicata, alla quale peraltro il governo finora si è sempre sottratto.
Consisterebbe in questo: il governo, dove mezzo consiglio dei ministri è contrario al voto anticipato, dovrebbe varare un decreto per rendere utilizzabile la legge attuale. Come noto il decreto, appena viene promulgato, ha valenza di legge per sessanta giorni durante i quali va convertito, poi decade.
Spiega una fonte: “In questo clima, se fai un decreto neanche lo converti, perchè te lo impallinano alla Camera col voto segreto. L’unica cosa sarebbe sciogliere le Camere prima della conversione”.
I ben informati sostengono che al Quirinale l’ipotesi del decreto è fuori dai radar e verrebbe presa in considerazione solo alla fine della legislatura, di fronte a un Parlamento che non è riuscito a fare i minimi aggiustamenti e con le elezioni alle porte.
Tradotto, a dicembre, se si vota a febbraio.
Solo a quel punto si giustificherebbe la “necessità e urgenza”, ovvero i presupposti costituzionali per poterlo fare. Trapela “preoccupazione” dal Quirinale per lo stop dialogo. Il quadro è evidentemente lacerato e tutto può succedere, anche una fine anticipata della legislatura.
Tuttavia resta l’esigenza di intervenire su alcuni aspetti tecnici della legge — come la preferenza di genere al Senato — magari con una leggina anche se non un disegno organico di riforma.
Nazareno, Quirinale, palazzo Chigi. Da questo triangolo diplomatico si capirà , di qui a martedì, quale destino avrà la legislatura.
Renzi continua a volere le elezioni a ottobre, ma è consapevole che una manovra di questo genere, stavolta, non si fa urlando, ma solo con il consenso di tutti, dal Quirinale al premier che dovrebbe essere disposto a dimettersi.
Prosegue un altro dei presenti in segreteria: “La questione è semplice. Non sarà il Pd a far mancare il sostegno a Gentiloni, ma dopo il voto di oggi bisogna vedere se Paolo è ancora disponibile a portare la croce. Al Senato la prossima settimana c’è lo ius soli: c’è la maggioranza con Alfano? Poi c’è la manovrina: c’è la maggioranza con Mdp? Nel frattempo sulla legge elettorale non si farà nulla. È possibile andare avanti fino al 2018?”.
È chiaro che il segretario del Pd non farà nulla per aiutare a ricompattare la maggioranza. Anzi, farà di tutto per dimostrare che il game over di oggi sulla legge elettorale coincide col game over della legislatura.
(da “Huffingtonpost”)
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