Marzo 12th, 2013 Riccardo Fucile
ORMAI SONO IL 22% DEI RAGAZZI CON MENO DI 29 ANNI
Stanno seduti su due piloni gialli spartitraffico, davanti all’ingresso di un grande centro commerciale. Vicini. In silenzio. Non sembrano arrabbiati. Nulla li accende.
Se proprio si tratta di esprimere un desiderio per il futuro, qualcosa di futile e grandioso, lui dice: «Un’Alfa Giulietta e un viaggio a Miami».
Lei ci pensa tre minuti buoni: «Anche io vorrei un’auto – racconta – ma non ho desideri speciali. Non mi piace illudermi. Vorrei solo un posto da segretaria. Ottocento euro al mese. Magari il sabato sera andare a mangiare la pizza».
Per le statistiche dell’Istat, Vittoria e Nicola sono due giovani «Neet» (Not in Education, Employment or Training).
Come il 22,7% dei ragazzi e delle ragazze fra i 15 e i 29 anni.
Non studiano e non lavorano, impantanati dentro a una palude di sfiducia.
A guardarli sotto la luce nera di un temporale, sembrano soprattutto due giovani italiani a cui qualcuno ha cavato la speranza dagli occhi.
Rispondono a monosillabi. Gentili, educati.
Sono in guerra e lo sanno, ma la combattono da questa strana trincea a bassa intensità emotiva.
«Non posso permettermi di esternare troppo – dice lei – mio padre è in cassa integrazione da tre anni. È molto giù, non parla, il che è anche peggio».
Unico regalo ricevuto a Natale: 50 euro dalla nonna.
Vittoria La Braca, 20 anni, ha studiato contabilità in un istituto tecnico. Ha un solo lavoro da mettere in curriculum: «Tre mesi di stage in un studio legale, organizzati dalla mia scuola».
Si alza alle 8 del mattino, accompagna il fratello Simone in classe, va al mercato, cucina con la mamma casalinga e aspetta il pomeriggio.
Abita in zona Lingotto, periferia sud.
«Con Nicola ci vediamo in un centro commerciale oppure in centro città ». Stanno insieme, sono fidanzati. Anche se lo dicono con un’indecifrabile timidezza, che sembra connessa al senso del poi.
Loro al momento non hanno un futuro contemplabile.
In compenso hanno capelli ben curati, tagliati da amici. Vestiti normali alla moda. In tasca, telefonini comprati scontatissimi su Ebay.
Hanno questa storia che li tiene insieme nell’incertezza. Ma nessun piano, se non aspettare: «È colpa del sistema. Nessuno ci ascolta».
Nicola Pillo, 23 anni, ha sempre voluto diventare un informatico.
È appassionato di computer da quando aveva sei anni: «Ho studiato in un istituto tecnico. Ci so fare: hardware e software. Ho mandato centinaia di curriculum, sono andato a bussare ovunque. Ma niente. Non ho ricevuto neppure una risposta. Ho trovato solo due lavori di altro genere. Un mese e mezzo di pulizie alla Fiat, l’estate di tre anni fa. Poi tre mesi di stage alla Confesercenti nel 2009».
Da allora, nulla. Solo piccole cose in nero, del tipo: «Il mio computer si è beccato un virus… Puoi aiutarmi? ».
Nicola dice di spendere 40 euro alla settimana. «Sigarette più birra media il sabato sera. Ma ai miei non chiedo niente».
La sua famiglia è originaria di Foggia. Lui è il più grande di tre figli. Stanno tutti sulle spalle del padre, un poliziotto in pensione.
«Papà mi sprona. Dice di provare ancora. Ma io ho un po’ smesso di sperare, lo ammetto. La situazione è troppo deprimente.
Certe volte penso che andrò a cercare fortuna in Germania, anche se i miei genitori non sono molto d’accordo».
Nicola votava Berlusconi, ma ha scelto Grillo: «Spero che si occupi di lavoro».
Vittoria, invece, è andata a votare per la prima volta in vita sua: «Monti. Perchè ci ha salvato dal tracollo. Ma ormai non mi interessano più le chiacchiere. L’unica domanda che conta a questo punto è: quanto tempo ancora ci vuole per uscire da questa situazione? ».
Si difendono dalla crisi come da un temporale. Magari lungo e cattivo. Ma qualcosa di esterno.
«Però sappiamo bene che non possiamo andare avanti così in eterno».
Se questa notte trovassero 5 mila euro sotto il cuscino, Nicola li metterebbe in banca. Vittoria invece ne darebbe la metà al padre cassaintegrato: «E poi mi aprirei un conto». Eccoli, due «Neet» sotto al diluvio.
Non hanno anatemi da lanciare. Neppure cercano consigli.
«Un giorno mi piacerebbe avere una famiglia», dice lui.
Vittoria lo guarda: «Prima di tutto io voglio un lavoro.Essere autonoma. È da quando ho sei anni che sogno di diventare una segretaria».
Niccolò Zancan
(da “La Stampa“)
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Marzo 12th, 2013 Riccardo Fucile
IL SINDACO: “NO, ESTERNO CIO’ CHE PENSO”… CAOS NEL PD
Rapporti morti e sepolti. 
Un altro giorno di incomunicabilità , nonostante la tensione esplosiva nel bel mezzo di una situazione buia.
Da giorni Matteo Renzi e Pier Luigi Bersani evitano contatti. Eppure il segretario del Pd avrebbe qualcosa da chiedere al sindaco.
La domanda suona più o meno così: «Al di là delle critiche e dei dubbi, stai mettendo in piedi un sabotaggio? Vuoi che vada a sbattere contro il muro sul governo con Grillo?».
È un interrogativo fondamentale perchè nel Pd le uscite di Renzi stanno seminando il panico e indebolendo il progetto, miracolistico, di coinvolgere i 5 stelle.
Come succede da molto tempo in qua è toccato al governatore dell’Emilia Romagna Vasco Errani parlare con il primo cittadino e girargli il quesito.
«No, non voglio fottere Pier Luigi. Ma sono libero di dire quello che penso», è stata la risposta di Renzi. Il filo è sottilissimo.
Ci si può aggrappare, con qualche timore (giustificato?) sulla sincerità delle garanzie, per continuare il lavoro intorno agli 8 punti, alle presidenze delle Camere, alla formazione dell’esecutivo.
E per sperare in una moratoria da parte del sindaco che duri almeno fino ai giorni delle consultazioni.
La telefonata tra Errani e Renzi va letta in questa chiave.
Ma a nessuno sfugge l’improvvisa fretta del sindaco di appiccare l’incendio quando «gli basterebbe attendere una settimana, dieci giorni, mica anni, per capire come va a finire e lanciare la sua corsa».
A Largo del Nazareno, i bersaniani non capiscono «cosa sia scattato a Matteo », non comprendono «il senso della battaglia in questo momento ».
Con una buona dose di realismo un dirigente ammette: «Siamo confusi noi ed è confuso anche lui». La risposta più gettonata a questi interrogativi è: «Cerca di sfasciare tutto e di mettersi subito al centro dei giochi».
Come Renzi veda il futuro lo ha spiegato con franchezza ai suoi interlocutori. «Penso che alla fine si andrà a un governo tecnico. Durerà poco, non più di un anno. Io mi preparo a correre la prossima volta».
Non è solo una previsione, chiaramente.
È molto di più. È un auspicio, è la porta girevole che cambia il destino in pochi mesi: dalla sconfitta delle primarie alla rivincita.
Evitando Bersani, il rottamatore, in questi giorni, ha parlato spesso con Dario Franceschini, il favorito per la presidenza di Montecitorio, condividendo analisi e pronostici.
Ha registrato le aperture alla sua leadership di Enrico Letta e Francesco Boccia. Controlla la pattuglia di 51 renziani in Parlamento che ieri, all’assemblea degli eletti, si è tenuta visibilmente in disparte, soprattutto le new entry, quelle scelte di persona dal sindaco.
Il tentativo di Bersani si sta sbriciolando giorno dopo giorno anche nel partito, tra dubbi, perplessità e un pizzico di orgoglio contro «i grillini che ci sputano in faccia». Perfino Lapo Pistelli, del quale Renzi è stato l’assistente parlamentare in un’altra epoca prima di batterlo nella sfida per Palazzo Vecchio, ha chiarito i suoi dubbi sul Movimento invitando il Pd «a non dare le presidenze delle Camere a quelli lì». Insomma, Renzi può diventare centrale nel dopo Bersani fin da subito, entrando nella cabina di regia di un governo di scopo a tempo.
Ma perchè tanta fretta di attaccare frontalmente il segretario?
Renzi aveva ricucito un rapporto con il “popolo” del Pd mettendosi a disposizione di «Pierluigi » durante la campagna elettorale, accettando il risultato delle primarie, offrendo la sua collaborazione incondizionata al candidato premier.
Sembrava al tempo stesso una prova di generosità , di buona politica e una mossa strategica per gli anni a venire: l’offerta di un federatore, di un pacificatore per il nuovo Pd.
Poi sono arrivate le interviste, le smentite, la “fuga” dalla direzione, gli attacchi all’apparato, la rottura con la partecipazione a Che tempo che fa.
Da sabato scorso, a Largo del Nazareno è spuntata la parola «sabotaggio», è ripartita una caccia alle streghe.
Il tutto in un Pd che già vive un clima di assedio. «La fretta è una cattiva consigliera», si limita a dire Enrico Letta.
Ma il sindaco ha annusato la chiusura a riccio del corpaccione democratico, capace ancora una volta di escluderlo o di stritolarlo.
Così ha deciso di rispolverare il linguaggio della rottamazione.
Perchè quando anche Massimo D’Alema osserva «dopo Bersani c’è solo Renzi» non fa un’investitura.
Semmai segnala un pericolo, lancia l’allarme rosso.
Goffredo De Marchis
(da “La Repubblica”)
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Marzo 12th, 2013 Riccardo Fucile
“IL GIORNALE” NE HA FATTO L’ELOGIO: D’ALEMA L’UNICO A NON OSTRACIZZARE IL CAVALIERE
Una mossa clamorosa per rientrare in gioco, una temeraria incursione nel campo avversario per mandare all’aria un piano che lo vede sempre più ai margini. Silvio Berlusconi, nonostante l’attenzione sia concentrata tutta sui processi, ha iniziato a studiare l’operazione per rientrare nel vero “Great Game” che si aprirà tra un mese, quello intorno al prossimo inquilino del Quirinale.
Con un obiettivo principale: evitare a tutti i costi l’ingresso nel palazzo dei Papi dell’odiato Romano Prodi.
È proprio al fondatore dell’Ulivo che Angelino Alfano si riferiva ieri quando, arringando a Milano i parlamentari del Pdl, ha ammonito il Pd a non eleggere un presidente della Repubblica «che sia visto con ostilità dal 50 per cento del popolo italiano».
L’ultimo schiaffo ricevuto da Prodi, nell’ottica del Cavaliere, è stata la testimonianza resa davanti alla procura di Napoli sulla compravendita di senatori nel 2006, quello stesso filone d’indagine da cui è scaturita la richiesta di giudizio immediato per Berlusconi.
Se dunque lo scopo, nelle parole del Cavaliere, è «evitare di trovarsi al Colle per sette anni uno che ci farebbe rimpiangere Scalfaro», il leader del Pdl è pronto a giocare d’anticipo.
Con un azzardo: lanciare ai piedi del Pd una rosa di candidati “graditi”, un’offerta difficile da rifiutare vista la caratura dei personaggi: Massimo D’Alema, Giuliano Amato e Franco Marini.
In questo ordine.
Perchè a Berlusconi, nell’ora più difficile, non è sfuggito il riconoscimento politico giusto da D’Alema nell’intervento ufficiale alla direzione del partito.
Una difesa delle ragioni della politica e del «compromesso con la destra» contro la retorica dell’inciucio che, raccontano nel Pdl, ha colpito positivamente Berlusconi.
E forse è un caso ma ieri in prima pagina sul Giornale, in un ritratto graffiante sul «lìder Maximo », si riconosceva comunque a D’Alema il merito di essere stato «l’unico a sinistra a non ostracizzare Berlusconi».
A tre giorni dall’apertura del “conclave” parlamentare, anche i giochi sui papabili per le presidenze di Camera e Senato si vanno facendo più concreti.
Nel Pd, nonostante la nomina degli sherpa incaricati di sondare i cinquestelle, è ormai sfumata l’ipotesi di regalare una delle due cariche ai seguaci di Grillo e Casaleggio. «Sarebbe inutile – ragiona uno dei dirigenti del Nazareno – perchè non li smuoverebbe sul governo e ci esporrebbe all’accusa di volerli comprare».
Per questo in pole position è tornato il nome di Dario Franceschini, che ieri ha arringato i neodeputati con una chiamata all’orgoglio democratico.
Per palazzo Madama invece il nome più forte al momento è quello di Mario Mauro, ex capogruppo europeo del Pdl passato a Scelta Civica, visto che su Mario Monti – riferiscono nel Pd – «i mal di pancia dei nostri sono troppo forti».
Lo stesso Monti non avrebbe poi troppo voglia di smontare la guardia a palazzo Chigi in un momento così delicato.
«Non lascio il governo – ha spiegato ai suoi – perchè questo disimpegno potrebbe aumentare la percezione esterna di instabilità e l’incertezza dei mercati».
Monti accetterebbe di correre solo se ci fosse un accordo con Pd e Pdl comprensivo di un governo di larga coalizione.
A quel punto potrebbe anche puntare, dopo il passaggio sullo scranno più alto del Senato, al Quirinale.
Ma al momento l’ipotesi di un governissimo Pd-Monti- Pdl appare fuori dalla realtà . Sembrano fatti intanto i giochi per i capigruppo del Pdl.
A Montecitorio arriva Renato Brunetta, al Senato Renato Schifani.
Francesco Bei e Alberto D’Argenio
(da “La Repubblica”)
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Marzo 12th, 2013 Riccardo Fucile
GELO DI NAPOLITANO: “RISPETTO PER LE ISTITUZIONI”…LA DELEGAZIONE PDL OGGI AL COLLE PER CHIEDERE LO STOP AI PROCESSI PER QUALCHE MESE ED EVITARE CONDANNE
Non gli è piaciuta affatto quell’irruzione al Palazzo di giustizia di Milano. 
Giorgio Napolitano, mentre in tv scorrevano le immagini della clamorosa protesta berlusconiana, si è fatto chiamare al telefono Gianni Letta.
Parole dure, dal capo dello Stato, che avrebbe fatto notare come la materia della giustizia sia un tema troppo delicato, come occorra «senso di responsabilità » e «rispetto delle istituzioni» per affrontarlo.
Quanto avvenuto è stato vissuto dal Colle nè più nè meno che come uno sgarbo.
Tanto più perchè gli eventi precipitano dopo che Alfano aveva chiesto e ottenuto un colloquio col capo dello Stato per domani.
Pare che al Quirinale ci sia stata perfino la tentazione di annullare il tutto, superata poi dalla decisione di non gettare altra benzina sul fuoco.
Di certo permane la sorpresa, per la chiamata in causa del capo dello Stato come “garante” per vicende processuali il cui iter è tutto e soltanto nelle mani della magistratura.
Già . Perchè oggi Alfano, Cicchitto e Gasparri avanzeranno una vera e propria proposta politica, con offerta annessa.
Messe a punto, neanche a dirlo, col Cavaliere ricoverato.
«Ci rivolgeremo a lui in qualità di presidente del Csm e di supremo garante delle istituzioni» ha spiegato il segretario Pdl ad alcuni dei dirigenti presenti a Milano a margine della «occupazione» del Tribunale.
«E in quella veste gli chiederemo di fermare i processi e le inchieste che rischiano di trasformarsi in un vero e proprio golpe ai danni di Berlusconi».
Tradotto: uno stop di due-tre mesi, i prossimi.
Una sorta di lodo Alfano a termine, una moratoria «limitata, giusto a questa fase politica delicata e rischiosa per il Paese».
Settimane cruciali in cui il leader che rappresenta il 30 per cento dell’elettorato pretende di avere mani libere dalle udienze per giocarsi tutte le sue carte.
Nella partita per la formazione del nuovo governo, ma soprattutto quella ritenuta ancor più importante, in prospettiva, per l’elezione del presidente della Repubblica.
Non solo.
A Napolitano, con tutti i riguardi del caso, verrà chiesto anche di intervenire, forte della sua moral suasion, nei confronti della Procura di Napoli che si avvia a spron battuto verso il giudizio immediato a carico di Berlusconi. Se non verso una – da loro temutissima – richiesta di arresto che grillini e democratici al Senato già nelle chiacchiere da Transatlantico a Palazzo Madama sognano di approvare.
«La situazione è insostenibile, presidente, siamo in emergenza democratica » sarà la premesse di Alfano, elencando la sequenza di processi al traguardo e di inchieste nascenti. Se nulla cambierà , «allora reagiremo adeguatamente, diserteremo le Camere, sarà il caos».
Di contro, verrà offerta la disponibilità al via libera a un esecutivo del presidente, fosse pure una prorogatio a Monti, «per senso di responsabilità ».
Ma il piano messo a punto da Berlusconi dal letto della clinica è articolato.
A Napolitano i pidiellini chiederanno anche la disponibilità a una riconferma alla più alta carica dello Stato.
È dal presidente uscente che ormai i berlusconiani si sentono «garantiti» in forza della sua terzietà .
Di certo, molto più di quanto non si possano sentire al sicuro con un Prodi, giusto per fare un nome tra quelli finiti già nel frullatore. «Diciamo no a un presidente di sinistra scelto da un Parlamento magari sciolto da qui a qualche settimana».
Tutto è in bilico, tutto pericolosamente a rischio, per il futuro personale e politico del Cavaliere. Furente ieri mattina quando in rapida sequenza da Napoli giunge notizia della richiesta di giudizio immediato (sono le 12.30) e da Milano dell’invio di una nuova visita fiscale.
È a quel punto che Angelino Alfano lo chiama e ha la conferma che bisogna abbandonare la linea morbida. «Non è più momento di stare a guardare, servono i fatti» si inalbera il capo.
Vince la linea dei duri alla Santanchè e Verdini. Soddisfatta la deputata a fine giornata: «Non c’è più spazio per le colombe, adesso tutti falchi o rischiamo di fare la fine dei piccioni ».
Ma di fronte al teorema della «persecuzione giudiziaria» di Berlusconi e ad una raffica di simili richieste, non potrà che esserci il muro del Quirinale.
«Sanno bene quel che il presidente potrà fare», mettono le mani avanti al Colle in vista dell’incontro di stamattina, anticipando appunto che non è nei poteri e nelle intenzioni di Napolitano garantire immunità , o «perdoni» presidenziali.
Se il capo dello Stato nonostante tutto ha deciso di confermare l’appuntameno con Alfano, nato da formale richiesta venuta dal secondo partito in Parlamento, non vuol dire certo chiudere un occhio di fronte ad una violenta campagna «in cambio» di una disponibilità del Pdl al varo di un nuovo governo.
E il capo dello Stato, se il partito di Berlusconi nel colloquio non cambierà i toni, potrebbe anche intervenire apertamente.
Carmelo Lopapa e Umberto Rosso
(da “La Repubblica“)
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Marzo 12th, 2013 Riccardo Fucile
LE RIVOLUZIONARIE IN TACCO 12 COME IN GITA SCOLASTICA CON FOTO RICORDO DAVANTI AL TRIBUNALE
Più corteo che marcia. Il gruppo dei neoeletti del Pdl avanza compatto e circospetto: non se la sente di invadere rumorosamente, come l’esercito del bene che pensano di essere, il grande atrio di marmo davanti alla IV sezione del tribunale che di solito, ma non in quel momento, ospita il processo Ruby.
Camminano piano, ondeggiando, stretti uno all’altro, forse il luogo maestoso gli incute soggezione, addirittura paura, non si sa mai, con tutti quei severi carabinieri in giro, e le transenne, a impedire che qualcuno, anche gli onorevoli, tenti di entrare nell’aula, del resto vuota.
Naturalmente il fior fiore dei pidiellini si sono sobbarcati questa fatica per protestare contro la «magistratura politicizzata» e il suo «accanimento giudiziario» (le frasi sono sempre quelle) che è quella milanese: peccato che lo sia anche quella napoletana, che proprio mentre arrancano nel labirinto del palazzo, fa sapere che processerà Berlusconi per direttissima.
Come si sa, il Cavaliere è ricoverato al San Raffaele da venerdì, giorno in cui Ilda Boccassini doveva pronunciare la sua requisitoria e formulare la richiesta di condanna.
Accolto quel giorno il legittimo impedimento per uveite (occhi rossi, dolenti e lacrimosi), sabato per il processo Mediaset altri magistrati non hanno creduto ai fumosi certificati e hanno mandato il medico fiscale, che non ha trovato l’ex premier così grave da non poter assistere a un’udienza.
Ma ieri, il patatrac, tanto che Formigoni si è sentito in dovere di esclamare, «per il tribunale anche un malato in coma irreversibile è trasportabile!».
Non è mai capitato, ma chissà . Troppo per il partito delle Libertà , tanto che i suoi neoeletti, in riunione a Milano hanno deciso di prendere la Bastiglia della giustizia milanese, soprattutto contro chi aveva osato richiedere e questa volta ottenere per il processo Ruby, la visita fiscale, il sostituto procuratore Sangermano e il procuratore aggiunto Boccassini, quella che la mente più fine delle signore pdl, Daniela Santanchè, ha chiamato ieri con la massima scempiaggine, «l’Ingroia con la gonna»: essendo la Boccassini non solo non in sintonia con quel magistrato, ma addirittura in pantaloni.
A un certo punto della riunione di partito, non sapendo forse di cosa discutere senza la presenza elettrizzante di Berlusconi, il patriottico Alfano ha incitato la truppa in pesante cappotto malgrado il tepore primaverile: «Tutti a Palazzo di Giustizia!». Mancavano bandiere e stendardi, e un avanzare ardito da Quarto Stato: comunque tutti a piedi, nella speranza, frustrata, di trascinare con loro qualche volontario incuriosito. Poi davanti alla scalinata infinita, sotto la grande foto di Falcone e Borsellino, i coraggiosi onorevoli si sono messi a semicerchio e si sono fatti fotografare come per le gite scolastiche, e hanno anche incongruamente accennato all’Inno di Mameli.
Poi su, senza tralasciare nessun microfono o iPhone: raccontando un’Italia che pur essendo in cattive acque per conto suo, nelle loro parole è un immenso gulag degli anni ’50.
Le definizioni sono allarmanti, ma ormai la fantasia horror in difesa del capo è stata superata da tempo, e quindi è ripetitiva, non lascia traccia, suscita qualche sbadiglio, anche tra gli astanti disinteressati allo straordinario evento: un tribunale assediato al suo interno, da gente che, una volta lì, non sa assolutamente cosa fare, se non filarsela a testa bassa dopo una ventina di minuti.
Ma intanto, Carfagna ha deplorato «il solito gruppo di magistrati fuori controllo», mentre la Biancofiore, più Abu Ghraib, grida «Siamo alla tortura!», banale come sempre Capezzone, «E’ in atto un assedio alla democrazia!»; la Bernini è apocalittica: «C’è una macchina da guerra per la sistematica distruzione fisica morale e politica del leader più amato dagli italiani!».
Oratoria la Ronzulli: «Si metta l’animo in pace la magistratura militante di sinistra!». Fantasioso Scilipoti: «Ci sono gli estremi di denuncia per abuso di ufficio!».
Galan preveggente e malaugurante: «Con questa persecuzione ci sono due possibilità , la prima è scappare, la seconda andare in carcere!».
Gelmini con gli occhi rossi di commozione assicura, «per una volta gli abbiamo disubbidito! ».
Si perchè lui, l’ammalato Silvio non voleva assolutamente, glielo aveva proibito, di manifestare, in un momento così delicato del Paese, meglio concentrarsi su come governarlo, loro che hanno avuto il voto di 8, oppure 9, oppure10 milioni di italiani (ognuno aveva una cifra sua).
Ma loro, i suoi neoeletti, tra cui sovrabbondano i rieletti, non hanno voluto sentire.
E per la prima e ultima volta nella loro carriera pidiellina, han fatto di testa loro. Diciamo che anche da un punto di vista politico, il centinaio e passa di berlusconiani che occuperanno il nuovo parlamento, è fermo lì, alla sinistra malvagia: non si sono accorti o ancora non sono entrati nel loro linguaggio di battaglia, i grillini, e la loro promessa di spazzare via tutti e di essere d’accordo con l’esclusione di Berlusconi dalle cariche istituzionali e non contrari al suo arresto.
In ogni caso, scomparsi i manifestanti, estenuati per le ore e ore di attesa i giornalisti, i magistrati, i cancellieri, i carabinieri e i rari curiosi, finalmente i responsabili della visita fiscale hanno detto, sì il dottor Berlusconi ha un legittimo impedimento di salute.
Spettacolo ridicolo, casino inutile, tutti a casa; l’avvocato difensore Ghedini, più verde del solito per la soddisfazione, annuncia che l’imputato malato ne avrà per 15 giorni.
Natalia Aspesi
(da “La Repubblica“)
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Marzo 12th, 2013 Riccardo Fucile
LEONARDO BORIANI IN CARCERE INSIEME A TRE IMPRENDITORI E ALL’EX CONS. REGIONALE GUARISCHI… L’OPERAZIONE DELLA DIA DI MILANO LEGATA A PRESUNTI EPISODI DI CORRUZIONE PER APPALTI E FORNITURE DI AZIENDE OSPEDALIERE
Sono sette le persone arrestate dalla Dia di Milano su richiesta del pm Claudio Gittardi
per presunti episodi di corruzione connessi ad appalti e forniture di aziende ospedaliere.
Tra loro c’è anche Leonardo Boriani, giornalista ed ex direttore della Padania. In carcere anche tre imprenditori, che appartengono alla famiglia Lo Presti, titolare della Hermex Italia, di Cinisello Balsamo, specializzata in fornitura di macchinari ospedalieri.
L’indagine ha fatto luce su gravi e diffusi episodi di corruzione nel mondo della sanità lombarda con oltre 50 perquisizioni dirette ad acquisire riscontri documentali ai fatti accertati e vede coinvolte una ventina di persone in tutto, tra imprenditori e pubblici funzionari.
I dettagli dell’operazione saranno illustrati nel corso di una conferenza stampa che si terrà alle 11,30 al Centro Operativo Dia di Milano ove sarà presente anche il direttore della Direzione investigativa antimafia Arturo De Felice.
Il capocentro della Dia di Milano, Alfonso Di Vito, intervistato da SkyTg24, ha parlato di “accertati episodi di corruzione, con pagamenti di tangenti in occasione di appalti e forniture ad aziende ospedaliere lombarde”.
Tra le strutture coinvolte, ha riferito Di Vito, il San Paolo di Milano, l’Istituto nazionale tumori di Milano, l’azienda ospedaliera di Valtellina e Valchiavenna (Sondrio) e l’azienda ospedaliera di Cremona.
Tra gli arrestati, anche l’ex consigliere regionale lombardo Massimo Guarischi di Forza Italia, che già il 21 settembre del 2000 era stato arrestato nell’ambito dell’inchiesta sui lavori di regimazione idraulica in Valtellina.
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Marzo 12th, 2013 Riccardo Fucile
LO SPREZZO DEL RIDICOLO DI CHI DENUNCIA L’USO POLITICO DELLA GIUSTIZIA MENTRA FA UN USO GIUDIZIARIO DELLA POLITICA
Chi ha in mente la scena finale del Caimano di Nanni Moretti sarà rimasto un po’ deluso, ieri, dinanzi alla marcetta sul Tribunale di Milano dei parlamentari Pdl capitanati da Angelino Jolie.
Si temeva di molto peggio: un assalto possente, drammatico, sinistro, almeno vagamente nibelungico.
Invece per fortuna non siamo la Germania delle Valchirie e nemmeno la Francia della presa della Bastiglia.
Siamo il paese dell’operetta, che non conosce il dramma: al massimo il melodramma. Dunque dobbiamo accontentarci di questa tragicomica scampagnata sul marciapiede, tipo gita delle pentole, di una corte dei miracolati sbarcati a Milano come Totò e Peppino, ma molto più ridicoli, visto che alle pellicce e ai colbacchi fuori stagione aggiungono quintali di silicone, botulino, pròtesi di lattice, fard, toupet e trapianti abortiti, e alle caciotte sostituiscono trillanti iPhone con la suoneria di “Meno male che Silvio c’è”.
Il quale Silvio, pover’ometto, giace esanime sul letto di dolore, piegato e piagato da un’uveite bilaterale isterica con scappellamento a destra che da un momento all’altro, stando ai medici e agli avvocati di corte, potrebbe portarlo alla tomba.
Insomma, al posto della presa della Bastiglia, abbiamo la presa per il culo, o al massimo della pasticca per curare patologie fasulle e allontanare sentenze vere. Spiccano, nella foto di gruppo dell’allegra brigata sanculotta in gita premio al Palagiustizia, Danton Alfano, Marat Cicchitto, Saint Just Gasparri e Robespierre Lupi, mentre Santanchè, De Girolamo, Gelmini, Giammanco, Ravetto, Prestigiacomo, Mussolini e Casellati si contendono i panni di Charlotte Corday prima del bagno. Alcuni assedianti conoscono bene il posto e fanno da ciceroni: chi per curriculum, come Denis Verdini (cinque processi), Matteoli (uno) e Raffaele Fitto (due processi e una condanna fresca fresca a 4 anni), chi per motivi professionali, tipo gli on. avv. Ghedini e Longo.
Ma anche Caliendo, l’amico della P3, e Nitto Palma, che in teoria sarebbero addirittura magistrati e non si sa bene contro chi protestino: forse contro se stessi.
Va comunque apprezzato il generale sprezzo del ridicolo di chi denuncia l’uso politico della giustizia mentre fa un uso giudiziario della politica.
Ma anche lo sprezzo del pericolo di alcuni noti condannati e imputati che sono financo entrati in tribunale col rischio di essere identificati, vista la somiglianza con le facce patibolari di alcuni ricercati ritratti nei “Wanted” in bacheca, e di non uscire più. Pare che Formigoni sia rimasto prudenzialmente a casa.
Notevole anche la faccia dell’acuto Razzi, reclutato all’ultimo momento per far numero, che ancora in tarda serata non aveva capito dove l’avessero portato, e soprattutto perchè. Capezzone e Giovanardi invece si sono molto felicitati con se stessi perchè, dopo anni di oscuramento, hanno strappato un’inquadratura di alcuni nanosecondi al Tg4 .
In ogni caso si è persa l’occasione per una bella retata: è raro trovare tanta bella gente insieme a portata di manette.
L’implume Alfano, tornato leader per un giorno in assenza del padrone travestito da cieca di Sorrento, minacciava tutto accaldato un imprecisato “Aventino”.
Intanto Gasparri capiva tutto al volo e prenotava un tavolo nel noto ristorante “Da Rino all’Aventino”.
Poi Jolie s’appellava a Napolitano, ma sbagliava indirizzo: com’è noto, il Presidente non si occupa di processi e inchieste, tranne quando gli telefona Mancino.
Ps. Mentre chiudo l’articolo, alle ore 20, non risulta sull’Ansa una sola dichiarazione di esponenti del Pd contro la gazzarra del Pdl al Palazzo di Giustizia di Milano. Solo un dolente commento di Bersani alla minaccia aventiniana di Alfano: “Spero siano voci che smentiscano (sic, ndr), che siano suggestioni di un momento”.
Si vede subito che è cambiato e ha capito la lezione: gliele ha cantate chiare.
Marco Travaglio
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Marzo 12th, 2013 Riccardo Fucile
NELLA GRADUATORIA DELL’AGENZIA SPECIALIZZATA, “DESTRA DI POPOLO” BATTE IN LIGURIA ANCHE MARCO DORIA, ENRICO MUSSO E PERSINO IL POTENTE SITO DI CLAUDIO SCAJOLA… UN RISULTATO CHE A DESTRA DOVREBBE FAR RIFLETTERE
Il sito internazionale specializzato Alexa the Web Inf. Co. monitorizza ogni giorno le entrate di milioni di
siti in tutto il mondo e stila una speciale classifica, aggiornata costantemente.
Insieme a una serie di dati specifici, Alexa assegna una posizione nella classifica della nazione di origine di ciascun sito e un’altra in quella mondiale.
Partiamo dalla classifica italiana che vede Destradipopolo.net al 21.931° posto in classifica assoluta.
Facciamo qualche raffronto per dare un’idea del lusinghiero piazzamento del nostro sito: La Destra che ha la struttura di partito e una presenza territoriale organizzata è poco prima di noi al 17.652° posto.
Precediamo il sito di Futuro e Libertà al 55.783° posto, la Fiamma Tricolore piazzata al 45.322° posto, il massimo sito aggregatore liberale Tocqueville in 36.890° posizione, il sito di Alemanno al 91.765° posto, quello di Generazione Italia al 93.367°e il sito della Padania al 48.816° posto.
Ancora più ricco il confronto mondiale che vede Destradipopolo.net in 1.496.600° posizione (i siti sono un centinaio di milioni)
Facciamo un raffronto con i siti di “llustri”politici italiani: La Russa è quotato al 4.506.012° posto, Mariniello, molto attivo sul web, al 6.844.742°, la Santanchè al 6.907.835° posto, Gasparri al 8.640.648°, Storace al 24.177.283°, Fini al 23.101.799° posto.
Tra gli esponenti di Futuro e Libertà si piazza primo Granata in 11.418.107° posizione, Raisi in 16.138.417°, Briguglio in 26.588.514, Bocchino neanche classificato.
Nel Pdl Cicchitto naviga al 16.450.672° posto, Alfano al 2.163.362° posto, Mara Carfagna al 2.919.832° posto, Formigoni al 2.918.782 posto, tutti dietro di noi.
Altra piccola soddisfazione: batttiamo anche il sindaco di Genova Marco Doria al 10.675.183° posto, il potente sito di Claudio Scajola al 2.382.947° posto e l’amico candidato sindaco di centro di Genova ed ex senatore Enrico Musso al 19.047.263° posto.
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