L’ULTIMA SCENEGGIATA DELLE DONNE DEL CAVALIERE: “ABBIAMO DISOBBEDITO A SILVIO”
LE RIVOLUZIONARIE IN TACCO 12 COME IN GITA SCOLASTICA CON FOTO RICORDO DAVANTI AL TRIBUNALE
Più corteo che marcia. Il gruppo dei neoeletti del Pdl avanza compatto e circospetto: non se la sente di invadere rumorosamente, come l’esercito del bene che pensano di essere, il grande atrio di marmo davanti alla IV sezione del tribunale che di solito, ma non in quel momento, ospita il processo Ruby.
Camminano piano, ondeggiando, stretti uno all’altro, forse il luogo maestoso gli incute soggezione, addirittura paura, non si sa mai, con tutti quei severi carabinieri in giro, e le transenne, a impedire che qualcuno, anche gli onorevoli, tenti di entrare nell’aula, del resto vuota.
Naturalmente il fior fiore dei pidiellini si sono sobbarcati questa fatica per protestare contro la «magistratura politicizzata» e il suo «accanimento giudiziario» (le frasi sono sempre quelle) che è quella milanese: peccato che lo sia anche quella napoletana, che proprio mentre arrancano nel labirinto del palazzo, fa sapere che processerà Berlusconi per direttissima.
Come si sa, il Cavaliere è ricoverato al San Raffaele da venerdì, giorno in cui Ilda Boccassini doveva pronunciare la sua requisitoria e formulare la richiesta di condanna.
Accolto quel giorno il legittimo impedimento per uveite (occhi rossi, dolenti e lacrimosi), sabato per il processo Mediaset altri magistrati non hanno creduto ai fumosi certificati e hanno mandato il medico fiscale, che non ha trovato l’ex premier così grave da non poter assistere a un’udienza.
Ma ieri, il patatrac, tanto che Formigoni si è sentito in dovere di esclamare, «per il tribunale anche un malato in coma irreversibile è trasportabile!».
Non è mai capitato, ma chissà . Troppo per il partito delle Libertà , tanto che i suoi neoeletti, in riunione a Milano hanno deciso di prendere la Bastiglia della giustizia milanese, soprattutto contro chi aveva osato richiedere e questa volta ottenere per il processo Ruby, la visita fiscale, il sostituto procuratore Sangermano e il procuratore aggiunto Boccassini, quella che la mente più fine delle signore pdl, Daniela Santanchè, ha chiamato ieri con la massima scempiaggine, «l’Ingroia con la gonna»: essendo la Boccassini non solo non in sintonia con quel magistrato, ma addirittura in pantaloni.
A un certo punto della riunione di partito, non sapendo forse di cosa discutere senza la presenza elettrizzante di Berlusconi, il patriottico Alfano ha incitato la truppa in pesante cappotto malgrado il tepore primaverile: «Tutti a Palazzo di Giustizia!». Mancavano bandiere e stendardi, e un avanzare ardito da Quarto Stato: comunque tutti a piedi, nella speranza, frustrata, di trascinare con loro qualche volontario incuriosito. Poi davanti alla scalinata infinita, sotto la grande foto di Falcone e Borsellino, i coraggiosi onorevoli si sono messi a semicerchio e si sono fatti fotografare come per le gite scolastiche, e hanno anche incongruamente accennato all’Inno di Mameli.
Poi su, senza tralasciare nessun microfono o iPhone: raccontando un’Italia che pur essendo in cattive acque per conto suo, nelle loro parole è un immenso gulag degli anni ’50.
Le definizioni sono allarmanti, ma ormai la fantasia horror in difesa del capo è stata superata da tempo, e quindi è ripetitiva, non lascia traccia, suscita qualche sbadiglio, anche tra gli astanti disinteressati allo straordinario evento: un tribunale assediato al suo interno, da gente che, una volta lì, non sa assolutamente cosa fare, se non filarsela a testa bassa dopo una ventina di minuti.
Ma intanto, Carfagna ha deplorato «il solito gruppo di magistrati fuori controllo», mentre la Biancofiore, più Abu Ghraib, grida «Siamo alla tortura!», banale come sempre Capezzone, «E’ in atto un assedio alla democrazia!»; la Bernini è apocalittica: «C’è una macchina da guerra per la sistematica distruzione fisica morale e politica del leader più amato dagli italiani!».
Oratoria la Ronzulli: «Si metta l’animo in pace la magistratura militante di sinistra!». Fantasioso Scilipoti: «Ci sono gli estremi di denuncia per abuso di ufficio!».
Galan preveggente e malaugurante: «Con questa persecuzione ci sono due possibilità , la prima è scappare, la seconda andare in carcere!».
Gelmini con gli occhi rossi di commozione assicura, «per una volta gli abbiamo disubbidito! ».
Si perchè lui, l’ammalato Silvio non voleva assolutamente, glielo aveva proibito, di manifestare, in un momento così delicato del Paese, meglio concentrarsi su come governarlo, loro che hanno avuto il voto di 8, oppure 9, oppure10 milioni di italiani (ognuno aveva una cifra sua).
Ma loro, i suoi neoeletti, tra cui sovrabbondano i rieletti, non hanno voluto sentire.
E per la prima e ultima volta nella loro carriera pidiellina, han fatto di testa loro. Diciamo che anche da un punto di vista politico, il centinaio e passa di berlusconiani che occuperanno il nuovo parlamento, è fermo lì, alla sinistra malvagia: non si sono accorti o ancora non sono entrati nel loro linguaggio di battaglia, i grillini, e la loro promessa di spazzare via tutti e di essere d’accordo con l’esclusione di Berlusconi dalle cariche istituzionali e non contrari al suo arresto.
In ogni caso, scomparsi i manifestanti, estenuati per le ore e ore di attesa i giornalisti, i magistrati, i cancellieri, i carabinieri e i rari curiosi, finalmente i responsabili della visita fiscale hanno detto, sì il dottor Berlusconi ha un legittimo impedimento di salute.
Spettacolo ridicolo, casino inutile, tutti a casa; l’avvocato difensore Ghedini, più verde del solito per la soddisfazione, annuncia che l’imputato malato ne avrà per 15 giorni.
Natalia Aspesi
(da “La Repubblica“)
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