Marzo 17th, 2013 Riccardo Fucile
SUI SOCIAL NETWORK PREVALE LA RIVOLTA CONTRO LE INDICAZIONI DALL’ALTO E LA MANCATA DIRETTA STREAMING
È una ribellione a colpi di tweet e di commenti su Facebook quella che si è consumata ieri all’interno del Movimento 5 Stelle, prima dell’elezione del presidente del Senato.
«Se non sappiamo scegliere tra Grasso e Schifani è davvero la fine. Addio movimento…», scrive Roberto P.
In poche ore, tra la votazione della Camera e quella del Senato, su Internet scoppia la polemica: su Twitter e Facebook sono migliaia i messaggi.
Un diluvio.
Attaccano prima i dubbi su chi scegliere, e poi la decisione del partito di votare scheda bianca per la presidenza del Senato.
Tra l’ex procuratore nazionale Antimafia, Pietro Grasso, candidato del Pd, e Renato Schifani, del Pdl, non ci possono essere dubbi. Deve vincere il primo, mentre il presidente del Senato uscente «sarebbe il segno di una continuità col passato».
Ai grillini non piacciono le parole di Vito Crimi, capogruppo al Senato che, al termine dell’assemblea del M5S, chiude alla possibilità di appoggiare Grasso con poche parole: «Non faremo la stampella a nessuno».
In rete si diffonde subito il malumore. «Tanto per ricordarlo, Schifani è quello che firmò il “lodo” che dava una incostituzionale immunità totale al suo padrone Berlusconi. Grasso è stato un magistrato in prima linea contro la mafia. Votare Grasso non significa allearsi con il Pd», scrive Nicola Rindi, di Prato proprio sul blog di Beppe Grillo.
Da Napoli Giuseppe invita il leader Grillo a «mandare un sms ai nostri ragazzi».
E attacca: «Per favore, Schifani non può tornare alla presidenza del Senato. Primum vivere». Emma, del M5S di Bari, saluta come «una grande e bellissima vittoria, e non del Pd o di Sel, l’elezione di Laura Boldrini alla Camera. Adesso, al Senato, per favore è certamente meglio Grasso, che non vincola a niente».
La maggior parte degli interventi sui social network seguono questa stessa linea.
Su Twitter Walter Rizzetto commenta: «A me personalmente il discorso della Boldrini alla Camera è piaciuto, emozione forte».
Non si fermano le critiche contro la decisione del partito di votare scheda bianca. «Vito Crimi e Movimento 5 Stelle state con chi ha fatto il lodo per immunità di Belusconi o con chi ha combattuto la mafia », scrive su Twitter Gianna Cecchi.
Poco prima un altro appello a favore di Grasso. «Il ballottaggio implica una scelta tra due candidati: se uno dei due non è del movimento i voti possono convergere su uno dei due candidati. Nel qual caso mi sembra evidente che la scelta cadrebbe su Grasso», scrive su Twitter, Paolo Becchi, professore ordinario di Filosofia del diritto nella facoltà di Giurisprudenza dell’università di Genova, molto vicino a Grillo.
L’attacco alla decisione del M5S diventa addirittura un hashtag, #M5SpiùL, un modo per fare quasi il verso al modo con cui Grillo chiama il Pd, PdmenoL.
Critiche che arrivano anche da persone che non fanno parte del movimento.
Per Fabio Franchi «se i grillini non sono capaci manco di scegliere tra Grasso e Schifani, l’apriscatole dovrebbero usarlo per la capoccia ».
«Uno è l’ex procuratore nazionale antimafia, l’altro accusato di concorso esterno in associazione mafiosa. Scelta difficile, Beppe», scrive Umberto Romano.
«Non sapete scegliere tra un pm anti mafia e un indagato per mafia», incalza Andrea Ronconi. Per Gianna Cecchi se il M5S appoggia Berlusconi è la fine: «Siete finiti».
«M5S voteranno Grasso grazie a grillini siculi che hanno detto che non potrebbero rientrare in Sicilia se Schifani venisse eletto», commenta Daniele Decina.
Su Twitter Baron Samedi aggiunge: «Giustamente la scelta è difficile: meglio un mafioso o un procuratore anti-mafia?»
E ancora per Giovanni Messina: «Il M5S che vota Grasso è un segno di maturità . Così dovete essere: l’ago della bilancia. Siate costruttivi. Potrete fare grandi cose».
C’è tensione anche per la mancanza di diretta streaming della loro riunione per decidere l’atteggiamento da tenere al ballottaggio per la scelta del presidente del Senato: «Quando le cose diventano difficili — twittano in molti — le porte si chiudono ».
E qualcuno conclude: «Oggi al Senato i grillini ci mostreranno il lato oscuro delle stelle».
Valeria Pini
(da “La Repubblica”)
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Marzo 17th, 2013 Riccardo Fucile
TRA PAURA DI FAR VINCERE SCHIFANI E FEDELTA’ ALLA LINEA…I SENATORI GRILLINI SI SPACCANO E UNA DECINA SCEGLIE IL MENO PEGGIO
“Io un mafioso presidente del Senato non lo votooooo! ”. La voce di donna tuona dietro la
porta della commissione Industria, terzo piano di palazzo Madama.
I 54 senatori Cinque Stelle, da quasi due ore sono chiusi lì dentro, a scannarsi su chi votare al ballottaggio tra Pietro Grasso e Renato Schifani.
Vorrebbero restare fuori dai giochi, ma il Pd non ha i numeri e senza di loro, rischia di vincere il candidato del Pdl.
I montiani sono riuniti pochi metri più in là , bisognerebbe capire che fanno: ma il rischio, nel segreto dell’urna, si corre lo stesso.
A dare battaglia sono i sei siciliani, capitanati da Mario Giarrusso.
Sono loro a spiegare ai colleghi che non si scherza, che se viene rieletto Schifani quando tornano a casa gli fanno “un mazzo così”.
Urlano, piangono, battono i pugni sul tavolo, per quattro volte partono gli applausi, sui computer si controlla cosa dice la base.
Nessuna risposta nemmeno dalla Rete: “È spaccata a metà ”.
Qualcuno se la prende con Casaleggio: se ci fosse la piattaforma, potremmo chiedere agli attivisti cosa fare.
Altri si lamentano perchè Grillo li ha buttati in acqua, “come bambini che non sanno nuotare” (ieri, nessun post, solo un commento sul nuovo papa e le “affinità tra il francescanesimo e il M5S”).
Arriva un messaggio di Salvatore Borsellino, il fratello del giudice Paolo. Li implora di votare Grasso.
Di nuovo lacrime, di nuovo urla.
Dentro ci sono le telecamere della tv danese alle prese con un documentario sul Movimento.
I cronisti italiani sono fuori, ma sentono tutto.
Due minuti prima delle 16, esce un collaboratore: “Scusate, siamo alle battute finali, dovreste spostarvi”.
Troppo tardi. “Mario sei scorretto! – grida un’altra donna rivolgendosi a Giarrusso – Io non mi voglio assumere la responsabilità di votare nè quello del Pd nè quello del Pdl”. Vito Crimi, il capogruppo, cerca di riportare la calma: “Potete stare zitti? Vogliamo votare? ”.
Raccontano che anche lui, siciliano trapiantato a Brescia, sia dilaniato dai dubbi.
Ma non può spaccare il gruppo al secondo giorno di legislatura. Alla fine non votano. Non si vogliono contare.
Il toscano Maurizio Romani esce piuttosto provato.
Recita il solito mantra: “Uno vale uno”. E mai come questa volta è vero.
Il gruppo ha deciso: libertà di coscienza. Ma non si può ammettere davanti ai giornalisti.
I siciliani lo scrivono su Face-book, Crimi dichiara che il gruppo “ritiene di non modificare le proprie intenzioni di voto”.
Scheda bianca, nulla, astensione? Non risponde e così permette a chi non se la sente “di vedere rieletta una persona come Schifani” di muoversi liberamente nella nebbia del voto segreto.
Alla fine sono una decina i Cinque Stelle che scrivono il nome di Grasso sulla scheda. Ai 6 siciliani (Giarrusso, Campanella, Santangelo, Catalfo, Bocchino e Bertorotta) si aggiungono il napoletano Bartolomeo Pepe, il calabrese Maurizio Molinari, il pugliese Maurizio Buccarella, forse anche Luis Alberto Orellana.
Per inquadrarli basta osservare il momento della proclamazione di Grasso presidente. Quando si annuncia il risultato, i Cinque Stelle non applaudono.
I siciliani sembrano statue di cera. I piemontesi Carlo Martelli e Alberto Airola li osservano: Martelli li indica e scuote la testa.
Intanto Schifani è andato a stringere la mano a Grasso: parte un secondo applauso.
I siciliani si alzano, guardano verso i banchi di dietro. Niente, gli altri sono tutti seduti. Terzo applauso, la proclamazione.
Giarrusso si alza, fa cenno ai compagni. Stavolta sono tutti in piedi, ma non applaude nessuno.
Quando Grasso comincia a parlare, Giarrusso si arrende, batte la mani.
Lo fanno in una decina. Lui si gira verso la pugliese Barbara Lezzi, allarga le braccia come a dire “su, dai”.
Lei resta immobile.
È la prima immagine del movimento, messe a nudo dalla mossa del Pd.
I Cinque Stelle dicono che per loro è già una vittoria, che senza i grillini in Parlamento, Laura Boldrini e Pietro Grasso non sarebbero mai arrivati dove sono.
Ma lo smacco è evidente: quando hanno letto i nomi dei candidati del Pd, ieri mattina, sono rimasti tutti di sasso.
Delusi perchè su questi nomi un dialogo si poteva intavolare; arrabbiati perchè alla fine la Camera anzichè a loro, che hanno il 25 per cento, è andata a Sel che ha poco più del 3; risentiti perchè il Pd per la prima volta li ha messi con le spalle al muro. “Vogliono farci sbilanciare – spiega il deputato Andrea Cecconi – Ma per noi sarebbe il suicidio”.
Il rischio di restare in piccionaia, però, non è da meno.
Adesso la partita è per i questori, le presidenze delle commissioni, magari il Copasir. Ieri, una delegazione di deputati ha già posto il problema alla presidente Boldrini: vorrebbero due vicepresidenti, un questore (Carla Ruocco e Laura Castelli in pole position) e un segretario.
“Ci spettano come primo partito – dicono – Ma è una prassi che non è scritta in nessun regolamento”.
Paola Zanca
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Marzo 17th, 2013 Riccardo Fucile
IL SI’ DI GIOVANI TURCHI E RENZIANI
La ruota gira, direbbe Bersani. I renziani sono i più entusiasti della mossa del segretario. «Scelte ottime, personalità nuove e straordinarie. Magari durano due mesi, ma tanto di cappello».
Lo dice Luca Lotti, neodeputato, quasi un fratello del sindaco di Firenze.
La senatrice umbra Nadia Ginetti ha un sorriso largo così: «Questo è il cambiamento che vogliamo noi. Oggi si può essere orgogliosi di rappresentare il Pd».
Quando è ancora in corso il ballottaggio al Senato, Bersani già vola verso Milano, tappa intermedia prima di tornare a casa a Piacenza.
Vuole solo dormire, dopo una notte in bianco, la notte «in cui abbiamo dimostrato che cambiare si può».
Poi, l’esito del voto a Palazzo Madama lo spinge a valutare la decisione dei grillini. «C’è gente che comincia a capire che vogliamo davvero il cambiamento. Non a chiacchiere, coi fatti. Dimostreremo che siamo pronti a seguire ancora questa strada».
Nessuna concessione all’antipolitica, sia chiaro.
«Semmai, Boldrini e Grasso dimostrano che la polita sa offrire un’immagine nobile dell’Italia, che le istituzioni sono vive. È tutta salute, vedrete».
Il nodo politico del governo però sta ancora lì, grande e intricato.
Bersani cercherà di scioglierlo con la politica dei piccoli passi, ricostruendo innanzitutto il rapporto con Napolitano.
Ieri lo ha fatto con una telefonata «delicata» che ha sorpreso il presidente della Repubblica, che ha registrato qualche lungo secondo di silenzio dopo l’annuncio.
Ma alla fine la tensione si è sciolta.
Sono le otto di mattina, la decisione finale presa da Bersani, Dario Franceschini, Enrico Letta e Nichi Vendola è diventata concreta da appena mezz’ora.
Il leader del Pd chiama il Quirinale. «Abbiamo deciso per Boldrini e Grasso ».
Il capo dello Stato è spiazzato, ma non si perde d’animo. «Sono due scelte importanti. Conosco bene Grasso e lo stimo. Conosco meno la Boldrini, ma so del suo impegno». È il via libera definitivo.
A notte fonda, dopo la riunione di Scelta civica che rinuncia a candidare un montiano, solo in pochissimi conosco i presidenti in pectore. Il “cambiamento” prevede il passo indietro dei candidati di partenza, Franceschini e Finocchiaro. Il primo partecipa all’indicazione di Laura Boldrini. E gestisce la comunicazione ai parlamentari democratici con un discorso alto.
Tra i dirigenti del Pd è quello che conosce meglio Boldrini. La voleva candidata nelle liste democratiche, ma arrivò prima Vendola.
Anna Finocchiaro viene avvertita intorno alle 8 da Bersani.
Reagisce da professionista e da signora, senza nascondere l’amarezza. Per questo Bersani la invita alla Camera e all’ora di pranzo l’accompagna sottobraccio nel Transatlantico, come se fosse lei la vincitrice.
Intorno alle 4 di notte, tanti sono ancora svegli. Si sparge la voce che il Pd vira su una donna giovane e nuova a Montecitorio. Per questo alcuni pensano a Marianna Madia anche se il suo nome non è mai stato nella testa del segretario.
Per qualche ora, sembra che possa tenere la coppia rosa Boldrini-Finocchiaro. Ma qui entra in ballo il braccio di ferro, ormai scoperto, con i tifosi interni delle larghe intese, primo fra tutti D’Alema.
Escludendo la capogruppo del Senato, Bersani, raccontano i suoi fedelissimi, manda un messaggio chiaro a quella fetta del partito che pensa a «manovrette »: «C’è solo Pier Luigi in campo per il governo. Non esistono piani B».
Lo schema del piano B prevedeva infatti il rapido trasferimento da Palazzo Madama a Palazzo Chigi per la Finocchiaro in caso di fallimento del tentativo Bersani.
La senatrice finisce stritolata in questo vortice e non è la prima volta che le capita.
Il segnale arriva anche ai giovani del Pd, alle new entry, sui diffonde attraverso i social network che festeggiano i volti inattesi.
È la vittoria dei “turchi” di Stefano Fassina, Matteo Orfini e Andrea Orlando, dei deputati liberi pensatori come Andrea Martella, dei figli delle parlamentarie come Pippo Civati, dei renziani.
Ora Bersani è chiamato a tenere unito il Pd dei giovani e i “maggiorenti”, mentre gli equilibri cambiano e i nomi dei presidenti sono lì a testimoniare la rivoluzione in atto. Correnti, scettici, ambizioni.
Il Pd è anche questo, anche se da Largo del Nazareno spiegano che tutti sono «in grado di leggere il livello delle reazioni su Internet».
Quindi si daranno una regolata.
È la vittoria del nucleo emiliano: Vasco Errani, Miro Fiammenghi e Maurizio Migliavacca, sostenitori.
C’è però da allontanare il fantasma di una vittoria di corto respiro.
La posta vera è il governo, è Bersani premier. «Se si valutano bene i numeri si vedrà che lo spiraglio c’è», dice Migliavacca con la valigia in mano. «Torno a casa di corsa. Ho fatto il mio lavoro, mi pare», dice soddisfatto.
Non ci sono alternative al segretario: «Il cambiamento può guidarlo solo lui», ripetono quelli che gli sono più vicini.
Ma i sostenitori di un accordo con il Pdl aspettano un passo falso del leader.
Anche piccolo.
Il sentiero del resto rimane stretto e pieno di ostacoli.
Goffredo De Marchis
(da “La Repubblica”)
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Marzo 17th, 2013 Riccardo Fucile
“FACCIAMO NASCERE IL GOVERNO, VEDRETE CHE VA AVANTI”
È notte fonda, quando i vertici del Pd decidono la svolta. 
Pier Luigi Bersani capisce che per uscire dall’angolo sono necessari due nomi nuovi per Camera e Senato. «Ci vuole uno come Piero Grasso, ragazzi. Uno che può mettere in difficoltà i grillini, che li può far riflettere. Uno a cui è difficile per loro dire di no».
L’idea viene accettata subito dal gruppo dirigente.
«E ora ci vuole una donna per la Camera». L’immancabile rappresentante femminile, quella che serve per non farsi dire che i partiti, anche a sinistra, sono tutti maschilisti. Potrebbe essere Marianna Madia, propone qualcuno. Ma alla fine la scelta cade su Laura Boldrini. Vasco Errani la conosce bene. E anche Dario Franceschini che dovrà cederle suo malgrado il posto.
È stata eletta con Sel, ma va più che bene al Pd, che avrebbe dovuto candidarla ma, non avendo più posti sicuri nelle liste, ha lasciato che fosse il movimento di Vendola a candidarla. «Perfetto», mormora Bersani mentre morde il sigaro.
Il compito forse più difficile è quello di comunicare la notizia a Giorgio Napolitano. Ma tocca farlo. Dall’altro capo del filo, dopo aver sentito i nomi, il capo dello Stato fa una pausa.
Silenzio, poi: «Ottima scelta».
Bersani sa che il presidente della Repubblica avrebbe preferito una soluzione condivisa e gli spiega: «Concordo con i tuoi appelli, ma in queste condizioni l’unità nazionale non è proprio possibile».
No, da quell’orecchio il segretario del Partito democratico non ci vuol sentire. Per lui ci sono solo due strade: o il governo da lui presieduto, o il voto.
Possibilmente il 30 giugno e il primo luglio. Perchè a ottobre è tardi. Si rischia di più.
In autunno le primarie saranno inevitabili: questa volta bisognerà farle vere, allargate, e Matteo Renzi è pronto.
Per quella data Bersani potrebbe non essere più in campo.
Ma nel Pd si è già individuata la possibile avversaria del sindaco di Firenze, nel caso in cui Bersani si faccia da parte: Laura Boldrini.
Sì, proprio lei: «Sarebbe un’ottima candidata e fossi in Renzi ne avrei paura», spiega ai suoi, Beppe Fioroni, assiso su un divanetto del Transatlantico.
Ma questo eventuale scenario riguarda il futuro, per adesso il segretario pensa di aver fatto «la mossa del cavallo».
E intende chiedere nuovamente, e con maggior forza, il mandato a Napolitano.
Forte del fatto che i grillini non si sono mostrati più una falange compatta e ostile al dialogo con il Pd.
Alla Camera, dove pure non hanno votato per Boldrini, l’hanno applaudita e poi incontrata.
Al Senato il gruppo del Movimento 5 Stelle si è spaccato. Più di dieci parlamentari nel segreto dell’urna hanno votato Grasso. Insomma, secondo Bersani in quel fronte «qualcosa si potrebbe muovere»: «Cerchiamo di far nascere questo governo, e poi vedrete che va avanti».
Anche perchè Bersani potrebbe proporre altri nomi adatti per un confronto con i grillini. Potrebbe indicare Stefano Rodotà per la presidenza della Repubblica, o inserirlo nel suo governo insieme ad altre personalità che non dispiacciono a quel mondo.
Si vocifera che anche Luigi Ciotti potrebbe dare una mano per aprire un canale di comunicazione tra Partito democratico e 5 Stelle.
Ma c’è chi ritene che in realtà questa mossa di Bersani porti soltanto alle elezioni.
«Due nomi degnissimi, però si sembra che siano due nomi da campagna elettorale», osserva Ermete Realacci. E Rosy Bindi confida a un amico: «Questa legislatura dura poco».
Già , anche perchè, per dirla con il veltroniano Andrea Martella, «i problemi restano tutti».
Nel senso che questa soluzione per le presidenze delle due Camere non ha creato una maggioranza autosufficiente.
Inoltre quelli di Boldrini e Grasso sono due nomi difficili da usare per un governo istituzionale perchè incontrerebbero il no del centrodestra: segno, secondo alcuni Democrat, che Bersani sta facendo di tutto per ridurre a due le possibili alternative: o un governo da lui guidato, o le elezioni il prima possibile.
Maria Teresa Meli
(da “il Corriere della Sera“)
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Marzo 17th, 2013 Riccardo Fucile
L’AMBIZIONE DEL PREMIER HA FRENATO OGNI POSSIBILITA’ DI FAR EMERGERE LA CANDIDATURA DI UN ALTRO ESPONENTE DI LISTA CIVICA
Per il Professore di Scelta civica l’analisi della sua disfatta è più psicologica che politica. Ammette un senatore centrista, a microfoni spenti: “Il premier ha perso completamente la lucidità ”.
Spiega sgomento un big del Pd che ha seguito la trattativa decisiva dell’altra notte, tra venerdì e sabato: “Era come impazzito, a ogni nome che abbiamo proposto per sbloccare lo stallo con il centro lui ha risposto: ‘O me o nessuno’. Questo nonostante avesse promesso di tirarsi indietro dopo il no di Napolitano” .
Un’ambizione tignosa che ha scorticato a sangue la celebre sobrietà incarnata dall’uomo in loden verde.
Monti è salito su una giostra perdente che in 24 ore lo ha portato da Bersani e Napolitano ai berlusconiani e infine all’isolamento nel polo di centro, spaccatosi per la sua ostinazione. Riassunto della puntata precedente: venerdì mattina, Monti pretende dal Pd la candidatura a presidente del Senato, Bersani oscilla e a risolvere la questione è il Quirinale che intima al premier di fare un passo indietro istituzionale.
A quel punto il Pd offre ai centristi la Camera (Balduzzi o Dellai) poi lo stesso Senato (l’ex formigoniano Mario Mauro), ma Monti continua a dire no.
Il sabato neri del Professore si apre con una scena del tutto diversa.
Gli squali del Pdl fiutano il colpaccio e vanno in pressing sui montiani, a tutto campo.
B. ha messo in campo Schifani e gli schieramenti hanno numerosi contatti. Da un lato, per il Pdl: Gasparri, Quagliariello, Verdini, Bonaiuti. Dall’altro, per i centristi: Mauro, l’ex aclista Olivero, Della Vedova.
Viene anche organizzato un faccia a faccia tra Monti e Berlusconi, grazie al lavorìo di Federico Toniato, uomo ombra del premier a Palazzo Chigi.
L’annuncio del vertice tratteggia scenari che vanno oltre i voti di Scelta civica a Schifani nel ballottaggio con Grasso: lo stesso Monti presidente del Senato o leader del centro-destra oppure ancora capo dello Stato.
Un centrista autorevole decifra così il mistero montiano: “Vuole il Senato per andare al Quirinale”.
Casini, senatore anche lui, aiuta il premier a fare i conti sui voti. Prima della seduta pomeridiana, il gruppo di Monti si riunisce e si spacca.
La scelta è di votare scheda bianca e non fare “la stampella di nessuno”.
Ma c’è una fronda filodemocrat: Olivero, Lanzillotta , Maran, Ichino.
Gli ultimi tre provengono proprio da quell’area. Il confronto è duro ma prevale la linea dell’unità per non indebolire ancora di più il confuso Monti. Si vota scheda bianca.
Gasparri denuncia: “I montiani piegano la scheda prima di entrare nella cabina per farsi controllare”.
È il caso della Lanzillotta che si avvicina al seggio e piega la scheda davanti a tutti. Poi dichiarerà : “I nostri voti sono stati decisivi per l’elezione di Grasso: siamo 21 e la differenza di voti rispetto a quelli ottenuti da Schifani è stata di 20 voti”.
Grasso passa che è già buio e ancora Gasparri si prende la sua vendetta: “I montiani ci hanno offerto cose oscene”, avrebbero votato Schifani in cambio di un disimpegno del Pdl per favorire la nascita di un governo tra Pd e Scelta civica.
Commento di un berlusconiano: “Secondo Monti loro dovevano fare il governo e noi andarci a nasconderci nei cessi. Roba da mentecatti”.
Fabrizio d’Esposito
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Marzo 17th, 2013 Riccardo Fucile
PRIMA VOLEVA FARE IL PRESIDENTE DEL SENATO COI VOTI DEL PD, POI HA PROVATO A CERCARE L’APPOGGIO DEL PDL… I SUOI SONO SPACCATI IN QUATTRO, LUI PROVA A GIOCARSI LE (POCHE) CARTE PER IL QUIRINALE
“Quantitè negligeable“. Certo, qualche mese fa Silvio Berlusconi non avrebbe mai usato
questa sprezzante espressione francese nei confronti del premier Mario Monti.
Ma se ieri, entrando al Senato, ha sentito il bisogno di commentare così la ‘quantità ininfluente’ dei voti montiani, lo si deve senz’altro alle ultime intemerate del leader di Scelta Civica.
Ebbene Monti voleva farlo lui il presidente del Senato.
E ne ha fatto esplicita richiesta, tanto da mettere in seria difficoltà Bersani.
Però, quello che si è visto ieri per l’elezione del tandem Boldrini-Grasso, è in fondo proprio quello che diceva il Cavaliere, cioè che le schede bianche dei montiani — viste anche le posizioni di M5s — ad oggi sono un pacchetto di voti non determinante.
Eppure Monti, nonostante la sua ininfluenza, è deciso a far pesare i suoi voti su altri tavoli: quello del futuro governo, e quello per il nuovo inquilino del Colle.
Le trattative febbrili ed i contatti con Pd e Pdl (dal quale il premier uscente e i suoi si sono lasciati corteggiare per l’elezione di Schifani a Palazzo Madama) hanno davvero fatto pensare, ieri, ad un premier in bilico tra l’accordo con Bersani e l’intesa con Berlusconi.
Non era così.
Tanto che, ad un certo punto, Monti è stato accusato platealmente dal Pdl di aver cercato di giocare una partita tutta sua per ottenere, alla fine, l’agognato Colle: ”Tramite Letta ha fatto sapere a Berlusconi di essere pronto a votare Schifani chiedendo in cambio di aiutarlo a far nascere un governo Bersani e promettendo che ottenuto ciò il Pd lo avrebbe votato per il Quirinale andando così a garantire il Cav, dalla Presidenza della Repubblica”, ha accusato un dirigente pidiellino.
E’ successo così.
Che davanti a queste accuse, i montiani sono rimasti amareggiati e perplessi dall’atteggiamento personalistico del Prof, deciso a ritrovare nuovo ruolo nel prossimo scenario politico. E
sono andati in mille pezzi.
Mentre, infatti, al Nazareno si viveva lo psicodramma di una scelta che si sarebbe potuta rivelare esiziale per il partito, in beata solitudine Monti premeva in modo fortissimo sul Capo dello Stato per raggiungere l’obiettivo.
Nessuna possibilità di mediazione, come era stata offerta dal Pd, nessuno dei suoi alla presidenza della Camera; o lui, o niente.
Momenti di tensione ed imbarazzo, per questa intransigenza, soprattutto per il chiaro intento che si celava dietro una mossa personale: da presidente del Senato, in caso di prossimo governo istituzionale, Monti avrebbe avuto l’incarico dal Capo dello Stato restando, in questo modo, anche al governo.
Un disegno tutto solitario, cioè non sostenuto neppure dai suoi, ormai spaccati in quattro correnti distinte, da quella di Sant’Egidio capitanata da Riccardi, ai montezemoliani e agli ex Udc, tra cui Lorenzo Cesa che – si dice – sia già pronto a prendere il largo in settimana prossima.
Monti, invece, ci credeva. Al punto, si è detto, da farne esplicita richiesta al Capo dello Stato. Che l’ha presa male, però. Molto male.
Monti, a quanto sembra, il suo discorso lo aveva preparato bene, con tanto di cartellina con i pareri di fior fiori di giuristi che sostenevano la possibilità di passare, senza colpo ferire, da presidente del Consiglio a Presidente del Senato.
E poi, avrebbe aggiunto Monti, il suo lavoro di premier si poteva considerare concluso, visto anche il risultato del Consiglio Europeo.
Napolitano ha respinto ogni avance, fatto che ha poi avuto immediate conseguenze sulla tenuta del gruppo al Senato.
Adesso Monti pensa in cuor suo essere in corsa per il Colle, ma l’aspirazione, al momento, resta solo personale.
Sembra sia certo che Bersani non potrà prescindere, se vorrà provare a governare, dal suo appoggio.
Ma intanto, su Twitter, il senatore Pd Andrea Martella, citando De Gregori, fa capire che aria tira: ”Che figuraccia Monti: un campione si riconosce dal coraggio, dall’altruismo e dalla fantasia…”.
Quella che gli è mancata sul più bello, facendolo cadere (definitivamente) tra le riserve, spuntate, della Repubblica.
Sara Nicoli
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Marzo 17th, 2013 Riccardo Fucile
L’EX PREMIER PUNTA SU SCHIFANI E SBAGLIA CAVALLO, RIVENDICA LA PARITà€ DI VOTI TRA PDL E PD E ATTACCA I GRILLINI“SCIENTOLOLOGY”
Il bello della politica è che in poche ore può impazzire, come la maionese”.
Scherza con i giornalisti Renato Schifani mentre i senatori vengono chiamati uno per uno a scegliersi un presidente.
La decisione di riproporre Schifani era stata presa durante una riunione del gruppo parlamentare del Pdl, all’alba. Silvio Berlusconi non c’era.
Arriverà nel pomeriggio per legittimare il suo impedimento a presentarsi in tribunale. Ma il nome lo avalla lui, dopo una telefonata con Roberto Calderoli che conferma la fedeltà del Carroccio.
Due siciliani a confronto, uno accusato da un pentito di avere rapporti con la mafia, l’altro procuratore antimafia.
Un duello sulla giustizia, impossibile da vincere per Schifani, almeno sulla carta.
Del resto Berlusconi era stato chiaro: non è questa la poltrona che mi interessa. Ma la politica è come la maionese. E allora durante la prima chiama dei senatori lo scenario improvvisamente cambia.
Il regista dell’operazione è Denis Verdini. à‰ più forte di lui, se c’è una partita, se la gioca.
Incita i suoi: “Ci mancano meno di dieci voti, ce la possiamo fare”. 117 consensi sicuri contro i 126 del Pd.
La notizia corre fino alla Camera. Lì la storia è già chiusa,
Laura Boldrini è stata eletta presidente, sta leggendo il suo discorso davanti ai pidiellini impietriti.
Più le donne: vedono davanti a loro l’immagine di una signora forte che le stupisce.
“à‰ nata una stella” scrive Deborah Bergamini su Twitter.
L’aria sembra cambiata ma dal Senato arriva l’ipotesi di un accordo tra Pdl, Lega e montiani e gli animi si surriscaldano.
“Chiunque ci può aiutare nei rapporti con i senatori di Scelta civica lo faccia” chiede Verdini. Il primo messaggero è Maurizio Gasparri.
L’ex capogruppo prima prova un attacco su Mario Mauro in aula, poi si avvicina direttamente al banco di Monti.
Il colloquio va per le lunghe, in serata Gasparri dichiarerà che in cambio del voto a Schifani i montiani avrebbero chiesto al Pdl di uscire dall’aula in occasione della fiducia per far nascere un governo di minoranza Pd-Sel-Scelta civica, eventualmente appoggiato dalla Lega.
Di certo hanno chiesto un candidato “votabile”. Nulla di fatto.
La politica è come la maionese.
I senatori del MoVimento 5 stelle capiscono di poter determinare, con una loro scheda bianca, la vittoria di Schifani e cominciano a discutere il da farsi.
Prima della riunione il capogruppo Vito Crimi ribadisce il “no” a entrambi i candidati. Verdini è alla buvette, ci crede, ha il sorriso delle grandi occasioni.
Ma la riunione dei grillini va per le lunghe, c’è tensione, comincia a delinearsi un voto secondo coscienza. La politica, la maionese.
I montiani, che avevano strizzato l’occhio al Pdl, scelgono la scheda bianca. “Sono ininfluenti — dirà Silvio Berlusconi — una quantitè negligeable”.
Invece avrebbero potuto fare la differenza, eccome.
L’ex premier è a Roma dall’ora di pranzo ma non si presenta al Senato fino all’ultimo secondo utile, avvertito da Verdini del fallimento delle trattative.
Quando scende dalla macchina, di fronte al Palazzo, con un paio di occhialoni neri, una ventina di persone lo contestano: “Buffone”. Lui risponde, “vergognatevi, siete degli stupidi”.
Succederà lo stesso all’uscita. Entra in cabina con gli occhiali e se li toglie subito dopo, in segno di sfida contro le visite fiscali. “C’è una setta come Scientology in Parlamento” dice attaccando i grillini, e rivendica la parità dei voti tra Pd e Pdl.
I suoi lo applaudono, gli si stringono intorno. Ma questa volta non è andata bene. Schifani è rimasto solo con i suoi 117 consensi. Passa Piero Grasso con 137 voti, 14 in più della somma di Pd, Sel e Svp, che comunque non sarebbero nemmeno serviti.
Il Pdl grida all’inciucio Pd-Sel-5stelle ma sanno bene che il rischio maggiore è che montiani e Lega facciano nascere un governo guidato dai democratici e si accordino anche su un nome per il Quirinale, lasciandoli fuori da tutto.
Non gli resta che sperare nella maionese.
Caterina Perniconi
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Marzo 17th, 2013 Riccardo Fucile
“SIAMO QUA PER SALUTARCI, PARLARCI, IN QUESTA PIAZZA CHE HA LE DIMENSIONI DEL MONDO”
Una grande speranza che si tocca con mano. 
Una folla impressionante, mai vista dal giorno dei funerali di Wojtyla.
Una folla diversa da quella consueta: pellegrini, certo, ma anche tante ragazze giovani, padri con i bambini, anziani del quartiere che hanno portato gli animali di casa dopo aver visto il Papa benedire un cane-guida per i ciechi.
Piazza San Pietro piena già un’ora prima dell’Angelus, folla per tutta via della Conciliazione sino al Tevere davanti ai maxischermi, striscioni con la scritta: «Francesco sei la primavera della Chiesa», «Francesco va e ripara la mia casa».
IL DISCORSO –
Il Papa ha visto, ha capito, ha sorriso. E ha incentrato il suo discorso, improvvisando spesso a braccio, sul perdono e anche sulla fiducia reciproca, sul rispetto, sulla bellezza dei rapporti umani.
Al mattino aveva già detto la messa nella chiesa di Sant’Anna, e alla fine anzichè sparire in sacrestia con i concelebranti si è fermato a salutare i parrocchiani uno a uno. Poi esordisce con un semplice “buongiorno”: «Siamo qui per salutarci, parlarci, in questa piazza che grazie ai media ha le dimensioni del mondo».
Commenta il Vangelo dell’adultera che Gesù salva dalla condanna a morte: «Non sentiamo parole di disprezzo o di condanna ma soltanto parole di amore, di misericordia, che invitano alla conversione. Il volto di Dio è quello di un padre misericordioso, che sempre ha pazienza. Avete presente la pazienza di Dio con noi? Egli non si stanca di perdonarci se sappiamo tornare a lui con il cuore contrito».
LA CITAZIONE –
Il Papa cita il libro del cardinale Kasper, «un teologo in gamba»: «Ma non credete che faccio pubblicità ai libri dei cardinali!».
«E’ un libro che mi ha dato molto, mi ha insegnato che un po’ di misericordia rende il mondo meno freddo e più giusto».
Evoca Isaia: «Se anche i nostri peccati ci facessero rossi scarlatto, la misericordia di Dio ci farà bianchi come neve».
E racconta un episodio che mortifica l’orgoglio intellettuale degli studiosi ed esalta la semplicità dei fedeli: «Un giorno a Buenos Aires venne la Madonna di Fatima. Ci fu una grande messa per gli ammalati. Io sono andato a confessare e alla fine è venuta da me una donna anziana, molto umile. Io le ho detto “Nonna lei vuole confessarsi?». Sà, mi ha risposto. «E se il Signore non la perdonasse?» «Se il Signore non perdonasse, tutto il mondo non esisterebbe». A me veniva da dire: «Signora lei ha studiato alla Gregoriana?». Questa è la sapienza!».
Poi Francesco rinnova l’invito a pregare per lui.
Ricorda di aver scelto il nome del patrono d’Italia, «il che rafforza il mio legame con questa terra dove sono le radici della mia famiglia. Non dimenticate questo: il Signore mai si stanca di perdonare; siamo noi che ci stanchiamo di chiedere perdono».
La folla piange e ride, è commossa ma anche di buonumore.
E lui, sorridendo: «Buona domenica e buon pranzo».
Un carisma immediato che non ha bisogno di spiegazioni.
Semplice. Straordinario.
Aldo Cazzullo
(da “il Corriere della Sera”)
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Marzo 17th, 2013 Riccardo Fucile
MA CHI NON SA COMPRENDERE LA PROPRIA BASE TORNI A FARE I BAGNI A NERVI… IL NEO DITTATORE MINACCIA: “CHI NON HA RISPETTATO LE DECISIONI PRESE A MAGGIORANZA NE TRAGGA LE CONSEGUENZE”
Chiamato alla prima vera prova della democrazia rappresentativa il Movimento 5 Stelle si è lacerato. Diviso.
Nella scelta se optare per la scheda bianca o per sostenere Piero Grasso alla presidenza del Senato.
Alla fine alcuni di loro hanno sostenuto il magistrato per lo scranno più alto di palazzo Madama e in serata è arrivato il commento di Beppe Grillo, sul suo popolare blog.
«Se qualcuno si fosse sottratto a questo obbligo», del voto segreto e a maggioranza «ha mentito agli elettori, spero ne tragga le dovute conseguenze», ha scritto Grillo sul suo blog invitando alle dimissioni quei senatori del M5S che oggi in Aula al Senato, a suo dire, non hanno rispettato il «codice di comportamento degli eletti».
«Nella votazione di oggi per la presidenza del Senato è mancata la trasparenza. Il voto segreto non ha senso, l’eletto deve rispondere delle sua azioni ai cittadini con un voto palese. Se questo è vero in generale, per il Movimento 5 Stelle, che fa della trasparenza uno dei suoi punti cardinali, vale ancora di più. Per questo vorrei che i senatori del M5S dichiarino il loro voto».
Quella dei senatori grillini a Palazzo Madama è stata una giornata lunga.
Scandita, come mai prima, da discussioni, spaccature. Da una crepa che ha innescato nel MoVimento un confronto duro, serrato.
Al centro, la scelta di non sostenere il senatore del Pd alla presidenza del Senato.
Una scelta che per qualcuno è stata in linea con l’impostazione del MoVimento. Per altri, “un errore” che va contro i valori dei Cinque Stelle.
E, alla fine, tra i senatori di Grillo non manca chi va contro l’ordine di scuderia, e vota l’ex procuratore antimafia.
Alla fine Vito Crimi ammette: “Abbiamo mantenuto la linea. Per alcuni c’è stato un voto secondo coscienza, ma una cosa è la presidenza del Senato, un’altra il voto di fiducia al governo”.
Tutto inizia con la riunione del pomeriggio. E’ lo stesso Luis Alberto Orellana, senatore, che ammette: “Non c’è stata unanimità per decidere se votare Piero Grasso o mantenere la linea tenuta fino ad ora”.
Una riunione turbolenta. Da cui provengono “applausi, ma anche urla e rumori”.
E pugni sul tavolo: gesti che scalfiscono il monolitismo del MoVimento.
Poco prima della fine della riunione, Rosario Petrocelli, eletto in Basilicata, abbandona l’incontro scuro in volto, senza rilasciare nessuna dichiarazione alla stampa. Ancora: qualche senatore uscendo, scuote ancora la testa e contesta la decisione.
Lo scambio di battute dei senatori grillini, è rivelatorio: “Dai non te la prendere, non siamo un partito”. La reazione di una collega: “Insomma, pensavo fossimo cresciuti un po’”.
E anche la prossemica è rivelatoria. Si passa dal blocco compatto ai capannelli.
Come quello che si riunisce proprio intorno a Orelliana durante lo spoglio: diversi senatori parlano in gruppo, in piedi in varie zone dell’emiciclo.
Poi le indiscrezioni sulla decisione presa: per alzata di mano si sceglie di non votare Pietro Grasso. E non mancano le indiscrezioni: “Se vince Schifani quando torniamo a casa a noi siciliani ci fanno un mazzo tanto…”.
E’ quanto avrebbe detto un senatore siciliano durante la riunione dei grillini. Poi l’ammissione: “Molti di noi hanno detto che voteranno Grasso”.
Proprio in rete si gioca per i grillini un’altra partita.
Forse quella più importante per la loro ragione sociale.
Su Twitter nasce un hashtag, #M5SpiùL che fa il verso al modo con cui Grillo chiama il Pd (PdmenoL).
In definitiva, due le cose che vengono rimproverate ai senatori 5 Stelle: la mancanza di diretta streaming della loro riunione per decidere l’atteggiamento da tenere al ballottaggio, e la stessa indecisione di fronte alla scelta tra Schifani e Grasso.
”Uno è l’ex procuratore nazionale antimafia l’altro accusato di concorso esterno in associazione mafiosa. Scelta difficile, Beppe”.
Ancora: “Oggi al Senato i grillini ci mostreranno il lato oscuro delle stelle”.
Se Grillo pensa di gestire questa base come se gestisse una caserma ha poco da minacciare espulsioni, meglio farebbe a pensare a fare i bagni a Nervi: la bella stagione si avvicina.
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