Marzo 30th, 2013 Riccardo Fucile
IN UN PAESE CIVILE NESSUN SCIACALLO DEL GENERE AVREBBE LIBERO ACCESSO NELLE ISTITUZIONI: 54 LESIONI IN TUTTE LE PARTI DEL CORPO PER LUI NON SONO SUFFICIENTI PER MANDARE IN GALERA I RESPONSABILI
Quello dietro la testa di Federico Aldrovandi non è sangue, è un cuscino. L’agghiacciante dichiarazione arriva dalla bocca di Carlo Giovanardi, intervistato in diretta radio da La Zanzara.
L’occasione della gaffe era stata offerta dalla manifestazione di ieri a Ferrara in solidarietà a Patrizia Moretti, dopo le polemiche per il sit in del sindacato di polizia del Coisp .
Giovanardi si era già prodigato in passato in un clamorosa scivolone sul caso del diciottenne ucciso a Ferrara nel 2005.
Quella volta, era il luglio 2007, nel corso di una trasmissione televisiva bollò Federico come “eroinomane”.
E questo di fronte ai genitori presenti in studio, che cercarono di spiegare invano all’allora ministro per i Rapporti con il Parlamento in quota Udc, che quella circostanza non era suffragata da alcun riscontro processuale.
Ora il senatore Pdl scivola ancor più pesantemente e bacchetta il conduttore Giuseppe Cruciani: il ragazzo “non è stato massacrato, ma avete letto la sentenza?”.
Domanda che andrebbe girata allo stesso Giovanardi, dal momento che nella sentenza di primo grado il giudice Caruso faceva notare che ognuna delle 54 lesioni disseminate sul corpo di Federico meriterebbe un processo penale.
Il parlamentare viene quindi all’immagine della discordia, quella del giovane privo di vita scattata all’obitorio: “Quella foto che ha fatto vedere la madre è una foto terribile, ma quella macchia rossa dietro è un cuscino. Gli avevano appoggiato la testa su un cuscino. Non è sangue, ma neanche la madre ha detto che è sangue e neanche lo può dire, perchè non è così”.
Non solo quel sangue è semplicemente un cuscino su cui qualche caritatevole ha adagiato il capo di Federico, ma va anche ricalibrato il concetto omicidio colposo nel caso io esame: “Ho capito che una persona è morta, ma anche in un incidente stradale muoiono delle persone. Anche quando un medico opera e per imperizia sbaglia con il bisturi e cagiona la morte di un paziente. Era una persona in stato di alterazione psicomotoria determinata anche dall’assunzione di stupefacenti, situazione di alterazione segnalata da cittadini e purtroppo per lui in questo scontro così duro, essendo lui anche una persona robusta, è accaduto l’imprevedibile”.
La replica della madre di Federico, reduce dalla testimonianza d’affetto di quattromila persone, non si fa attendere: “Lo coprirei di insulti. Adesso basta, querelerò anche lui”.
La Moretti viene chiamata a commentare anche un’altra notizia odierna, protagonista il magistrato di sorveglianza di Bologna che, a differenza di quanto disposto dall’omologo di Padova che aveva fatto uscire di cella Monica Segatto, ha rigettato la medesima istanza di detenzione domiciliare per Paolo Forlani e Luca Pollastri.
Nella respingere la richiesta delle difese si parla di “mancanza di comprensione della gravità della condotta” e di “cultura della violenza, tanto più grave ed inescusabile, in quanto da parte di appartenenti alla Polizia di Stato”.
Per Enzo Pontani, altro agente, l’istanza di detenzione domiciliare non risulta essere stata ancora esaminata. “È il minimo. Va bene. È giusto così”, si limita a dire Patrizia Moretti.
Sempre in tema Aldrovandi, è rimbalzata di nuovo dalle agenzie la notizia riguardante il ritorno in servizio dei quattro poliziotti condannati, una volta scontata la detenzione e passati i sei mesi di sospensione.
Una notizia che solleva a sua volta un’altra questione: se da una parte il ministro Cancellieri continua a garantire alla famiglia di Federico che verrà adottato ogni provvedimento contro quelle che ha definito “mele marce”, come può la titolare del Viminale non sapere che la commissione disciplinare del Dipartimento della Pubblica Sicurezza si è già espressa (e per la sospensione e non per la destituzione) e che di conseguenza, nonostante l’appello di Patrizia Moretti e Lino Aldrovandi, chi ha ucciso Federico tornerà a indossare la divisa?
“Io non so se quella della commissione disciplinare sia la decisione finale, o se ci sia ancora spazio — aggiunge la madre -. Credo che si tratti di etica, qualcosa che va oltre le regole: si tratta di umanità il fatto che qualcuno che ha ucciso un ragazzo resti nelle istituzioni o meno”.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Marzo 30th, 2013 Riccardo Fucile
TESTIMONE INDIMENTICABILE DI UNA CITTA’ DOVE C’E’ “SOFFERENZA, POESIA E MALINCONIA”
] Enzo Jannacci la sua Milano la guardava dall’alto, da casa, in un palazzo al sesto piano di Città
studi, dal quale si scorgeva il profilo del Pirellone.
Ma l’ha sempre vissuta e raccontata dal basso, nelle strade dove i personaggi delle sue canzoni si muovevano cercando il futuro, o semplicemente la sopravvivenza.
Donne e uomini semplici, come la Vincenzina, che negli anni sessanta era “davanti la fabbrica” ad aspettare suo marito e che invece adesso, in un’intervista al Corriere del 2004, il cantautore e poeta milanese di origini pugliesi, si augurava fosse “la moglie di uno che almeno è riuscito ad avere la pensione”.
IL «BARBUN» ALL’IDROSCALO
Come il vagabondo che pregava un “sciur” per salire sulla macchina bella “per andare all’Idroscalo”, ma a lui, al “barbun”, importava soprattutto fare un giro sulla macchina.
O come l’uomo che per pagare una cambiale, in “E l’era tardi”, va a disturbare un ex commilitone, ma poi gli manca il coraggio di turbare la serenità familiare dell’amico.
Una Milano che vive aggrappata agli affetti profondi, all’amore all’amicizia, a valori antichi che si devono confrontare con le trasformazioni di una città che diventa metropoli.
Milano che non è più quella del Derby o del Santa Tecla, i locali storici dei cantautori e del cabaret.
Ma che a suo modo, è una città eterna: “Dove c’è sofferenza e malinconia, c’è il momento poetico.
«MA COM’E’ CHE MUOIONO TUTTI?» –
E a Milano ci sarà sempre”, raccontava qualche anno fa, sempre al Corriere, Jannacci, che ha regalato a tutti tante memorie nel bellissimo libro “Aspettando al semaforo”, scritto con il figlio Paolo.
E che ha lasciato a chi scrive un ricordo incancellabile: quando in quella sua casa di Città studi, nel 2004, parlando dei suoi cari amici Beppe Viola e Giorgio Gaber, che non c’erano più, guardando fuori dalla finestra con occhi smarriti, si è domandato tra sè e sè: “Ma com’è che muoiono tutti?”.
Matteo Speroni
(da “il Corriere della Sera”)
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Marzo 30th, 2013 Riccardo Fucile
IL RICORDO DI MARIO LUZZATTO FEGIZ
Enzo Jannacci è stato il rappresentante di una cultura musicale e cabarettistica tipicamente milanese.
Non solo un cantautore, ma un caposcuola, intorno al quale si sono aggregati personaggi di grande rilievo come Cochi Ponzoni, Renato Pozzetto, Massimo Boldi, Beppe Viola.
Fra i migliori amici del medico-cantautore, l’avvocato cantante Paolo Conte. E poi Giorgio Gaber, per lungo tempo compagno di scena (la loro esecuzione di «Una fetta di limone» in stile Blues Brothers resta un classico), e Dario Fo che rimase subito colpito dal suo talento.
Jannacci ha firmato canzoni di rara bellezza, ironiche, struggenti.
Ha cantato il mondo dei perdenti, come il «Palo della Banda dell’Ortica» o la «Vincenzina davanti alla fabbrica» o, simbolo degli emarginati a vita, il protagonista di «Vengo anch’io».
Ha trasformato in eroe un cornuto strutturale come l’Armando, e in eroina del libero amore la molto disponibile Veronica (che lo faceva «al Carcano, in pè», in piedi). Faccia indefinibile, fra lo stupefatto, l’imbarazzato e l’immobile, quella parlata apparentemente stentata e nasale: per anni Jannacci oltre che cantante è stato un comico, capace di scoprire altri comici.
Enzo Jannacci era nato a Milano il 3 Giugno 1935.
Colpisce subito il suo lavoro serio e rigoroso su due fronti: la medicina e la musica.
Si laurea e si specializza in cardiochirurgia da una parte, e dall’altra frequenta il conservatorio diplomandosi in pianoforte, armonia e direzione d’orchestra.
Il successo arriva abbastanza presto, ma lui non rinuncia a fare il medico, esattamente come Vecchioni non molla l’insegnamento al liceo e Paolo Conte il mestiere di avvocato.
Di giorno in ospedale, di notte a cantare.
Muove i primi passi al Santa Tecla di Milano dove si esibisce con Tony Dallara, Adriano Celentano e Giorgio Gaber.
Poi al Derby le sue doti cabarettistico-musicali colpiscono Dario Fo che lo inizia al teatro.
La prima canzone viene pubblicata nel 1959 e si intitola «L’ombrello di mio fratello». Poco dopo «Il cane con i capelli».
Appare evidente che Jannacci sa coniugare musica e comicità . Seguono tanti altri successi come «Vengo anch’io. No, tu no», «Giovanni telegrafista», «L’Armando», «Veronica». Più avanti arriverà «Quelli che». Più che una canzone, è un «format» che può essere continuamente aggiornato.
È un florilegio di comportamenti umani, a volte folli, a volte disonesti, a volte inspiegabili.
«Quelli che… tanto il calcio è solo un gioco e poi quando perde il Milan picchiano i figli… Quelli che votano scheda bianca per non sporcare».
Aggiornata nel corso dei decenni fa il paio con un’altra canzone, «Puli Puli», che colpisce a 360° in dialetto milanese, dai «cantautur» (che quando cà nten se senti l’udùr) a «Chi di giurnà l» (chè il so’ mestè l’è cunta su i bal). Jannacci ha firmato capolavori come «El purtava I scarp del tennis», «Andava a Rogoredo», «Sfiorisci bel fiore», ma è stato anche superbo interprete di canzoni altrui come «Ma mi» di Carpi e Strehler (cavallo di battaglia anche della Vanoni), «Bartali» di Paolo Conte, «La strana famiglia» di Gaber-Alloisio.
Affreschi di solitudine e malinconia sono «Giovanni telegrafista», mollato dal grande amore a colpi di punto-linea e «Mexico e nuvole».
Jannacci ha composto anche numerose colonne sonore per Romanzo popolare di Monicelli, per Saxofone di (e con) Renato Pozzetto, per Pasqualino Settebellezze . Senza contare le canzoni scritte per Cochi e Renato, a cominciare dalla «Canzone Intelligente», sigla del varietà tv della domenica, «Il poeta e il contadino» e «E la vita la vita», sigla di una «Canzonissima».
In teatro non disdegnava il ruolo di autore puro, che non appare: come La tappezzeria, scritta a quattro mani con Beppe Viola che nel 1975 fu il trampolino di lancio di Massimo Boldi, Diego Abatantuono, Enzo Porcaro, Giorgio Faletti, Mauro Di Francesco.
Nel 1989 partecipa per la prima volta al Festival di Sanremo con «Se me lo dicevi prima».
Nel ’91 ci riprova con «La fotografia» in coppia con la grandissima Ute Lemper e riceve il Premio della Critica. Nel ’94 è ancora all’Ariston in coppia con Paolo Rossi con il brano «I soliti accordi», arrangiato da Giorgio Cocilovo e Paolo Jannacci, suo unico figlio e grande musicista.
Nel finale della sua carriera Jannacci era tornato al jazz, il suo vecchio amore. Straordinario il rapporto col figlio Paolo: ordinato, sistematico e preciso, Jannacci jr. ha contribuito a prolungare la carriera del padre che ha aiutato e sostenuto fino alla fine.
Jannacci ne era consapevole e quando Gaber pubblicò «La mia generazione ha perso» commentò: «Una generazione che ha avuto figli come Dalia (figlia di Gaber, n dr ) e Paolo, non può dire di aver perso».
Mario Luzzatto Fegiz
(da “il Corriere della Sera“)
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Marzo 30th, 2013 Riccardo Fucile
SI E’ SPENTO A 74 ANNI UN ALTRO GRANDE DELLA MUSICA ITALIANA
Dopo Enzo Jannacci, se ne va un altro grande interprete della musica italiana: Franco Califano è
morto infatti all’età di 75 anni.
Lo riferisce l’Ansa.
L’artista, malato da tempo, si è spento nella sua villa di Acilia. Solo pochi giorni fa si era esibito al Teatro Sistina di Roma.
Califano, conosciuto dai suoi fan anche come Il Califfo, ha firmato alcuni grandi successi della musica popolare italiana.
A partire da Tutto il resto è noia, che uscì nel 1976.
Da sempre autore di testi e poesie, è famoso per canzoni spesso cantate in proprio, ma molto più frequentemente scritte per altri artisti: Mia Martini (Minuetto, scritta in coppia con Dario Baldan Bembo e La nevicata del ’56 scritta nel testo con Carla Vistarini); Ornella Vanoni (La musica è finita, su musica di Umberto Bindi, scritta con Nisa, Una ragione di più, scritta con Mino Reitano); Peppino di Capri (Un grande amore e niente più, che vince il Festival di Sanremo 1973); Bruno Martino (E la chiamano estate, scritta in coppia con lo stesso Martino); Edoardo Vianello e Wilma Goich (Semo gente de borgata).
Suo è anche il testo di Un’estate fa, versione italiana di Une belle histoire, del cantante francese Michel Fugain. Le notti d’agosto fu portata al successo da Loretta Goggi.
Per Mina ha scritto l’intero album Amanti di valore (1974). Poco gettonato dal pubblico, il disco, con le musiche di Carlo Pes è considerato dalla critica un autentico capolavoro.
Come cantautore sono da annoverare tra i suoi grandi successi Tutto il resto è noia (su musica di Frank Del Giudice), Fijo mio (su musica di Amedeo Minghi) e brani come Tac, La mia libertà e Io nun piango (dedicata all’amico Piero Ciampi) canzoni di cui è autore anche della parte musicale, Ti perdo, Io per le strade di quartiere con la quale partecipa a Sanremo 88, Un tempo piccolo, brano reinciso dai Tiromancino.
Franco Califano è anche autore di molte composizioni poetiche, spesso in forma di sonetto.
Da ricordare Secondo me l’amore, che dà il titolo a uno dei suoi album, Il gigante de casa, Beata te, te dormi, Nun me portà a casa.
Gettonatissime dal pubblico alcune poesie umoristiche e lievemente licenziose come Pasquale l’infermiere (che affronta il tema di una gravidanza inaspettata), Cesira (che ha per tema la chirurgia plastica), Avventura con un travestito (che narra di un incontro amoroso con un travestito), La seconda (sull’ingordigia sessuale di una moglie).
Questi brani, graditissimi dai fan, sono puntualmente declamati dell’artista nei suoi recital e concerti.
Come musicista, Califano firma alcune colonne sonore, da ricordare Due strani papà , film di cui è anche protagonista con Pippo Franco.
Califano si è sempre presentato come un disincantato amante latino, un po’ cinico, un po’ romantico, vantando migliaia di conquiste femminili.
« Dipinsi l’anima su tela anonima
E mescolai la vodka con acqua tonica
E pranzai tardi all’ora della cena
E mi rivolsi al libro come a una persona
Guardai le tele con aria ironica
E mi giocai i ricordi provando il rischio
Poi di rinascere sotto le stelle
Dimenticai di colpo un passato folle
In un tempo piccolo. »
(Franco Califano, Tempo piccolo, 1988)
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Marzo 30th, 2013 Riccardo Fucile
VIA A UN LAVORO PROGRAMMATICO DA LASCIARE AL PROSSIMO PRESIDENTE
In attesa che tutto possa cambiare, dopo l’elezione del prossimo presidente della Repubblica, tutto resta com’è.
Giorgio Napolitano non si dimette. Al governo resta Mario Monti, «del resto mai sfiduciato in Parlamento».
E tutto quel che si può fare, è provare a mettere attorno al tavolo «alcune selezionate personalità » di Pd e Pdl per un lavoro “programmatico” da lasciare al proprio successore. Provare a vedere se quelle due forze politiche riescono a combinare qualcosa insieme almeno in qualcosa che più che a un governo sembra somigliare a un centro studi, insomma.
Passata la nottata, e valutato l’effetto deflagrante che le sue dimissioni avrebbero avuto per l’Italia sui mercati internazionali, e in tutte le Cancellerie occidentali, Giorgio Napolitano resta a garanzia del governo Monti.
Prende atto che formare un nuovo governo stabile è impossibile.
Il governo del presidente non avrebbe i voti, esattamente come il governo Bersani, ma presentarlo e vederlo bocciare in Parlamento avrebbe effetti devastanti sulla tenuta istituzionale, macchiando anche la tenuta di garanzia del Capo dello Stato.
C’e’ da ringraziare i Padri Costituenti, e da augurarsi che quando si opereranno i ritocchi di cui pure la Costituzione ha bisogno saranno ad opera di saggi veri -e non “alla Lorenzago”.
Con quella formuletta, «il governo dimissionario resta in carica per il disbrigo degli affari correnti», previdero, i Costituenti, il rischio che si è affacciato nella sua pienezza oggi: l’impossibilità di formare un governo, per la tripolarizzazione politica che è emersa dalle ultime elezioni.
Lo scontro politico però adesso potrebbe spostarsi sull’elezione del Capo dello Stato, le cui procedure partono il 15 aprile.
Perchè quel che è venuto al pettine è il nodo di un bipolarismo muscolare, durato per anni e anni.
Antonella Rampino
(da “La Stampa“)
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Marzo 30th, 2013 Riccardo Fucile
LA PROPOSTA DI NAPOLITANO DI FRONTE A UN PAESE DAI VETI INCROCIATI E DI CLOWN DA CIRCO
“Ascolterò due gruppi ristretti di personalità ” che cercheranno proposte programmatiche per un
eventuale nuovo governo.
Fra le soluzioni che venivano prospettate sui giornali di questa mattina, la proposta formulata da Giorgio Napolitano, non era tra le più gettonate.
Francesco Bei, su Repubblica, l’ha definita “la soluzione olandese”.
A proporla sarebbe stata la delegazione dei centristi montiani di Scelta Civica.
Una sorta di “conclave di Stato” che fa riferimento a quanto è accaduto in Olanda un paio d’anni fa.
Dopo le elezioni del 9 giugno 2010, la situazione di stallo, nei Paesi Bassi, era evidentissima: sette partiti avevano ottenuto più di 10 seggi (sui 150 della Camera): il Partito Popolare per la Libertà (Vvd) e la democrazia di Mark Rutte (liberale conservatore) ne aveva ottenuti 3, i laburisti ne avevano 30, la destra populista di Geert Wilders (Partito della Libertà ) ne aveva 24, l’Appello Cristiano Democratico 24, il Partito socialista 15, i verdi di sinistra 10 e i Democratici 66 ne avevano 10.
Altri tre partitini si dividevano i restanti 9 seggi.
Formare un governo con i meccanismi normali della politica, risultò praticamente impossibile.
Ci vollero quattro mesi (127 giorni, per la precisione) di faticosissime trattative senza sbocchi e, alla fine, la soluzione si trovò chiudendo per alcuni giorni in un castello vicino all’Aja un gruppo di personalità delle diverse parti politiche.
Ne uscirono con un programma di pochi punti sul quale si trovò un accordo tra il Vvd di Rutte e i cristiano democratici.
Ad essi si aggiunse un appoggio esterno della destra xenofoba di Geert Wilders. Il governo durò nemmeno un paio d’anni.
Wilders tolse l’appoggio e si andò al voto. La destra venne punita e scese al 10% (15 seggi). Vinsero il Vvd di Rutte (26,6% e 41 seggi) e i laburisti (24,8% e 38 seggi) che adesso governano insieme sotto la guida dello stesso Rutte.
I saggi olandesi, quella volta riuscirono a dare una base programmatica a un governo che, altrimenti, non sarebbe stato in piedi.
La cosa durò poco e il successivo passaggio alle urne portò all’attuale chiarezza.
(da “La Repubblica”)
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Marzo 30th, 2013 Riccardo Fucile
AVEVA OSATO CHIEDERE A CRIMI LA CONFERMA DI UNA FRASE SUL GOVERNO PSEUDO-TECNICO
“Quella voce lì la conosco è di un povero ragazzo frustrato che deve dire che ha sentito una cosa che non ha sentito per 10 euro a pezzo”.
Così Beppe Grillo, in diretta su “La Cosa”, la web tv del suo blog, commenta la domanda rivolta dal giornalista dell’Italpress e Radio Uno Vasco Pirri Ardizzone che durante la conferenza stampa dei capigruppo parlamentari M5S al Quirinale, aveva chiesto a Vito Crimi se confermava la possibile apertura del movimento a un governo “pseudo tecnico”.
“Quelle dichiarazioni, poi ritrattate, su un’apertura dei Cinque stelle ad un governo ‘pseudo-tecnico’, Crimi me le ha fatte di persona. Per questo ho insistito in conferenza stampa. Grillo mi ha attaccato dandomi del ‘frustrato’ ma io faccio solo il mio lavoro. Stando alla Camera ho conosciuto personalmente molti grillini, apprezzo il loro modo di lavorare”.
Parla Vasco Pirri Ardizzone, il giornalista dell’Italpress che Grillo ha chiamato in causa nel suo intervento telefonico a La Cosa.
Che un buffone miliardario si permetta di insultare un quarantenne che si guadagna onestamente da vivere con la sua professione, rimarcando che è “povero” in quanto precario, che è pure “frustrato” perchè osa mettere in dubbio una frase pronunciata da un grande statista come il mancato laureato Crimi, la dice lunga sullo stato mentale del salvatore di Berlusconi.
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Marzo 30th, 2013 Riccardo Fucile
EMERGE UN PASSATO IN POLITICA PER IL GURU DI GRILLO… LUI PARLA DI “LISTA INDIPENDENTE”
Gianroberto Casaleggio sceglie il blog di Beppe Grillo per rispondere a Panorama, dopo la lunga
inchiesta pubblicata dal settimanale, nella quale emerge che il consulente per la comunicazione del M5S nel 2004 si è candidato nel Consiglio Comunale di Settimo Vittone, un paese di poco più di 1.500 abitanti in provincia di Torino.
IL POST SCRIPTUM NEL BLOG
Nell’inchiesta, oltre ai legami con la massoneria, emerge come Casaleggio abbia deciso di candidarsi, abbia preso sei voti e non sia stato eletto.
E che per correre abbia scelto una lista civica, “Per Settimo”, che arrivò terza (con 294 voti) su tre simboli che si presentarono.
Casaleggio partecipò alla stesura del programma e si impegnò in prima persona. Secondo Panorama la lista era capeggiata da Vito Groccia, candidato alla carica di sindaco.
Il settimanale scrive che Groccia era un “politico calabrese vicino a Forza Italia”.
Ma Casaleggio replica in un Post Scriptum a un post di Beppe Grillo: «Ho partecipato nel 2004 ad una lista civica del mio paese non collegata ad alcun partito».
(da “il Corriere della Sera”)
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Marzo 30th, 2013 Riccardo Fucile
“IL LEADER PD PIU’ AUTOREVOLE DI ALTRI E POI LA FIDUCIA SI PUO’ SEMPRE REVOCARE”
A rompere il muro del falso unanimismo, costruito ad arte per la stampa e riflesso condizionato di un Movimento che si sente sotto assedio, è stata la mano alzata timidamente da una senatrice gentile e ragionevole, sconosciuta ai più.
Nella sala damascata di Palazzo Madama, Alessandra Bencini, infermiera di Firenze, ha fatto un gesto semplice, democratico: ha votato in difformità dalla maggioranza dei suoi colleghi.
Un braccio alzato contro 52 immobili.
Gesto considerato quasi un tabù nel Movimento di Grillo, tanto da venire nascosto pudicamente, come fosse vergogna, insieme a quello di altri 4 omologhi del Senato. Gesto che lei stessa fatica a rivendicare, negando un’intervista vera, perchè per i 5 Stelle «la fanno solo i capigruppo».
Alla fine, però, accetta di parlare, sia pure malvolentieri, spossata dal peso che sopporta.
E con una prospettiva nebulosa, risolta provvisoriamente qualche ora dopo dalla rinuncia di Bersani: «Se dovessi votare in Aula una mozione di fiducia? Non lo so, non ho deciso. Dovrei riparlarne con i colleghi. Lo so che in caso di voto difforme alla decisione del gruppo rischierei l’espulsione. Ma prima di finire dentro la gogna mediatica, se davvero dovessi votare diversamente, rimetterei il mandato. Del resto non voglio fare la parlamentare a lungo, ho un lavoro che mi piace».
La Bencini non ha subito processi: «I colleghi non mi hanno fatto ostracismo, nè mi hanno tolto il saluto. Mi hanno chiesto di spiegare le mie ragioni».
Ed eccole: «Ho votato sì alla mozione “se Bersani ci presenta una buona squadra si discute o no?”.
Perchè penso che si possa essere intransigenti in modo positivo.
Aprirsi a un dialogo con le altre forze. È vero che abbiamo sempre detto che non facciamo alleanze con nessuno, ma bisogna pur partire, uscire dallo stallo. Serve uno start up. E la fiducia si può sempre revocare».
La Bencini ha un atteggiamento aperto, forse un po’ ingenuo, forse no: «Io sono fatta così. Sono una persona positiva, ottimista. Certe dinamiche oscure non le capisco. Tendo a fidarmi. E mi fido più a sinistra che a destra. Bersani lo vedo più autorevole, meno compromesso di altri».
Del resto la sua provenienza è quella: «Ho votato Pds, Prodi e Bertinotti, prima che facesse quel bel servizio al centrosinistra. Poi ho votato Pd e l’ultima volta Italia dei Valori».
Al Movimento 5 Stelle si avvicina nel 2007.
Gli spettacoli di Grillo la commuovono: «Beppe mi faceva ridere e piangere. Mi dicevo: ma in che Paese siamo?».
L’avvicinamento vero è con i meet up: «Lì ho incontrato persone tranquille, non invasate, dentro un contesto sociale, non sfigati nullafacenti».
Bocciata nel 2009 alle Comunali («ero una riempilista»), la Bencini prende 126 voti alle Parlamentarie: «Non c’era una gran corsa a candidarsi, a quei tempi. Servivano donne per fare equilibrio ed eccomi qui».
Ed eccoci qui, in Senato: «Esperienza abbastanza traumatica, per una abituata a stare in sala operatoria per le emergenze H24. E poi le mie conoscenze sono limitate all’ambito sanitario, inutile nasconderlo. Ho un gran vuoto: c’è da lavorare per riempirlo, bisogna studiare».
Lei ci prova, con passione: «Si può fare tutto, se c’è buona volontà e buona fede». Anche perchè c’è da cambiare il Paese: «Io non me ne vo’ dall’Italia. Voglio tornare a fare l’infermiera in un Paese migliore».
Un governo, prima o poi, ci vuole: «Se il capo dello Stato ci presenterà un candidato credibile, con una buona squadra, perchè non provare?».
A lei piacerebbe un premier come Salvatore Settis: «Ho amato molto il suo libro, “Azione popolare per il bene comune”».
Comincia così: «Indignarsi non basta». La Bencini tiene in alto il braccio. Anche se è faticoso e ti espone agli sguardi degli altri.
Un braccio alzato per dire che si potrebbe fare di più: «Però non so. Sono inesperta, gli altri ne sanno più di me. Forse sono io che sbaglio. Forse sono io che non capisco».
Alessandro Trocino
(da “il Corriere della Sera”)
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