ENZO, IL POETA IN SCARP DEL TENIS CHE FACEVA IL MEDICO E AMAVA LA MUSICA
IL RICORDO DI MARIO LUZZATTO FEGIZ
Enzo Jannacci è stato il rappresentante di una cultura musicale e cabarettistica tipicamente milanese.
Non solo un cantautore, ma un caposcuola, intorno al quale si sono aggregati personaggi di grande rilievo come Cochi Ponzoni, Renato Pozzetto, Massimo Boldi, Beppe Viola.
Fra i migliori amici del medico-cantautore, l’avvocato cantante Paolo Conte. E poi Giorgio Gaber, per lungo tempo compagno di scena (la loro esecuzione di «Una fetta di limone» in stile Blues Brothers resta un classico), e Dario Fo che rimase subito colpito dal suo talento.
Jannacci ha firmato canzoni di rara bellezza, ironiche, struggenti.
Ha cantato il mondo dei perdenti, come il «Palo della Banda dell’Ortica» o la «Vincenzina davanti alla fabbrica» o, simbolo degli emarginati a vita, il protagonista di «Vengo anch’io».
Ha trasformato in eroe un cornuto strutturale come l’Armando, e in eroina del libero amore la molto disponibile Veronica (che lo faceva «al Carcano, in pè», in piedi). Faccia indefinibile, fra lo stupefatto, l’imbarazzato e l’immobile, quella parlata apparentemente stentata e nasale: per anni Jannacci oltre che cantante è stato un comico, capace di scoprire altri comici.
Enzo Jannacci era nato a Milano il 3 Giugno 1935.
Colpisce subito il suo lavoro serio e rigoroso su due fronti: la medicina e la musica.
Si laurea e si specializza in cardiochirurgia da una parte, e dall’altra frequenta il conservatorio diplomandosi in pianoforte, armonia e direzione d’orchestra.
Il successo arriva abbastanza presto, ma lui non rinuncia a fare il medico, esattamente come Vecchioni non molla l’insegnamento al liceo e Paolo Conte il mestiere di avvocato.
Di giorno in ospedale, di notte a cantare.
Muove i primi passi al Santa Tecla di Milano dove si esibisce con Tony Dallara, Adriano Celentano e Giorgio Gaber.
Poi al Derby le sue doti cabarettistico-musicali colpiscono Dario Fo che lo inizia al teatro.
La prima canzone viene pubblicata nel 1959 e si intitola «L’ombrello di mio fratello». Poco dopo «Il cane con i capelli».
Appare evidente che Jannacci sa coniugare musica e comicità . Seguono tanti altri successi come «Vengo anch’io. No, tu no», «Giovanni telegrafista», «L’Armando», «Veronica». Più avanti arriverà «Quelli che». Più che una canzone, è un «format» che può essere continuamente aggiornato.
È un florilegio di comportamenti umani, a volte folli, a volte disonesti, a volte inspiegabili.
«Quelli che… tanto il calcio è solo un gioco e poi quando perde il Milan picchiano i figli… Quelli che votano scheda bianca per non sporcare».
Aggiornata nel corso dei decenni fa il paio con un’altra canzone, «Puli Puli», che colpisce a 360° in dialetto milanese, dai «cantautur» (che quando cà nten se senti l’udùr) a «Chi di giurnà l» (chè il so’ mestè l’è cunta su i bal). Jannacci ha firmato capolavori come «El purtava I scarp del tennis», «Andava a Rogoredo», «Sfiorisci bel fiore», ma è stato anche superbo interprete di canzoni altrui come «Ma mi» di Carpi e Strehler (cavallo di battaglia anche della Vanoni), «Bartali» di Paolo Conte, «La strana famiglia» di Gaber-Alloisio.
Affreschi di solitudine e malinconia sono «Giovanni telegrafista», mollato dal grande amore a colpi di punto-linea e «Mexico e nuvole».
Jannacci ha composto anche numerose colonne sonore per Romanzo popolare di Monicelli, per Saxofone di (e con) Renato Pozzetto, per Pasqualino Settebellezze . Senza contare le canzoni scritte per Cochi e Renato, a cominciare dalla «Canzone Intelligente», sigla del varietà tv della domenica, «Il poeta e il contadino» e «E la vita la vita», sigla di una «Canzonissima».
In teatro non disdegnava il ruolo di autore puro, che non appare: come La tappezzeria, scritta a quattro mani con Beppe Viola che nel 1975 fu il trampolino di lancio di Massimo Boldi, Diego Abatantuono, Enzo Porcaro, Giorgio Faletti, Mauro Di Francesco.
Nel 1989 partecipa per la prima volta al Festival di Sanremo con «Se me lo dicevi prima».
Nel ’91 ci riprova con «La fotografia» in coppia con la grandissima Ute Lemper e riceve il Premio della Critica. Nel ’94 è ancora all’Ariston in coppia con Paolo Rossi con il brano «I soliti accordi», arrangiato da Giorgio Cocilovo e Paolo Jannacci, suo unico figlio e grande musicista.
Nel finale della sua carriera Jannacci era tornato al jazz, il suo vecchio amore. Straordinario il rapporto col figlio Paolo: ordinato, sistematico e preciso, Jannacci jr. ha contribuito a prolungare la carriera del padre che ha aiutato e sostenuto fino alla fine.
Jannacci ne era consapevole e quando Gaber pubblicò «La mia generazione ha perso» commentò: «Una generazione che ha avuto figli come Dalia (figlia di Gaber, n dr ) e Paolo, non può dire di aver perso».
Mario Luzzatto Fegiz
(da “il Corriere della Sera“)
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