Luglio 4th, 2013 Riccardo Fucile
I GIUDICI: “NON SI POSSONO ELIMINARE PER DECRETO”, PER FARLO BISOGNA MODIFICARE LA COSTITUZIONE… LA CASTA FESTEGGIA: RESTERANNO INCOLLATI ALLA POLTRONA ANCORA PER ANNI
Salva Italia? Tiè. La Corte costituzionale, con una sentenza che lascia pochi margini ai dubbi,
boccia senza appello il taglio delle Province deciso per decreto legge e confermato dal voto del Parlamento all’epoca del governo dei tecnici guidato da Mario Monti.
Lo strumento del decreto legge non può essere adoperato per organizzare una materia costituzionale come quella dell’esistenza in vita delle Province (espressamente indicata in Costituzione al Titolo V) o della loro razionalizzazione.
L’epitaffio della nota dei giudici costituzionali è senza scampo per chi aveva pensato di poter cancellare le Province con il sistema spiccio della decretazione d’urgenza: “Il decreto legge, atto destinato a fronteggiare casi straordinari di necessità e urgenza, è strumento normativo non utilizzabile per realizzare una riforma organica e di sistema, quale quella prevista dalle norme censurate nel presente giudizio”.
L’ennesima frittata istituzionale è servita.
Attraverso il Salva Italia definito giusto ieri “incostituzionale”, infatti, nel 2012 non sono andate al voto le province di Ancona, Belluno, Cagliari, Caltanissetta, Como, Genova, La Spezia, Ragusa, Vicenza e Ancona, e nel 2013, ancora, quelle di Roma, Agrigento, Asti, Benevento, Catania, Catanzaro, Enna, Foggia, Massa-Carrara, Messina, Palermo, Trapani, Varese e Vibo Valentia.
Per loro, adesso, si apre il limbo di commissariamenti senza prospettive, in attesa del giudizio che daranno la commissione per le Riforme costituzionali e il governo in un percorso che se va come deve andare potrà durare almeno un paio d’anni.
E allora che si fa?
Adesso il governo, per bocca del ministro delle Riforme Gaetano Quagliariello , afferma di avere fretta: “L’odierna sentenza della Corte Costituzionale sulle Province — afferma il ministro — rende ancora più importante intervenire attraverso le riforme costituzionali sull’intero Titolo V, in particolare per semplificare e razionalizzare l’assetto degli enti territoriali. È il tempo di rendersi conto che mancate riforme e scorciatoie hanno un costo anche economico che in un momento di così grave crisi il Paese non può più sopportare”.
È una frase che suona disperata, mentre i rappresentanti delle Province festeggiano la vittoria.
Il presidente dell’Unione delle Province italiane (Upi) Antonio Saitta centra un punto: “Nessuna motivazione economica era giustificata e quindi la decretazione d’urgenza non poteva essere la strada legittima”.
Constata Saitta: “Per riformare il Paese si deve agire con il pieno concerto di tutte le istituzioni, rispettando il dettato costituzionale. Non si possono sospendere elezioni democratiche di organi costituzionali con decreto legge. Non si può pensare di utilizzare motivazioni economiche, del tutto inconsistenti, per mettere mani su pezzi del sistema istituzionale del Paese”.
È un tema che nella contesa giuridica è stato fatto proprio anche da tre dei “saggi” che siedono nella commissione per le Riforme costituzionali istituita dal governo su inpulso del Quirinale: Beniamino Caravita di Toritto che era difensore di Lombardia e Campania, Giandomenico Falcon (difensore del Friuli Venezia Giulia) e Massimo Luciani (che ha patrocinato la Sardegna).
La loro idea di riforma, anche in seno all’assemblea delle riforme, è più conservatrice. Le Province resistono.
Il taglio da “2 miliardi di euro”, previsto da anni con la loro soppressione, si allontana.
Eduardo Di Blasi
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Luglio 4th, 2013 Riccardo Fucile
NELLA MIGLIORE DELLE IPOTESI POTREMO SPENDERE 6 MILIARDI IN PIU’ NEL 2014 PER PROGETTI COFINANZIATI E APPROVATI DALLA UE
Applausi, lacrime di gioia, pacche sulle spalle e felicitazioni incrociate.
“Ce l’abbiamo fatta”, twittava incontenibile Enrico Letta; il parco Fabrizio Saccomanni si beava per “l’ottima notizia” e giurava che la “luce che vedo in fondo al tunnel della recessione non è il treno che ci viene addosso”; le truppe della Grosse Koalition all’italiana rivendicavano ognuna il proprio merito, la propria lungimiranza, il proprio “iolavevodetto”, la propria quota di contributo nella scelta della Ue di dire addio all’austerity.
Come si vedrà , l’ondata di felicità che ha ieri spettinato la politica italiana per il presunto allentamento del patto di stabilità non era proprio giustificatissima: bene che andrà , e non è detto che vada bene, potremo spendere 6 miliardi in più nel 2014 per progetti cofinanziati (e preventivamente approvati anno per anno) dall’Unione europea.
BARROSO
Il presidente della commissione Ue, ieri mattina, ha fatto partire lo champagne in Italia con le seguenti dichiarazioni: “Quando valuteremo i bilanci nazionali per il 2014 e i risultati di bilancio del 2013 (dei paesi virtuosi), cercheremo di consentire deviazioni temporanee del deficit strutturale dal suo percorso verso l’obiettivo di medio termine (per l’Italia è il pareggio strutturale nel 2014-2015, ndr) fissato delle raccomandazioni specifiche per Paese”.
Tale deviazione “deve essere collegata a spesa pubblica su progetti co-finanziati dalla Ue nell’ambito della politica strutturale e di coesione, delle reti trans-europee e della ‘Connecting Europe Facility’ con un effetto nel lungo termine positivo, diretto e verificabile sul bilancio”.
Insomma, niente scambi con Imu e Iva e poco da fare pure sui mirabolanti tagli al cuneo fiscale chiesti da più di una forza politica.
REHN
Ci ha pensato il commissario all’Economia a far rimettere le bollicine in frigo nel pomeriggio, quando ai vari governi è arrivata una lettera che spiegava i termini della questione: niente sforamenti del tetto del 3% del deficit e niente deroghe nemmeno per la “regola del debito” sancita dal Fiscal compact (riduzione di un ventesimo al-l’anno della parte eccedente il 60% del Pil a partire dalla legge di Stabilità del 2014). Non solo, questa eccezione vale solo finchè la crescita del Pil è “negativa o ben al di sotto del suo potenziale”.
LETTA
Alla luce di quanto scritto da Olli Rehn, il tweet più corretto sarebbe a questo punto: “Ce l’abbiamo fatta?”. Forse qualcuno potrebbe a quel punto chiarire al premier che no, non ce l’abbiamo fatta.
I paletti stabiliti dalla commissione fanno sì che l’Italia non abbia alcun margine di spesa per il 2013 visto che il rapporto deficit/pil è già previsto al 2,9% dopo il pagamento di parte dei debiti della Pa alle imprese.
Nel 2014, infine, lo spazio di manovra sarà al massimo di sei miliardi di euro.
Perchè? La commissione stima il nostro deficit per l’anno prossimo al 2,5% e quindi — fa i conti Sergio De Nardis, capo economista di Nomisma — “l’Italia avrà a disposizione non più dello 0,4% di Pil da poter spendere per investimenti produttivi. Al massimo 6 miliardi”.
Se poi, come continua a prevedere Saccomanni, dall’anno prossimo partirà la ripresa, nel 2015 non potremo nemmeno più sfruttare la “deviazione” di Barroso.
ZANONATO
Ormai il povero ministro dello Sviluppo economico ha il ruolo dell’uccello del malaugurio: “Io non esagererei con l’ottimismo”, avvertiva durante i brevi festeggiamenti di palazzo Chigi.
E infatti oltre alla lettera di Rehn, assai meno piacevole delle vaghe parole di Bar-roso, pure il reale stato dei conti pubblici dovrebbe preoccupare assai Letta e Saccomanni: ad oggi il nostro deficit risulta infatti sotto il 3% del Pil solo grazie ad una recessione sottostimata e al fatto che alcune spese non sono state ancora contabilizzate.
Spiega l’ex sottosegretario Guido Crosetto: “Qualcuno avvisi il premier e soprattutto il ministro, appena avranno un po’ di tempo tra un festeggiamento ed un brindisi, che l’Italia, ad oggi, senza correzioni è già oltre la soglia del 3%. In realtà , lo sanno entrambi benissimo, ma continuano a recitare una parte per sopravvivere”.
SACCOMANNI
Mentre recita, però, il ministro dell’Economia non sta con le mani in mano.
Sapendo che l’effetto delle parole di Barroso sarà , eufemizzando, non risolutivo, ieri in audizione in Parlamento ha chiarito qual è l’orizzonte in cui si muoverà l’esecutivo: “Vi sono ampi margini per la razionalizzazione della spesa per ottenere risparmi in molti comparti. L’opera di revisione della struttura della spesa è la nostra priorità , è la condizione essenziale per poter allentare il prelievo fiscale”.
Tradotto: volete togliere l’Imu o abbattere il cuneo fiscale? Bisogna tagliare (con relativi effetti recessivi sull’economia).
Una buona notizia, infine, può essere invece considerato l’impegno formale della Bei (Banca europea per gli investimenti) a mettere altri 60 miliardi di euro in interventi su crescita e occupazione concordati in sede Ue..
“È un passo importante”, ha commentato dopo un vertice sul tema a Berlino il ministro del Lavoro Enrico Giovannini.
Marco Palombi
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Luglio 4th, 2013 Riccardo Fucile
QUANDO LA DESTRA INTERPRETAVA LE ISTANZE POPOLARI E NON I PICCOLI EGOISMI
Con Anna, “madre coraggio” , se ne va un pezzo della vita di tanti di noi, giovani missini
“proletari”, che hanno vissuto un periodo della storia d’Italia fatta di amore e di odio, di coraggio e di discriminazione.
Fa sorridere quando oggi un cialtrone parla di giornalisti asserviti al potere pensando che a quei tempi, di fronte al rogo di Primavalle, molta stampa parlò persino di “regolamento di conti” tra fascisti come origine della tragedia.
Erano i tempi in cui Almirante lo potevi ascoltare in Tv solo alle tribune politiche una volta l’anno, ai Tg era vietato parlarne.
Qualcuno allora passava le giornate a cazzeggiare ai giardini di Piazza Martinez, non avendo ancora scoperto la vena “comico-rivoluzionaria”.
Qualcun altro avrebbe finanziato di lì a poco la scissione di Democrazia nazionale con 100 milioni e in seguito avrebbe basato la sua discesa in campo con la necessità di opporsi al pericolo comunista, ma quando questo era reale aveva preferito dedicarsi a fare soldi e ad assumere stallieri.
Entrambi raccolgono ancor oggi consensi dai guardiani destrorsi di una rivoluzione mai fatta.
Quanti pasdaran del giorno dopo, quanti fighetti abbronzati che non hanno mai messo piede in una scalcinata sezione missina verranno poi a darci lezioni di liberismo.
Sono quelli che, caduto il comunismo, sono finalmente usciti di casa dopo aver fatto lucidare l’argenteria dalla servitù, intonando consunti slogan di lotta alla casta politica e sgangherati inni sulle melodie di Castrocaro.
Virgilio e Stefano sono stati l’emblema di una destra popolare, sociale , di servizio alla comunità , orgogliosi di una scelta di vita che li ha portati alla morte.
Il loro sacrificio allora ci rese ancora più forti: imparammo ad odiare, unico antidoto per sopravvivere.
Forse proprio per questo abbiamo nel tempo compreso prima di altri il valore della tolleranza, del rispetto e del confronto, perchè una comunità nazionale non può vivere sull’odio, ma nel perseguire il bene comune .
Perchè altre generazioni non passassero quello che abbiamo vissuto noi.
Abbiamo imparato che nella vita bisogna saper interpretare i momenti e diffidare da chi recita fuori tempo vecchi consunti copioni.
La lotta anticasta non deve venire a insegnarcela nessuno, così come non abbiamo bisogno di venditori di confezioni di anticomunismo scadute.
Oggi Anna potrà ricongiungersi a Virgilio e Stefano e stringerli a sè.
Abbracciali forte anche per noi.
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Luglio 4th, 2013 Riccardo Fucile
DAL 16 APRILE 1973 UNA VITA TRASCORSA A CHIEDERE GIUSTIZIA PER I FIGLI VIRGILIO E STEFANO
Nella serata di martedì è morta a Roma, all’età di 82 anni, Anna Mattei, la madre di Virgilio e Stefano, arsi vivi nel rogo di Primavalle il 16 aprile del 1973: avevano rispettivamente 8 e 22 anni.
I due fratelli, figli del segretario di una sezione del Msi, fecero una morte orribile, tra le fiamme del rogo appiccato da tre componenti di Potere Operaio (che, sia pure condannati in secondo grado per omicidio preterintenzionale, ottennero i benefici della prescrizione anche grazie a un periodo di latitanza in Sudamerica).
IL ROGO
Le fiamme divamparono, appiccate dalla benzina gettata dai tre, sotto la porta dell’appartamento abitato dalla famiglia composta da Mario Mattei, dalla moglie Annamaria e dai figli, al terzo piano delle case popolari di via Bernardo da Bibbiena, quartiere Primavalle.
Mattei era allora il segretario della sezione «Giarabub» del Movimento sociale italiano, in via Svampa.
Un’enclave nera in un quartiere tradizionalmente rosso.
L’incendio distrusse rapidamente l’intero appartamento.
La madre Annamaria e i due figli più piccoli, Antonella di 9 anni e Giampaolo di soli 3 anni, riuscirono a fuggire dalla porta principale.
MILITANTI MISSINI
Altre due figlie si salvarono: Lucia, di 15 anni, aiutata dal padre Mario si calò nel balconcino del secondo piano e da lì si buttò, presa al volo ancora dal padre.
Silvia, 19 anni, si gettò dalla veranda della cucina e riportò incredibilmente solo qualche frattura.
Due dei figli, Virgilio di 22 anni, militante missino nel corpo dei Volontari Nazionali, e il fratellino Stefano di 8 anni morirono carbonizzati, non riuscendo a gettarsi dalla finestra.
Il dramma avvenne davanti a una folla che si era raccolta nei pressi dell’abitazione, e assistette alla terribile morte di Virgilio, rimasto appoggiato al davanzale, e di Stefano, scivolato all’interno dell’abitazione in fiamme dopo che il fratello maggiore che lo teneva con sè perse le forze.
I FUNERALI
I funerali di Anna Mattei saranno celebrati venerdì 5 luglio, alle ore 10.00 presso la chiesa di Santa Croce in via Guido Reni, nel quartiere Flaminio.
Il sindaco Ignazio Marino ha appreso «con dolore della morte di Anna Mattei, una donna che ha sofferto molto nella sua vita e che è stata vittima, insieme alla sua famiglia, di una stagione molto difficile della storia italiana che ha segnato profondamente anche la vita politica e sociale di Roma. Alla famiglia – ha concluso il primo cittadino – vanno le più sentite condoglianze della capitale».
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