Luglio 10th, 2013 Riccardo Fucile
IN POLE L’EX VICE NARDELLA, MA PER IL ROTTAMATORE E’ TEMPO DI BILANCI NEGATIVI
C’è un gran viavai nell’anticamera della sala di Clemente VII, al piano nobile di palazzo Vecchio.
Senza neanche troppo riguardo per le apparenze, è infatti iniziata una processione di fedelissimi aspiranti alla successione del sindaco “rottamatore”.
Al secolo Matteo Renzi, da Rignano sull’Arno, leva 1975, già presidente della Provincia gigliata nel quinquennio 2004-2009 e mattatore delle primarie e le elezioni fiorentine; sempre meno in animo di rinnovare il mandato di primo cittadino e sempre più in predicato di succedere alla segreteria di Guglielmo Epifani, ma ancor più di concorrere alla premiership, in virtù delle primarie “accluse” al congresso che il Pd sta per celebrare.
Nardella in pole position per la successione.
Dalle primarie vinte sorprendentemente al primo turno su figure di apparato come Lapo Pistelli e Michele Ventura, Renzi ha messo abbastanza all’angolo il Pd fiorentino.
E ora avrebbe in animo di richiamare ai piedi della torre d’Arnolfo l’ex vice Dario Nardella, che aveva rimesso le deleghe a sviluppo economico, lavoro, bilancio e sport per un seggio da deputato alle politiche di primavera.
Classe 1975 pure lui, trapiantato all’ombra del cupolone da Torre del Greco nel 1989, diploma in violino al conservatorio Cherubini nel 1998, Nardella condivide con Renzi anche gli studi e la laurea in giurisprudenza.
Anzichè la gioventù dc, le frequentazioni cielline e il portaborse a Pistelli, il neo deputato si è però fatto le le ossa nei Ds e nel gabinetto di Vannino Chiti ministro per le Riforme del secondo governo Prodi.
Di lungo corso scudocrociato, invece, la vicesindaca in carica da marzo, Stefania Saccardi. Avvocato, classe 1960, cresciuta alla scuola della sinistra interna di Beppe Matulli, l’esperienza politica al Viminale con Enzo Scotti e poi con la sottosegretaria alla giustizia Daniela Mazzuccon.
Entusiasta di Renzi, da cui dice che “ogni giorno imparo qualcosa”, non esibisce un identikit propriamente innovativo.
Come del resto Eugenio Giani, che spasima per diventare sindaco ormai da decenni.
Mentre gli avversari interni più agguerriti del sindaco manifestano simpatia emblematica per Claudio Fantoni, ex assessore al Bilancio dimessosi polemicamente nel giugno 2012 “per divergenze insanabili” con Renzi, accusato di proporre delibere senza i dovuti pareri di regolarità contabile, ovvero di attingere alla spesa pubblica per coltivare “ambizioni personali”.
Bunga bunga negli uffici comunali.
A meno di un anno dalla fine del mandato, in città si moltiplicano i sospetti che il sindaco “lascerà come ha già fatto con la Provincia”, che ha rappresentato il trampolino di lancio della carriera di Renzi, ma dove la sua amministrazione non ha superato proprio indenne il vaglio della Corte dei conti.
Quella relativa alla gestione bonapartista e alle mani bucate, in fin dei conti, è la critica più fondata tra gli innumerevoli rimproveri che vengono mossi al rottamatore fiorentino.
E anche in questa occasione gli si di voler “solo fare carriera”, preparandosi perciò a “scappare da palazzo Vecchio” per “eludere” i propri insuccessi e altre facezie più o meno scabrose.
Ultima, in ordine di tempo, la vicenda della escort all’assessorato alla Mobilità , benchè non abbia neanche sfiorato il sindaco, ma pur sempre indice di una gestione allegra della cosa pubblica.
Una impiegata delle pulizie ha colto sul più bello una 42 enne mentre intratteneva un funzionario negli uffici dell’assessorato alla mobilità di via Giotto.
La vicenda ha portato a indagare 14 persone per sfruttamento e favoreggiamento della prostituzione (anche minorile).
L’assessore alla mobilità , Massimo Mattei, si è dimesso accampando “motivi di salute” a causa della frequentazione con la donna, cui ha dato in uno anche un appartamento.
Fonti giudiziarie ritengono inoltre di prossima apertura un “filone interamente politico” dell’indagine, mentre il sindaco ha dovuto correre ai ripari dichiarando che “a palazzo Vecchio non c’è alcun bunga bunga”, ma accogliendo prontamente le dimissioni di Mattei, suo ex punto di riferimento in città , sostituito per cercare di mettere a tacere i pettegolezzi.
Contro l’amministrazione ha puntato il dico anche l’arcivescovo Giuseppe Betori puntato contro “l’improvvida voglia di trasgressione”, suscitando la reazione piccata del sindaco.
I 36 milioni persi per la tramvia.
Di altra natura il fatto che stiano evaporando i 36 milioni di euro di finanziamenti per le linee 2 e 3 della tramvia.
E’ stato infatti appurato che i lavori non potranno concludersi per il 2015, termine imposto per l’erogazione del finanziamento europeo per la mobilità sostenibile.
Anche se il governatore toscano Enrico Rossi intende chiedere ai funzionari di Bruxelles “di prorogare l’investimento”, giustificando la richiesta con le spese già affrontate. I 7,6 km della linea 1, per costruire i quali sono stati impiegati 6 anni, sono costati 263 milioni di euro; il costo complessivo del sistema — comprensivo di 7,4 km della linea 2 e 3,4 della linea 3 — raggiunge invece sulla carta i 680 milioni di euro. Cifre e tempi comunque esorbitanti per l’Europa e per l’Italia.
Nel quadro della stretta creditizia dovuta alla crisi, le banche hanno sospeso la rinegoziazione del mutuo chiesto dalla ditta costruttrice, Impresa spa (subentrata a Btp e Consorzio Etruria, a loro volta già falliti) per fronteggiare le difficoltà .
Dal momento poi che lo strumento del project financing esenta la pubblica amministrazione da oneri finanziari, sono sempre le banche (tra cui Monte dei Paschi) a volere dalla società “Tram Firenze” maggiori garanzie, riguardo soprattutto al numero di passeggeri necessario per rientrare di tutti i costi di costruzione.
L’opera rischia così di gravare sulle casse pubbliche attraverso l’intervento della Cassa depositi e prestiti e della regione.
Un discreto smacco per Renzi, dal quale si attende ancora quel Piano della Mobilità promesso all’atto dell’approvazione del Piano Strutturale nel 2011.
L’eclissi fallimentare del Maggio musicale.
Altra nota dolente riguarda l’eclissi del Maggio musicale fiorentino, per un cinico gioco del destino proprio nell’ottantesimo anniversario della sua fondazione.
Da istituzione delle più prestigiose sia nel panorama nazionale che internazionale nelle stagioni di lustro del secondo dopoguerra, nelle ultime tormentate stagioni il Maggio fiorentino è scivolato nell’oscurità dell’oblio, fino e al limite del fallimento imminente.
Si tratta di una vicenda che viene di lontano, perchè sono diversi lustri ormai che il Maggio musicale ha perso le proprie peculiarità , a cominciare dall’attenzione per l’arte contemporanea tipica dell’età tra le due guerre: difatti lo statuto fondativo prevedeva che nei programmi fosse sempre inserita l’esecuzione o la rappresentazione di opere inedite.
La prima mossa di Renzi è stata la nomina della sovrintendente Francesca Colombo, che però non è stata in grado di fronteggiare la situazione l’ingigantirsi del debito.
Il che ha portato al commissariamento del Maggio. Commissario è stato nominato Francesco Bianchi, commercialista 56enne con alle spalle una lunga esperienza alla direzione di istituti di credito e nel mondo della finanza. Sopratutto, però, Bianchi è fratello di Alberto, avvocato del sindaco nonchè suo uomo di fiducia alla presidenza della Fondazione Big Bang, il cuore economico del sistema renziano.
Il commissariamento, però, ha solo calcolato l’ingigantirsi del buco di bilancio, che va dai 5 ai 9 milioni di euro, a seconda che si calcolino o meno le perdite per le eventuali cause con i dipendenti licenziati.
A fronte di questa situazione sindaco e commissario sostengono che “l’unica soluzione per salvare il teatro resta liquidazione”; ma contro questa ipotesi si sono schierati il governatore Enrico Rossi e sopratutto il ministro dei beni culturali Massimo Bray.
Certo è che il Maggio fiorentino, così com’è stato, ormai era morto.
E l’amministrazione Renzi l’ha sepolto.
Cosimo Rossi
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Luglio 10th, 2013 Riccardo Fucile
EMERGONO ALTRI PARTICOLARI INQUIETANTI SUL VERGOGNOSO BLITZ DA REGIME MILITARE CONTRO LA FAMIGLIA DEL DISSIDENTE ABLYAZOV
Parole vuote, assenze ingombranti e una strategia difensiva affidata a un lancio dell’Ansa
che si dimostra assai debole dal punto di vista fattuale.
Scricchiola sempre di più la posizione di Angelino Alfano sull’onda degli ultimi sviluppi sul rimpatrio coatto della moglie e della figlia di Ablyazov, il noto dissidente kazako.
Enrico Letta ha potuto limitarsi ad annunciare indagini, aggiungendo che nell’operazione di rimpatrio c’è stata “una correttezza formale dei vari passaggi” e, al massimo “dubbi su modi e tempi”. Più che le parole, meglio allora indagare sui silenzi.
E sulle assenze.
La prima è quella del ministro degli Interni Angelino Alfano, considerato il responsabile della (mala) gestione della faccenda Ablyazov.
Solo ieri il presidente della Commissione per la tutela dei diritti umani del Senato, Luigi Manconi, aveva annunciato di avere ottenuto rassicurazioni che il ministro Alfano avrebbe risposto di persona al Parlamento.
Ma così non è stato.
Invece la strategia difensiva di Alfano è stata dettata ieri all’Ansa, che in una nota ha riportato ‘indiscrezioni’ del Viminale che difendevano l’operato della Questura di Roma: l’organo competente che ha gestito tutta la faccenda, e che ovviamente fa capo al ministero degli Interni. Ricordando sempre che le stranezze cominciano proprio a partire dalla nota inviata alla Questura dell’ambasciata kazaka, in cui si avvisava della presenza dell’oppositore politico Ablyazov a Roma, da cui parte tutta la vicenda.
Una nota inoltrata direttamente alla Questura, e non al dicastero degli Esteri e, come prassi a livello procedurale, anche a quello della Giustizia.
Meglio quindi procedere col fact-checking.
Nella difesa di Alfano lanciata ieri dall’Ansa si continua a considerare falso il passaporto della Repubblica Centrafricana in possesso di Shalabayeva al momento del fermo, quando è stato invece dimostrato fin da subito dai legali della donna che non lo era.
Come ha poi confermato il 25 giugno — troppo tardi — la sentenza del Tribunale del Riesame. Inoltre, le fonti del Viminale virgolettate dall’Ansa, sostengono che “non sussistono dubbi sulla correttezza dell’attività svolta dalla Questura di Roma in quanto la cittadina kazaka è entrata nel territorio dello Stato sottraendosi ai controlli di frontiera; inoltre, la sola assenza sul documento di timbri o visti di ingresso legittimava il provvedimento di espulsione, ai sensi del Decreto legislativo n. 286/98”.
Eppure l’avvocato Riccardo Olivo non ha esitato a definire le procedure “insolite” e il decreto di espulsione “fortemente illegittimo”.
Vediamo perchè.
La Questura di Roma ha ricevuto il 30 maggio dall’ambasciata kazaka una nota in cui è scritto che la donna è in possesso di due passaporti validi rilasciati in Kazakistan (N° 0816235 e N°5347890).
Passaporti che evidentemente avrebbero dovuto permettere il rimpatrio volontario della signora, e non coatto, come è invece stato.
Con un rimpatrio volontario i tempi del rientro si sarebbero allungati e gli avvocati avrebbero potuto consegnare agli inquirenti un valido permesso di soggiorno lettone, ulteriori prove che il passaporto centrafricano non era falso e, soprattutto, fare domanda di asilo politico.
Ma quel fatidico pomeriggio del 31 maggio, quando gli avvocati ancora aspettavano di incontrare Shalabayeva nel Cie di Ponte Galeria, lei era già a Ciampino su un aereo austriaco prenotato dall’ambasciata kazaka con un sospetto anticipo sui tempi.
Ovvero alle 11 di mattina del 31 maggio, prima ancora che il Giudice di pace del Cie di Ponte Galeria convalidasse il fermo di Shalabayeva, dato che l’udienza, come da verbale, è terminata dopo le 11.20 di quella stessa mattina.
E Shalabayeva quel pomeriggio si trovava già a Ciampino perchè una informativa inviata alla Procura nel primissimo pomeriggio dalla Questura (in particolare dall’Ufficio Immigrazione diretto da Maurizio Improta, che fin da subito ha diretto le operazioni) diceva che non erano necessari ulteriori accertamenti e bisogna procedere immediatamente con il rimpatrio.
Poi le fonti del Viminale citate dall’Ansa sostengono che Shalabayeva “pur avendo avuto la possibilità di chiedere asilo in Italia, non ha mai esercitato tale facoltà ”.
Allora è bene ricordare che la Shalabayeva e la piccola Alua, al tempo di soli 4 anni, nel 2011 decisero di lasciare Londra, dove pure l’asilo politico britannico concesso ad Ablyazov le copriva ‘per estensione’, per paura di un attentato, come aveva riferito loro la London Metropolitan Police.
Da lì madre e figlia sono state costrette a girare per l’Europa approdando prima in Lettonia e poi in Italia, dove sono entrate senza denunciare la loro presenza proprio per non essere rintracciate dagli uomini di Nazarbayev.
Poi hanno vissuto per poco più di un anno nella villa di Casal Palocco con la paura di essere scoperte dagli scagnozzi del dittatore kazako.
E che qualcosa non fosse tranquillo lì intorno, è confermato anche dalla presenza di due uomini che si muovevano lungo il perimetro della villa, che poi si è scoperto essere due dipendenti di un’agenzia investigativa che a sua volta aveva legami con i servizi segreti israeliani.
In questa situazione di terrore Shalabayeva, nella sua memoria pubblicata dal Financial Times, racconta come l’irruzione improvvisa il 29 giugno di 50 uomini armati nella villa sia stata fatta da uomini della Digos e della Questura senza divisa nè segni distintivi.
La donna ha spiegato che temeva fossero i famigerati scagnozzi di Nazarbayev, e ha anche accusato alcuni poliziotti di averla spintonata a terra e altri di avere picchiato il cognato.
Per questo, dice, nell’immediato ha preferito presentarsi con il passaporto Centrafricano per non dichiarare la sua identità .
Quando poi ha trovato assistenza legale, e ha deciso di chiedere asilo politico, l’aereo era già in pista coi motori rombanti per l’espulsione più rapida mai avvenuta in Italia: 72 ore dalla prima informativa ricevuta in Questura al decollo del jet austriaco che le avrebbe riportate nelle fauci del dittatore.
Pertanto i “dubbi sui modi e sui tempi” di cui parla Letta non possono essere dissociati dal contesto in cui è avvenuta quella che si sembra essere sempre più una rendition che un semplice rimpatrio, per di più nei confronti di una donna di 46 anni e di una bambina di 6.
In serata, si apprende che la Procura di Roma sta valutando se inoltrare al ministero della Giustizia una rogatoria internazionale per verificare l’autenticità di alcuni documenti, tra cui un passaporto, emessi dalla Repubblica Centrafricana ed esibiti in Italia da Alma Shalabayeva, moglie di Mukhtar Ablyazov.
Da qui la possibilità di una rogatoria, anche se nella Repubblica Centrafricana, recentemente al centro di un colpo di stato, non esiste una rappresentanza diplomatica italiana.
Intanto gli inquirenti si accingono ad acquisire il passaporto detenuto dall’ufficio immigrazione della Questura.
Luca Pisapia
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Luglio 10th, 2013 Riccardo Fucile
SE UNO LANCIA UN FISCHIO A UN CANDIDATO MENTRE FA UN COMIZIO RISCHIA UNA CONDANNA SUPERIORE A QUELLA DI CHI HA CORROTTO O CONCUSSO
Da uno a tre anni di carcere e fino a 2.500 euro di multa per chi “impedisce o turba” una manifestazione o riunione politica.
E’ quanto prevede una proposta di legge presentata alla Camera dal deputato del Pdl Ignazio Abrignani.
Una norma anti-contestatori concepita dopo lo scontro di piazza della manifestazione di Berlusconi a Brescia.
“Chiunque con qualsiasi mezzo impedisce o turba una riunione politica, sia pubblica che privata, è punito con la reclusione da uno a tre anni e con la multa da 1.000 a 2.500 euro; se la riunione è di propaganda elettorale la multa è raddoppiata”.
Un solo articolo compone la proposta di legge del pidiellino Ignazio Abrignani per introdurre nel codice penale, all’articolo 294-bis, il reato di “impedimento o turbativa di riunioni politiche e di propaganda elettorale”.
Che prevede un’aggravante, con la “reclusione da due a cinque anni”, se il ‘contestatore’ è un pubblico ufficiale.
L’iniziativa era già stata annunciata nei giorni immediatamente successivi alla manifestazione di Brescia dell’11 maggio ed è stata depositata da Abrignani alla Camera il 10 giugno.
L’intenzione è scoraggiare aspiranti contestatori o disturbatori delle future iniziative di piazza del Pdl e di Silvio Berlusconi, così come di ogni altra forza politica.
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Luglio 10th, 2013 Riccardo Fucile
PER BETALAND POSSIBILI ANCHE LA DISSOLUZIONE DEL PDL, LA VENDITA DEL MILAN E LA FUGA IN RUSSIA DALL’AMICO PUTIN
L’Italia si prepara al terremoto che la conferma della condanna a Silvio Berlusconi nel
processo Mediaset scatenerebbe nel mondo politico.
Ma per i bookmaker, pronti a quotare anche il futuro dell’ex presidente del Consiglio italiano, l’assoluzione resta attualmente l’ipotesi più probabile.
Come riporta Agipronews, l’agenzia di scommesse sportive Betaland con sede a Malta, ha già aperto le puntate sull’esito della sentenza e i suoi sviluppi.
Per il momento, la quota più bassa è quella dell’assoluzione, bancata solo a 1,25; ma la condanna, a 2,95, resta verosimile.
Dovesse verificarsi, i quotisti di Betaland si divertono a scommettere anche sulle sue conseguenze: possibili gli arresti domiciliari nella Villa di Arcore, che pagano a 3,50.
Quasi scontata, invece, la dissoluzione del Pdl (a 1,35).
Tremano anche i tifosi del Milan: secondo i bookmakers maltesi Berlusconi potrebbe venedere la società rossonera (ipotesi quotata a 2,85).
Le scommesse più redditizie, però, sono quella sulla meta di un’eventuale fuga da parte del Cavaliere: la destinazione più probabile è il Kenya, in Africa, che paga a 20, seguita dall’isola caraibica di Antigua, a 25.
Ma forse vale la pena puntare sulla fuga ad est: la partenza verso la Russia dell’amico Vladimir Putin è quotata addirittura a 50.
L’udienza in Cassazione del processo Mediaset è fissata per il prossimo 30 luglio, quando la Suprema Corte sarà chiamata a decidere se confermare o meno la sentenza con cui la Corte d’appello di Milano dello scorso 8 maggio, ha condannato il leader del Pdl a 4 anni di reclusione e all’interdizione per 5 anni dai pubblici uffici per il reato di frode fiscale.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Luglio 10th, 2013 Riccardo Fucile
“DOVE SONO I VARI LUPI, GELMINI, FORMIGONI, COSI’ SOLERTI NEL CORRERE IN SOCCORSO DEL LORO LEADER-PADRONE, MA IN VERGOGNOSO SILENZIO DI FRONTE ALLE CRITICHE DI CICCHITTO E GASPARRI AL PONTEFICE?”
Con un duro editoriale, Famiglia Cristiana torna sulla visita di Papa Francesco a Lampedusa, lunedì scorso, per non far passare sotto silenzio l’imbarazzante mutismo dei cattolici di area Pdl di fronte alle bordate scaricate sul Pontefice dagli esponenti del partito rappresentativi della destra.
Il titolo dell’articolo, apparso sul sito di Famiglia Cristiana, non usa giri di parole: “Il vergognoso silenzio dei politici italiani”.
Prima di entrare nel merito delle accuse portate dal settimanale, è il caso di riassumere l’accaduto.
Lunedì scorso a Lampedusa, in una omelia di straordinaria umanità e di altrettanto straordinaria durezza, Papa Francesco ha invitato tutti a chiedere scusa: “Domandiamo al Signore la grazia di piangere sulla nostra indifferenza, sulla crudeltà che c’è nel mondo, in noi e in coloro che con l’anonimato prendono decisioni socio-economiche che aprono la strada a drammi come questo”.
Il dramma a cui ha fatto riferimento il Pontefice è quello dell’immigrazione visto da Occidente, dove il dovere dell’umana solidarietà si scontra con leggi a difesa della “cultura del benessere, che ci rende insensibili alle grida degli altri”.
Parole a cui hanno fatto seguito diverse dichiarazioni di dissenso dalla destra Pdl, riassumibili nella scontatissima scorciatoia dettata ai taccuini da Fabrizio Cicchitto: “Un conto è la predicazione religiosa, altro conto però è la gestione da parte dello Stato di un fenomeno così difficile qual è l’immigrazione irregolare che proprio a Lampedusa ha, per ciò che riguarda l’Italia, uno snodo fondamentale”.
Ma ciò che ha sorpreso Famiglia Cristiana non è Cicchitto, definito “trombettiere del pensiero berlusconiano” che “ha perso un’altra buona occasione per tacere e ha bacchettato il Papa”.
Nè chi gli ha dato “manforte in questa presuntuosa lezioncina”, ovvero “i soliti corifei Maurizio Gasparri (che, a forza di dover sempre dichiarare per apparire, non sa più quel che dice), e l’amazzone Daniela Santanchè”.
“Quel che più preoccupa – continua Famiglia Cristiana, entrando nel vivo del suo j’accuse – a testimonianza della loro insignificanza e sudditanza, è il silenzio dei politici cattolici della destra (dove sono i vari Lupi, Mauro, Gelmini, Formigoni?…), così solerti nel correre in soccorso del loro leader-padrone Berlusconi, ma in vergognoso e imbarazzante silenzio di fronte agli attacchi della destra a Papa Francesco”.
“Evidentemente – conclude il settimanale -, la disciplina di partito e l’attaccamento alle poltrone del potere valgono più del Vangelo… Eppure, per chi crede, il giudizio del Signore verterà non sulle ripetute e ostentate affermazioni della propria identità cattolica, ma su atti ben concreti”.
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Luglio 10th, 2013 Riccardo Fucile
UNA DESTRA DEI VALORI ETICI OGGI AVREBBE CHIESTO LE DIMISSIONI DI ALFANO PER AVER CONSEGNATO IN OSTAGGIO AL REGIME KAZACO MOGLIE E FIGLIA DI UN DISSIDENTE COME NEI PEGGIORI REGIMI MILITARI… E AVREBBE DETTO A BERLUSCONI: “FATTI PROCESSARE COME TUTTI I COMUNI CITTADINI, CI HAI ROTTO I COGLIONI COI TRUCCHETTI PER SCAPOLARE ALLE SENTENZE”
Una destra che è la vergogna per gli uomini e le donne di destra, una sinistra di cacasotto
che di sinistra non ha più nulla e pensa solo al potere (altrimenti non porterebbe a premier un soggetto da “Grande Fratello” candidato premier), una truppa sgangherata a cinque stelle che urla “servi e buffoni” alla sinistra per aver accettato il rinvio dei lavori imposti dal Pdl, fingendo di dimenticare che è proprio grazie a loro se Berlusconi è stato salvato e può dettare legge ancor oggi.
Tutti che vogliono un “parlamento del fare”, salvo bloccarne i lavori per miserabili interessi di parte.
Una ignobile recita a soggetto che vede un grande assente: una destra vera, etica, di galantuomini, capace di lavorare per gli italiani e non per parare il culo a un personaggio giudicato “corruttore” fino al terzo grado di giudizio.
Premesso che la Cassazione ha semplicemente applicato la legge fissando l’udienza per il 30 luglio, altrimenti sarebbe scattata la prescrizione per una parte temporale dei reati contestati a Berlusconi, se non lo avesse fatto avrebbe di fatto violato la legge stessa, favorendo un imputato.
E’ questa la Destra della legalità ?
E questa la Destra dei valori identitari di cui molti si riempiono la bocca?
E’ questa la Destra degli insegnamenti di Almirante, di Niccolai, di Rauti, di Accame, tanto per fare qualche nome?
Eh no, adesso la misura è colma: quella Destra era capace di andare a rendere omaggio a Berlinguer tra due file di comunisti veri e non patacca che si toglievano il cappello di fronte a tanta umilità e tanto coraggio.
Quella Destra, quei giovani di destra affrontavano discriminazioni e persecuzioni a scuola, venivano massacrati sotto casa ma non scappavano, non erano vigliacchi, ai processi andavano a testa alta perchè avevano valori e dignità .
Erano una comunità , non una corte di servi.
Erano militanti a costo zero, non lecchini e olgettine a pagamento.
Erano latitanti perseguitati per le loro idee politiche, non per mafia e corruzione.
Ecco perchè riteniamo che bloccare i lavori del Parlamento il giorno in cui si sarebbe dovuto cacciare il ministro degli Interni, chiunque fosse, e pensare semmai a misure per dare pane e lavoro agli italiani, sia una cosa indegna.
Continuino pure a distruggere l’Italia, ma non si chiamino più Destra, non ne sono degni, non lo sono mai stati.
L’Italia ha diritto a una Destra di cui non vergognarsi.
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Luglio 10th, 2013 Riccardo Fucile
ALFANO SEMPRE PIÙ IN DIFFICOLTà€. IERI VERTICE AL VIMINALE
Il rimpatrio forzato di Alma Shalabayeva e della figlia Alua, 6 anni, in Kazakistan rischia di creare serie difficoltà al governo Letta.
Il premier ha avviato l’indagine interna e ieri nel pomeriggio c’è stato un incontro al Viminale cui ha preso parte anche il presidente del Copasir, il leghista Giacomo Stucchi insieme ad Angelino Alfano, ministro dell’Interno.
Sul tavolo la ricostruzione del trasferimento della donna prima dalla villa di Casal Palocco al Cie di Ponte Galeria, nella notte tra il 29 e il 30 maggio, poi il rimpatrio nella capitale kazaka, Astana, il giorno successivo.
Ci sono diversi dubbi su entrambi i passaggi. Alcuni dei quali sollevati dai legali dei familiari e confermati, a quanto si apprende, anche da una relazione preparata dalla Questura di Roma che ha effettuato il blitz notturno nella villa di Casal Palocco.
Nell’operazione, infatti, oltre agli uomini della Digos sono stati coinvolti militari di altri reparti. Ernesto Gregory Valenti, avvocato dei familiari, ieri nel corso di una conferenza stampa in Senato ha parlato dell’esistenza di “un documento agli atti secondo cui una società di sicurezza italiana è stata incaricata, penso da una società di sicurezza israeliana, di sorvegliare la villa prima dell’irruzione della polizia”.
Inoltre, a quanto si è appreso, la questura aveva già ricevuto una prima richiesta di trasferimento forzato al quale però non è stato dato seguito perchè non era accompagnata da un provvedimento di espulsione e si è così reso necessario attendere il mandato di cattura internazionale a carico della donna.
I passaggi sono ancora tutti da accertare.
Ma nella vicenda il ruolo degli uomini della Questura è ritenuto “assolutamente corretto” anche al Viminale.
I dubbi sono semmai sui modi di azione scelti da Alfano. Il vicepremier , infatti, sarebbe intervenuto su chiamata diretta ricevuta dall’ambasciata del Kazakistan senza avvisare nè il ministero degli Esteri nè Palazzo Chigi.
Ipotesi questa confermata anche dalla ricostruzione del trasferimento ad Astana: il jet privato è stato noleggiato in Austria al mattino e a bordo c’era il console del Kazakistan che ha preso in consegna Alma e sua figlia.
La donna è stata rilasciata dal Cie prima ancora che venisse identificata correttamente con i documenti che l’ambasciata avrebbe dovuto inviare ed è invece stata schedata come immigrata clandestina.
Le presunte responsabilità di Alfano, insolitamente premuroso, fanno dire sottovoce a vari ambienti istituzionali e politici che “possiamo trovarci di fronte a un nuovo caso Ruby”.
Un pasticcio, stavolta, però ancora più tragico.
Anche perchè da Alfano si arriva in un lampo all’amicizia tra Berlusconi e il dittatore kazako Nazarbayev.
Nel governo e anche nel Pdl questa vicenda comincia a mettere paura e alcune fonti anticipano che Alfano sostanzialmente si trincererà dietro la relazione della questura di Roma.
La linea di difesa si baserà sul fatto che la donna è entrata in Italia “sottraendosi ai controlli di frontiera” e, inoltre, la sola assenza sul documento di timbri o visti di ingresso “legittimava il provvedimento di espulsione, ai sensi del decreto legislativo 286 del 1998 perchè trovata in possesso di un passaporto diplomatico risultato falso e irregolarmente soggiornante sul territorio italiano”.
Il documento, a quanto riferiscono ambienti del Viminale, “presentava evidenti segni di contraffazione ed era mancante di timbro o visto di ingresso in area Schengen”.
Alla luce di queste irregolarità “la donna è stata deferita all’autorità giudiziaria per i reati commessi con l’esibizione del falso passaporto e proposta al prefetto di Roma, in quanto clandestina, ai sensi del decreto n. 286/98, per l’emanazione del provvedimento di espulsione”. I legali della donna smentiscono da giorni il canovaccio questurino : il passaporto era regolare e mancavano le autorizzazioni della magistratura.
Ieri, Riccardo Olivo, altro avvocato della Shalabayeva, ha detto che c’era solo “una nota dell’Interpol” che poi però non è stata allegata agli atti.
Olivo ha parlato durante un’audizione alla Commissione straordinaria diritti umani del Senato, presieduta da Manconi.
Prima di lui Lyudmyla Kozlovska, presidente della Open Dialog Foundation, ha detto ai senatori presenti che questo scandalo “è uno stupro dei diritti umani condotto non in Kazakistan ma in un paese occidentale”.
Cioè da noi.
Fabrizio d’Esposito
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Luglio 10th, 2013 Riccardo Fucile
PEGGIO DELLA REPUBBLICA DELLE BANANE DOVE I DITTATORI VOGLIONO L’IMMUNITA’ PERPETUA… SOSPESI I LAVORI ALLA CAMERA E AL SENATO, IL PD CACASOTTO ACCONSENTE… SE IN ITALIA ESISTESSE UNA DESTRA CIVILE E ISTITUZIONALE AVREBBE RINCORSO I DEPUTATI PDL NEL TRANSATLANTICO A CALCI NEL CULO
Sospensione dei lavori per un giorno alla Camera e al Senato. Ecco il primo
bombardamento al governo delle larghe intese dopo che la Corte di Cassazione ha fissato l’udienza del processo Mediaset al 30 luglio.
I lavori di Montecitorio e di Palazzo Madama slittano a domani.
“Dobbiamo discutere di cosa sta accadendo”, ha chiesto il Pdl. “O si sospendono i lavori o cade il governo”, ha minacciato Daniela Santanchè.
Una decisione che ha preso di sorpresa il resto della maggioranza e che ha spinto il ministro per i Rapporti con il Parlamento Dario Franceschini a recarsi subito dal presidente del Consiglio Enrico Letta, per una valutazione della situazione.
Alla fine il punto d’equilibrio.
Al primo no del Pd, la controproposta dei berlusconiani di sospensione dei lavori per un giorno per proseguire le proprie assemblee dei parlamentari che riprenderanno già nel pomeriggio.
Il Pd a quel punto ha fatto dietrofront votando, in Aula alla Camera, il sì alla sospensione dei lavori per 24 ore.
Il Partito democratico è stato chiaro con gli alleati di governo: l’ennesimo voto obtorto collo è l’ultimo segnale di disponibilità .
E’ un modo per dire che i democratici tengono alla stabilità del governo, ma che c’è un limite.
Da qui il no alla sospensione per tre giorni come chiesto in un primo momento dai berlusconiani.
Se il Popolo delle Libertà continuerà a far tremare maggioranza ed esecutivo, potrebbe aprirsi davvero una crisi. Ma resta la cicatrice.
Tanto che, oltre ai lavori parlamentari, è stata annullata anche la riunione di maggioranza che aveva all’ordine del giorno i temi economici, i più cari al partito di Berlusconi.
Tuttavia le idee dentro al Pd — e non è una notizia — non sono chiarissime.
Perchè da una parte il segretario Guglielmo Epifani ha definito “inaccettabile e irresponsabile” la richiesta del Pdl di sospendere i lavori.
Ma dall’altra si è cercato di minimizzare e di scaricare la responsabilità . Il vicecapogruppo di Montecitorio Andrea Martella dice: “Non abbiamo detto sì al blocco dei lavori d’Aula: nessuno provi a rivoltare la frittata. Non saremmo mai stati disponibili a sospendere l’iter dei provvedimenti che stiamo esaminando, molto importanti e attesi da molti cittadini. Abbiamo solo accolto la richiesta del Gruppo del Pdl di concedergli alcune ore di tempo per il loro dibattito interno”.
La franceschiniana Paola De Micheli conferma: “Il Partito democratico non ha votato nessuna sospensione dei lavori dell’Aula ma ha soltanto permesso, nel pieno rispetto della prassi istituzionale, il rinvio della seduta pomeridiana per garantire a un gruppo parlamentare di tenere un’assemblea, come peraltro è stato concesso nei giorni scorsi al Pd”.
La decisione di votare a favore della richiesta Pdl di una sospensione dei lavori sta provocando malumori diffusi e trasversali nel gruppo Pd.
Off the records molti parlano di “faccenda gestita male”.
Ma i renziani hanno un diavolo per capello. Francesco Bonifazi: “Ho accettato di votare per disciplina di gruppo, ma così stanno suicidando il Pd e ledendo le istituzioni”.
E ancora Ivan Scalfarotto: “Ho votato sì e mi chiedo quanto io sia ancora in grado di gestire questa cosiddetta disciplina di gruppo”, scrive su Twitter.
Ma i malumori attraversano anche altre aree del Pd.
Dice un deputato dalemiano: “Non possiamo calarci le braghe, ogni volta che Berlusconi si alza storto. Non possiamo cedere ogni volta davanti ai loro ricatti. E cosa ancora più grave, qui non si tratta di una faccenda politica, ma istituzionale”. Matteo Orfinise la prende con chi si è astenuto durante il voto. “Ho contato almeno una ventina di astenuti. Sono sciacalli che lucrano uno 0,5 per cento in vista del congresso. Perchè non hanno chiesto che si riunisse il gruppo per discutere? Sapevamo tutti cosa stava maturando, non siamo nati ieri. Se non erano d’accordo, potevano chiedere un confronto in assemblea”.
Ma c’è chi non ce la fa più: “Non ho votato la sospensione dei lavori proposta dal Pdl — dice il renziano Davide Faraone — Magari fra un po’ ci chiederanno di andare a manifestare a Palazzo di Giustizia”.
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Luglio 10th, 2013 Riccardo Fucile
“UNO DEI REATI FISCALI CONTESTATI SAREBBE STATO PRESCRITTO IL GIORNO PRIMA DELLA FISSAZIONE DELL’UDIENZA: SI HA IL DOVERE PER LEGGE DI DETERMINARE L’UDIENZA DI TRATTAZIONE DI OGNI RICORSO PRIMA DELLA MATURAZIONE DELLA PRESCRIZIONE”
Nessuna anomalia, nessuna fretta: solo l’obbligo di legge di evitare che un processo si estingua perchè è passato troppo tempo.
La Cassazione non ci sta, i supremi giudici non hanno gradito le “urla” del Pdl che ha invocato il “colpo di Stato” (parole di Renato Brunetta) dopo la diffusione della notizia che l’udienza finale per l’affaire Mediaset era stata fissata il 30 luglio.
La Cassazione ha l’obbligo “di determinare l’udienza di trattazione di ogni ricorso prima della maturazione” della “prescrizione di alcuno dei reati oggetto del procedimento, a pena di responsabilità anche di natura disciplinare, e la Corte ha sempre adempiuto a tale dovere”.
La nota degli ermellini risponde proprio ai politici del Popolo della Libertà e introduce anche una novità sul processo: uno dei reati si sarebbe prescritto il 1° agosto (periodo feriale).
E dopo la nota sono arrivate anche le parole del primo presidente. Santacroce: “Nessun accanimento, Berlusconi trattato come qualunque imputato”.
“Non c’è nessun accanimento. Il senatore Berlusconi è stato trattato come qualunque imputato in un processo con imminente prescrizione” afferma il presidente della Cassazione, Giorgio Santacroce.
“Ci siamo abituati a un linguaggio poco consono a una democrazia” prosegue l’alto magistrato riferendosi alla stampa e in particolare al quotidiano Il Giornale che ha titolato ‘Banditi di Stato’: “Tutti sono liberi di esprimere opinioni, ma nella correttezza”.
“Se si fosse lasciato correre, ci sarebbero stati attacchi dall’altra parte”, aggiunge Santacroce, spiegando che i giudici della Cassazione hanno fissato l’udienza prima del termine di prescrizione “anche per evitare responsabilità disciplinari. Comunque — aggiunge — noi siamo sempre colpiti, sia se i processi hanno tempi biblici, sia se sono rapidi. Non c’è nessuna ragione per sentirsi esterrefatti” prosegue riferendosi alle dichiarazioni dei difensori del Cavaliere.
Da parte della Cassazione “non c’è nessuno zelo particolare, nessun atteggiamento da Speedy Gonzales.
E’ stata applicata la legge.
I procedimenti urgenti devono andare alla sezione feriale”.
“Nulla vieta — dice infine Santacroce — alla sezione feriale della Cassazione nella sua discrezionalità e su istanza della difesa, disporre un rinvio della discussione. Compito fondamentale del giudice è quello di non far prescrivere i processi. La Cassazione si comporta normalmente così”.
L’udienza per discutere il ricorso presentato dalla difesa del Cavaliere, condannato in secondo grado a 4 anni di reclusione e 5 anni di interdizione dai pubblici uffici, è stata di conseguenza fissata al 30 luglio.
Sul procedimento incombeva appunto il rischio della prescrizione, anche se la deadline era 26-27 settembre per i legali di Berlusconi.
La nota di Piazza Cavour al Pdl: “Prescrizione 1° agosto doverosa prassi”.
E così oggi — mentre il Popolo della Libertà chiede tre giorni di sospensione dei lavori delle Camere — piazza Cavour risponde sostenendo che “nel caso in esame nella assoluta normalità della doverosa prassi sin qui seguita, l’ufficio addetto all’esame preliminare dei ricorsi ha rilevato che la maturazione della prescrizione di uno dei reati sarebbe potuta cadere il 1 agosto 2013, compreso nel periodo feriale, e il presidente della Sezione feriale ha conseguentemente fissato la trattazione del ricorso per una udienza antecedente a tale data, previa richiesta di abbreviazione dei termini proposta, nel rispetto della normativa processuale, dalla Procura generale”.
E che il comunicato stampa sia proprio dovuto alle polemiche lo sottolineano proprio gli ermellini scrivendo che è stato emesso: “In relazione alla fissazione dell’udienza del 30 luglio 2013 in cui dovrà essere trattato il ricorso proposto avverso la sentenza della Corte d’Appello di Milano sulla cosiddetta vicenda Mediaset che ha suscitato le reazioni dei difensori di Silvio Berlusconi e di alcuni esponenti politici”.
A sollecitare i supremi giudici era stato il fax arrivato il 1° luglio con il quale gli uffici giudiziari di Milano segnalavano l’imminenza della prescrizione — ad agosto — di uno dei due reati fiscali. La Cassazione “si è limitata a verificare l’esattezza di quanto segnalato e ad applicare la legge”.
Del resto sempre da Roma ieri facevano notare che “l’ufficio giudiziario di Milano si è comportato come si comportano gli uffici diligenti, ossia segnalando l’imminenza della prescrizione di uno dei reati addebitati agli imputati per i quali in quella sede si è celebrato il processo di appello. E non ha alcuna importanza se c’è un altro reato che si prescrive nel 2014, perchè il dovere del magistrato è quello di evitare ogni prescrizione, non solo quella che cade per ultima”.
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