Settembre 8th, 2017 Riccardo Fucile
LE TELECAMERE DI SICUREZZA CONFERMANO CHE SONO STATE ACCOMPAGNATE A CASA DALLA GAZZELLA, SI ATTENDONO ESAMI DNA… LE DUE STUDENTESSE HANNO FORNITO UNA VERSIONE “PRIVA DI CONTRADDIZIONI”
L’accusa choc squarcia la città in un tranquillo venerdì di inizio settembre.
Due studentesse americane, a Firenze per un semestre universitario, accusano due carabinieri: “Ci hanno violentato nel nostro appartamento”.
La denuncia viene formalizzata in questura e lascia sconcertata la città . Sulla vicenda la procura della Repubblica ha aperto un’inchiesta e i due carabinieri, uno dei quali è un quarantenne padre di famiglia, risultano indagati.
Possibile che tutto questo sia veramente accaduto?
Un primo riscontro sul fatto che le due sono salite sull’auto dei carabinieri c’è: sono infatti state riprese nella macchina di servizio da telecamere di sicurezza lungo il tragitto compiuto.
I medici, visitate le ragazze, hanno inoltre constatato che le due hanno avuto recenti rapporti sessuali, anche se è da accertare se siano rapporti da ricondurre alla recente violenza.
Il racconto delle ragazze è questo: nella serata di mercoledì 6 settembre le due erano in un locale fiorentino. All’uscita della discoteca, in piazzale Michelangelo, avrebbero chiesto informazioni a dei carabinieri in divisa, in servizio. I due militari avrebbero detto alle ragazze: “Vi accompagnamo noi a casa”. Le ragazze si sarebbero fidate degli uomini in divisa. L’auto le ha portate in Borgo Santi Apostoli, dove vivono in affitto.
E nel palazzo si sarebbero consumate le violenze, tra l’androne e l’ascensore.
Una versione che è stata a lungo valutata dalla polizia che continua le indagini. Interrogate più volte in stanze separate, le due ragazze non si sarebbero mai contraddette, confermando la loro versione.
Sono stati sequestrati i vestiti che le due hanno indossato quella sera. Mentre le ragazze hanno passato la notte in una struttura protetta, in attesa dell’arrivo dei genitori dagli Usa.
Un’accusa choc che fa piombare la città nell’incubo, una città che attende si faccia luce su cosa sia realmente accaduto.
Intanto, nella mattinata di venerdì 8 settembre, il console generale americano ha incontrato il questore di Firenze.
E c’è intanto la reazione del Dipartimento di Stato Usa, che informa che “sta prendendo le accuse formulate molto seriamente”.
“La denuncia delle due studentesse americane è molto grave. Sono certa che il lavoro degli inquirenti porti nelle prossime ore ad un quadro più definito dei riscontri, per accertare la verità ”
(da agenzie)
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Settembre 8th, 2017 Riccardo Fucile
LA CONFERMA CHE NOI PAGHIAMO I CRIMINALI CHE SEVIZIANO E AFFAMANO PER NON TURBARE LA DIGESTIONE DI CHI NON VUOLE “PERCEPIRE” CHE E’ SOLO UN UOMO DI MERDA
Zawhia? «Appartiene alla Libia solo sulla carta, ma in realtà ha le sue leggi, è uno stato a se stante».
Mahmoud ha quasi quarant’anni, lavora per una società che si occupa della sicurezza delle aziende straniere a Zawhia, città nella parte occidentale della Libia, a circa 50 chilometri dalla capitale Tripoli.
Siamo nella parte di paese solitamente indicata come “controllata dal governo di al-Sarraj”, quello riconosciuto internazionalmente, ma che invece è in mano a milizie contrapposte e bande armate che si spartiscono tutti i traffici illegali, compreso quello dei migranti.
Anche per percorrere le cinquanta miglia che separano Tripoli da Zawhia è meglio andare in barca, via mare: in automobile è troppo pericoloso.
La strada costiera, rimasta chiusa più di due anni per gli scontri tra milizie rivali, ora è di nuovo aperta, ma una delle tribù della zona, quella dei Warshafana, organizza check point improvvisati per rapire le persone – e naturalmente gli stranieri valgono di più.
Quando arriviamo al porto di Zawhia, intorno a noi il silenzio è irreale.
Sul pontile ci sono una manciata di pescatori: puliscono le barche, rimettono in ordine le reti. Non c’è traccia della guardia costiera e non ci sono più i volti noti del contrabbando che qui era facile incontrare fino a poche settimane fa.
Non c’è traccia nemmeno dei migranti africani, che prima affollavano il porto.
Un uomo di Sabratha, città vicina e anch’essa tristemente nota per il traffico di uomini, sorride: «Se pensate che il traffico si sia davvero bloccato, siete solo illusi. I trafficanti si stanno solo riorganizzando. Molti di loro si stanno spostando nella zona di Garabulli, un centinaio di chilometri più a est. Alcuni stanno solo aspettando qualche settimana per riorganizzare i viaggi non più con i gommoni ma con le grandi navi di legno che contengono più migranti».
Lungo la strada che porta al centro di detenzione di Zawhia, l’autista ha mille occhi, si guarda intorno come se fossimo sempre sul punto di incontrare le bande armate.
Che hanno le mani su qualsiasi cosa e gestiscono il centro di detenzione illegale della zona. Quello inaccessibile: sia ai giornalisti sia alla polizia sia alle organizzazioni umanitarie.
Nel centro di detenzione “ufficiale” sono rinchiuse circa 1.100 persone, quasi tutti uomini, divisi in gruppi da 100 o 200 persone per stanza.
Una delle guardie apre il lucchetto della cella, e gli occhi dei ragazzi incrociano i nostri, in cerca di aiuto, in cerca di risposte.
John è uno dei detenuti, viene dal Gambia. «Non viene mai nessuno qui, nemmeno le Ngo. Siamo completamente abbandonati. I libici ci trattano bene solo quando arriva qualche giornalista come voi, ma appena la porta alle vostre spalle si chiude noi torniamo ad essere meno che animali. E nessuno ci dice che ne sarà di noi, fino a quando staremo rinchiusi qui e perchè».
Accanto a lui c’è Alizar, 17 anni, eritreo, uno tra le centinaia di migliaia di minori che fuggono dai loro paesi da soli e restano incastrati nell’inferno libico.
Alizar è orfano, non riesce a lasciare la Libia e comunque non potrebbe tornare nel suo Paese, perchè in Eritrea la leva è obbligatoria anche per i ragazzi giovanissimi e lui ormai è un disertore. Se tornasse, sarebbe ucciso.
Lasciamo Zawhia alzando gli occhi verso la raffineria sullo sfondo, il fumo, la fiamma, che sono simboli della ricchezza del paese, verso un’altra prigione di migranti, quella di Surman.
Da Zawhia dista pochi chilometri, ma bisogna percorrere strade secondarie per evitare check point e sottrarci alle milizie di zona: ce ne sono decine, specializzate nell’assaltare e rubare i mezzi blindati o nei rapimenti i locali.
E poi ci sono le milizie islamiche: sono poche, nascoste, tuttavia molto pericolose.
Il centro di detenzione di Surman è un ammasso di cemento in mezzo al nulla. Dentro ci sono circa 250 tra donne e bambini.
L’unica porta è chiusa a chiave da un lucchetto. In una stanza ci sono quattro donne stese a terra con quattro neonati: hanno tutte partorito nel centro di detenzione, nessuna di loro ha mai visto un dottore, nessuno le ha visitate, nessuno ha visitato i bambini.
Non hanno niente: al posto dei pannolini usano delle coperte di lana, anche se è agosto, tenute addosso ai bimbi con dei pezzi di plastica.
Due bambini sembrano denutriti. La scorsa settimana, ci dicono, è morta una donna che aveva partorito un mese prima: ora il suo corpo è nell’ospedale di zona e nessuno sa che farne.
Oggi di suo figlio, Bright, si prende cura Happiness, una ragazza, anche lei nigeriana, che ha attraversato il deserto insieme alla mamma del bambino.
«Mentre stava morendo le ho promesso che mi sarei occupata io di Bright, ma come posso fare?», ci dice Happiness con il bimbo in braccio. «Qui non c’è latte, non ci sono medici, non viene nessuno ad aiutarci».
Un’altra donna ci dice di aver perso le tracce di suo marito, arrestato con lei sulle coste di Zawhia.
Un’altra racconta di aver viaggiato da sola nel deserto: ricorda la sete feroce, e di aver bevuto la sua pipì per sopravvivere. E ricorda di aver visto, lungo il cammino, scheletri di chi al deserto non è sopravvissuto.
Questo è il destino cui sono condannati le centinaia di migliaia di migranti intrappolati in Libia.
In quasi tutti i centri di detenzione libici le organizzazioni umanitarie e i funzionari internazionali delle Nazioni Unite non possono arrivare per ragioni di sicurezza. Non arrivano dottori, non arrivano assistenti. Non arriva nessuno.
In una spiaggia lungo la costa tra Zawhia e Sabratha incontriamo un uomo che chiameremo Khaled: parla volentieri, qui lontano da orecchie indiscrete, ma preferisce non rivelare la sua identità per ragioni di sicurezza.
«Tutto ha un prezzo qui in Libia, tutto si paga», dice. «I migranti erano un affare quando i trafficanti dovevano organizzare i gommoni per farli arrivare in Italia e sono un affare anche oggi che devono essere trattenuti qui con la forza. Parliamo di milioni di dollari. Secondo voi i trafficanti libici interrompono le partenze perchè il ministero dell’interno italiano blocca le navi umanitarie lungo le coste? I trafficanti interrompono le partenze solo in cambio di soldi».
Khaled riferisce poi di un incontro segreto tra alcuni uomini dell’intelligence italiana e i capi delle principali milizie di Zawhia e Sabratha: per la “sicurezza delle coste” le milizie avrebbero chiesto cinque milioni di dollari, e nella trattativa la milizia Anas Dabbashi, che già controlla la sicurezza del compound Mellitah Oil e Gas, avrebbe chiesto un hangar proprio a Mellitah dove basare il proprio quartier generale.
Altre fonti ben informate di Tripoli, riferiscono di numerosi incontri nella parte orientale della capitale libica tra i servizi italiani e le milizie che gestiscono la sicurezza della città , Nawasi e Tajouri.
Le milizie avrebbero chiesto di garantire il blocco delle partenze, dietro il pagamento di una quota giornaliera a migrante.
La situazione economica nella Libia “di Serraj” del resto è al collasso.
Un dollaro al cambio ufficiale vale un dinaro e mezzo, al mercato nero nove dinari, anche dieci. I libici non possono prelevare più di duecentocinquanta dinari ciascuno, al mese. Poco più di venticinque dollari.
Anche le banche sono in mano alle milizie, sono le bande a decidere chi può avvicinarsi ai bancomat. Subito dopo la rivoluzione i nuovi deboli apparati statali avevano cercato di smobilitare e contemporaneamente premiare i combattenti che avevano rovesciato il regime: così anzichè dissolversi le milizie hanno conquistato autonomia, potere e i soldi e le armi libiche sono diventate un piatto ricco, cui le bande più potenti hanno attinto indiscriminatamente.
Nella capitale, Tripoli, i gruppi armati si dividono tra chi sostiene e chi si oppone al governo di Sarraj.
Tra i primi, le milizie più potenti sono le forze Rada, gruppo salafita di Abdel Rauf Kara, che ha il quartier generale nell’aeroporto di Mitiga, le milizie Nawasi che si occupano della sicurezza del primo ministro e la Brigata dei rivoluzionari di Tripoli, la più grande nella capitale, guidata da Haitham Tajouri.
Questo Tajouri è un signore della guerra, ha interessi economici enormi in città , i libici raccontano che quasi tutte le filiali delle banche della capitale siano controllate dai suoi uomini.
Lo scorso maggio Tripoli è stata teatro di violenti scontri tra milizie rivali per il controllo del mercato nero della valuta. Negli scontri tra le brigate Nawasi, in possesso degli uffici della società Libyana (poste e telecomunicazioni) nella parte ovest della città , e la brigata Ghazewy, presente nella città vecchia è morta una donna e diversi sono stati i feriti.
Le milizie non dominano solo la vita economica del paese: ne determinano anche la vita politica.
Lo scorso maggio la brigata Nawasi ha attaccato il ministero degli esteri del governo Sarraj, accusando il ministro Mohamed Taher Sayala di aver rilasciato una dichiarazione troppo amichevole nei confronti del nemico Haftar.
Sempre gli uomini della brigata Nawasi meno di un mese fa hanno fatto irruzione nell’ufficio del capo della sicurezza della Guardia Costiera Libica, Tareq Shanboor, accusato di aver criticato le decisioni italiane in Libia.
Shanboor stava lavorando come ogni giorno, quando una decina di uomini armati è entrata nel suo ufficio dicendo: vattene per sempre e senza ribellarti, da oggi l’ufficio sarà gestito sotto la nostra autorità
Hisham – un impiegato di una banca di Tripoli – ci spiega che ha impedito alla figlia maggiore di andare all’università : ha paura che gli uomini delle milizie la rapiscano.
Solo a giugno e nella capitale i rapimenti sono stati più di cento, quasi duecento le rapine a mano armata.
«Non guardate questa città da lontano, come fosse una cartolina», ci dice Hisham. «Se la guardate da lontano la vita sembra scorrere normalmente, ma qui la sicurezza è un miraggio, viviamo nel terrore, siamo tutti sotto il ricatto delle milizie. Tutti, cittadini e governo. La rivoluzione è stata una bolla, un’illusione. Il prezzo del pane e della frutta è cinque volte quello di pochi mesi fa, la gente non sa più cosa vendere. Ormai tutto è in mano a bande armate».
Questa è la Libia in cui l’Europa e l’Italia cercano di bloccare i migranti.
«I trafficanti fermeranno le partenze per un mese, forse due. Hanno chiesto soldi, ne chiederanno ancora. È il prezzo che i vostri paesi pagano per non accogliere migranti», ci dice il nostro accompagnatore Mahmoud, mentre guarda il mare.
E a voce bassa aggiunge che al posto di Gheddafi, ora ci sono centinaia di piccoli Gheddafi. Durante il regime del dittatore la vita era come anestetizzata, senza gioia e senza odore.
Oggi, invece, nel regime delle milizie, la vita puzza e basta.
Francesca Mannocchi
(da “L’Espresso”)
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Settembre 8th, 2017 Riccardo Fucile
UN’ANTICIPAZIONE DI “SUPERNOVA”, IL LIBRO DEGLI EX DI CASALEGGIO SVELA I RETROSCENA DELLA CANDIDATURA
Roma, inverno 2017. Ci sono due uomini che camminano. Uno è giovane vestito di nero. Parla per formule matematiche. Dice di conoscere la verità delle cose.
L’altro è anziano e macilento, ma lucidissimo. Capisce prima degli altri come cambiano le cose.
Il giovane ha un’ossessione. Prova a spiegarla. «È quello che vedi quando ti affacci alla finestra, o quando accendi il televisore. L’avverti quando vai al lavoro, quando vai in chiesa, quando paghi le tasse. È il mondo che ti è stato messo davanti agli occhi per nasconderti la verità ».
Vuoi una pillola rossa? – chiede al vecchio.La risposta è quasi un lamento, lontano, secco. «Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi… il peccato che non perdoniamo mai è semplicemente quello di “fare”. […] il sonno è ciò che vogliono».
Ecco, per raccontare la Roma di oggi, la sua suburra immortale e i suoi nuovi regnanti, le bugie, gli inganni e le speranze, servirebbero davvero due come loro.
Da una parte Morpheus, l’eroe che in Matrix combatte la realtà simulata e creata dalle macchine, dall’altra il Principe Fabrizio Salina, l’antieroe cinico e disincantato del Gattopardo.
Entrambi hanno a che fare con una realtà virtuale, entrambi, da posizioni opposte, combattono contro i fake, i falsi, le ipocrisie.
Perchè di questo stiamo parlando, di Roma e di come è diventata un fake. Roma è falsa, perchè non può cambiare. Perchè la città piu bella del mondo non può cambiare.E se Roma è falsa, tutto è falso, il mondo è falso. E chi la vuole per sè è anche lui falso.
Guardare Roma, e Torino, è come avere in mano la visione a raggi X di cosa è il Movimento.
Come viene gestito, chi lo usa, come si avvicina al potere, come viene avvicinato dal potere. Roma e Torino, Virginia Raggi e Chiara Appendino, sono due facce della stessa medaglia.
Anche se per pochi mesi una si trovava nell’inferno delle critiche mentre l’altra veniva salutata come il volto nuovo della politica, entrambe sono legate dagli stessi fili.
Entrambe nascono all’interno dei poteri delle loro città . Raggi da uno degli studi legali più potenti della Capitale, quello dei Sammarco amici e sodali di Cesare Previti.
In quello studio, distillato del generone romano, Raggi per qualche mese è presidente di una società la Hrg di Gloria Royo, braccio destro di uno dei protagonisti dell’inchiesta di Mafia Capitale, ex-ras dei rifiuti a Roma.
Nessun problema se non fosse che questo, ed altro, non finirà nel suo curriculum. Perchè?
Chiara Appendino nasce nel cuore della Fiat, nella società sportiva di famiglia, la Juventus.
Entrambe non muovono un passo senza i loro Rasputin: Renato Marra per la Raggi (salvo poi scaricarlo come «uno dei 23 mila dipendenti comunali» al momento dell’arresto per corruzione), Paolo Giordana per l’Appendino.
Entrambe sono state elette per ridare il potere ai cittadini facendo leva sui ceti popolari, sulle istanze dal basso, per poi finire a corteggiare e farsi corteggiare dal sistema, tradendo ampie fette dell’elettorato di riferimento e i loro stessi programmi. Entrambe hanno i loro “protettori”.
La Raggi e i suoi consiglieri hanno demandato alla Casaleggio Srl qualsiasi scelta sulle politiche amministrative firmando – caso unico al mondo – un contratto di natura privata con la casa madre, secondo il quale queste dovranno essere «preventivamente sottoposte a cura dello staff…» e la comunicazione ufficiale dovrà passare attraverso i canali ufficiali del Movimento.
Un contratto in nove punti che prevede anche una clausola per chi non dovesse rispettarlo, 150 mila euro di penale.
Casaleggio amava dire «non si combattono le guerre che non sai di vincere».
E c’erano certe guerre che non voleva nemmeno sfiorare. Una di queste riguardava il Movimento a Roma. Per capire il contesto bastano queste poche istantanee, frame racchiusi nella parte della memoria che fa più male, quella del rimpianto.
Il rimpianto, qui, ha nome e cognome: quello di Marco Agostini.
Quando si avvicina al Movimento ha quarant’anni, soddisfazioni lavorative, tre figli. È il prototipo dell’attivista old style, lontano anni luce dagli haters della rete. Agostini ha rapporti diretti e amichevoli con Casaleggio e quando a Roma arriva il momento di presentarsi alle elezioni – siamo alla fine del 2012 – è lui che organizza le primarie on line per le elezioni comunali.
Non sulla piattaforma della Casaleggio srl ma su un server autonomo: cittadini informati e democrazia diretta come stelle polari.
L’affluenza è buona, per i candidati a sindaco si organizza anche un confronto pubblico. Tutto è pronto per scegliere chi sfiderà Ignazio Marino.
Dopo il successo di febbraio alle elezioni politiche c’è chi crede che è possibile conquistare anche il Campidoglio. L’unico a non crederci, anzi a sperare che non questo non succeda è proprio Grillo. «Se la tenessero Roma…», dice di fronte a molti testimoni.
Sa che il Movimento non è attrezzato a quel salto, stare all’opposizione è in fondo più comodo, almeno in quel momento. E da Milano arriva l’ordine, puntuale.
«Fu deciso», racconta Agostini, «contro ogni logica di far votare il candidato sindaco sulla loro piattaforma. Provai a parlarne con Gianroberto ma fu irremovibile. Ma quello che mi sorprese fu altro. Quando gli chiesi se pensava di far verificare le votazioni on line da un ente terzo la sua risposta arrivò come un maglio: “Col cazzo che faccio entrare una società estranea nel mio database…”».
A Roma dopo anni di diaspore e divisioni, c’è comunque un candidato forte: si chiama Daniele Frongia.
Il suo sfidante è meno conosciuto ma è appoggiato da Roberta Lombardi, in quel momento capogruppo e presidente del M5S alla Camera.
A Roma, l’attivismo ha una frattura: o stai con Roberta o sei suo nemico. Il suo candidato è Marcello De Vito: apprezzato sì ma a dire di molti – tra cui anche Grillo – privo di fascino.
Agostini è molto legato a Frongia. E il giorno delle votazioni sul blog è sulle spine. «Decidono i cittadini, decidono i Romani, non i partiti». È uno degli slogan del Movimento. «Per questo», continua Agostini, «quando ricevo la chiamata da Milano rimango di sasso. Era Filippo Pittarello che voleva avvertirmi che Daniele era nettamente in testa…».
Agostini è sorpreso perchè questo significa che il software della Casaleggio permette a chi ha le password di osservare in tempo reale chi vota, come vota.
Il pensiero di Agostini torna a quel diktat, alla decisione di trasferire le votazioni da un server indipendente a quello della Casaleggio.
E le sorprese non finiscono qui. Per tutto il pomeriggio da Milano confermano il trend su Frongia, ma pochi minuti dopo la chiusura delle votazioni Agostini riceve un’altra chiamata da Milano. Al telefono è sempre Pittarello: «Mi spiace Marco, comunica a Daniele che non ce l’ha fatta, ha vinto Marcello…».
Dalle urne romane di maggio – quelle vere – uscirà vincente Ignazio Marino.
Uno dei suoi primi atti sarà coinvolgere nella sua giunta i consiglieri M5S e per questioni di immagine propone che sia Virginia Raggi il volto di questa operazione: in quella risicata pattuglia si apre il dibattito, accettare o meno l’offerta?
La questione viene chiusa dal blog, con un post molto violento di Grillo e Casaleggio. Sarà l’ultimo momento di notorietà per la Raggi fino al 2015.
È nell’autunno di quell’anno che Virginia riceve una telefonata. In quei due anni e mezzo è sparita mediaticamente e dal punto di vista dell’attività di consigliere è coperta dall’attivismo di Frongia e De Vito.
«Abbiamo pensato a te per la candidatura a sindaco di Roma. Te la senti?». La voce è quella di Gianroberto Casaleggio e quella è un’investitura, chiara, netta.
Ma è anche un gigantesco insulto alle regole e ai principi che lui stesso ha inventato.
Per creare la candidatura della Raggi e poi lavorare su quell’illustre sconosciuta, bisogna sgombrare il campo, metterla in condizione di non avere rivali interni.
La logica vorrebbe che possa essere Frongia il candidato con più possibilità di essere scelto dagli attivisti. E quindi Frongia deve essere convinto.
Solito metodo quindi, la linea telefonica, altro che voto dei cittadini. Ma stavolta a chiamare è Davide Casaleggio che da tempo conosce Frongia con cui condivide la passione degli scacchi.
Frongia non può tirarsi indietro dalle comunarie ma l’accordo è siglato, Virginia sindaco e Daniele suo vice.
È la democrazia diretta.
Nel senso che è diretta da Milano.
(da “L’Espresso”)
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Settembre 8th, 2017 Riccardo Fucile
L’EPIDEMIOLOGO BAGLIO: “NESSUN MIGRANTE UNTORE, VIAGGIO TROPPO LUNGO PER LA TUBERCOLOSI E TROPPO BREVE PER EBOLA”
Sono oltre 500 mila le persone sbarcate sulle coste italiane negli ultimi anni: 170 mila nel 2014, 154
mila nel 2015 e 170 mila circa nel 2016.
Una cifra che corrisponde, grosso modo, agli abitanti di una città come Genova, anche se per una grossa fetta di coloro che arrivano nel nostro Paese l’Italia è solo un paese di passaggio.
C’è chi ha parlato addirittura di “sesto continente” riferendosi ai movimenti migratori, volontari e non, che interessano l’intero pianeta; anche se nel caso italiano più che a un sesto continente siamo di fronte alla Terra dei fraintendimenti.
Il più grave, quello per cui la vulnerabilità sanitaria dei migranti viene interpretata come un problema che può mettere a repentaglio la salute degli autoctoni.
“Il vero problema che dobbiamo affrontare oggi riguardo alla salute di chi sbarca sulle nostre coste non è rappresentato dalle gravi malattie infettive e diffusive, la cui incidenza è assai contenuta per il fenomeno del “migrante sano” ormai ampiamente dimostrato dai dati, ma dal disagio psicologico di queste persone” spiega Giovanni Baglio, epidemiologo della Società Italiana di Medicina delle Migrazioni (SIMM).
“Dal punto di vista della salute mentale, l’effetto migrante sano tende a esaurirsi rapidamente, già prima dell’arrivo, a seguito delle condizioni spesso estreme in cui il percorso migratorio si compie: coloro che arrivano, donne, uomini e bambini, sono estremamente vulnerabili e manifestano forme reattive quali depressione, disturbi di adattamento, disordini post-traumatici da stress, stati d’ansia”.
Non si tratta di nascondersi dietro a un dito, di spostare l’attenzione da un problema a uno pseudoproblema, come sottolinea nientemeno che il prestigioso Karolinska Insitutet svedese sulle pagine dell’altrettanto prestigiosa rivista Nature , dove gli esperti hanno affermato senza mezzi termini che “I paesi ospitanti devono affrontare i livelli elevati di disordini della salute mentale nei migranti, nell’ottica di far sì che essi si integrino il meglio possibile”.
Mentre nel nostro paese si fa politica intorno alle millantate conseguenze epidemiologiche dell’accoglienza, il focus sulla salute mentale è entrato oramai a pieno titolo nelle agende internazionali.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità per esempio ha dedicato la giornata mondiale della salute 2017 proprio alla salute mentale, anche in relazione al fenomeno delle migrazioni.
Tuttavia, una primo passo l’abbiamo fatto anche in Italia: il 3 aprile scorso sono state pubblicate in Gazzetta Ufficiale le Linee guida per la programmazione degli interventi di assistenza e riabilitazione nonchè per il trattamento dei disturbi psichici dei titolari dello status di rifugiato e dello status di protezione sussidiaria che hanno subito torture, stupri o altre forme gravi di violenza psicologica, fisica o sessuale.
IL FRAINTENDIMENTO METODOLOGICO
I principali spauracchi sono le malattie che in una storia più o meno recente sono state sinonimo di epidemia: tubercolosi, polio, ebola.
“Chi alimenta la paura della diffusione di malattie come la tubercolosi o ebola, divulgando l’idea del migrante-untore, vettore anche asintomatico di temibili pestilenze, ignora le evidenze epidemiologiche basilari: il viaggio risulta essere troppo lungo per ebola, ma troppo breve per la tubercolosi, nonostante le condizioni di grave deprivazione che accompagnano i migranti in fuga” spiega Baglio.
I tempi con cui si sviluppa la tubercolosi sono infatti lunghissimi, possono durare anche anni, molto di più dunque di una traversata, e quindi anche se un migrante parte perfettamente sano ma con un’infezione latente abbiamo tutti gli strumenti per agire bene per tempo se si dovesse manifestare l’infezione una volta stabilitosi in Italia. Specularmente, i tempi in cui ebola si manifesta sono molto più brevi di quelli di una traversata in mare.
“Se davvero dovesse esserci un caso di ebola a bordo — cosa assai improbabile —difficilmente il malato, o chi eventualmente venisse contagiato, arriverebbe vivo in Italia, rappresentando un problema per noi”.
Se c’è un problema riguardo alla tubercolosi, riguarda gli immigrati residenti, che di fatto si ammalano di più rispetto agli autoctoni, e al momento nessuna regione italiana propone uno screening sistematico per la tubercolosi fra gli stranieri residenti, anche se complessivamente il paese sta assistendo a una diminuzione dei casi anno dopo anno.
Secondo quanto riportato dall’ultimo rapporto Osservasalute , i casi di tubercolosi notificati in Italia mostrano una lenta e progressiva diminuzione dell’incidenza, in accordo con quanto già accaduto nel corso degli anni (da 7,7 casi per 100.000 abitanti nel 2006 a 6,3 casi per 100.000 nel 2015).
Insomma: la presenza dei migranti, anche quando diventano cittadini italiani, non ha impattato minimamente sul trend del numero dei casi di tubercolosi in Italia.
Lo stesso si verifica per l’HIV.
I dati in merito sono lapalissiani: le ondate migratorie non hanno influenzato il trend complessivo dei nuovi contagi da HIV in Italia, anzi i dati del Centro Operativo AIDS (COA) dell’Istituto Superiore di Sanità mostrano che stiamo assistendo a una costante diminuzione dei casi.
“Sebbene non siano untori, non significa che il problema non sussista — precisa Baglio — dal momento che comunque gli stranieri, anche se residenti, hanno maggiori difficoltà di accesso ai servizi, nonostante le cure siano assicurate presso le strutture del Servizio sanitario nazionale anche a chi non ha il permesso di soggiorno. Occorrono dunque maggiori sforzi a sostegno di una più efficace azione preventiva, di un accesso tempestivo al test diagnostico e di una maggiore fruibilità dei percorsi di cura, con particolare riferimento al grado di adesione dei pazienti ai protocolli terapeutici”.
ALLERTA NON SIGNIFICA EPIDEMIA
Circa 180 mila dei 500 mila sbarcati, stando alle statistiche più recenti, sono accolti nei centri di accoglienza, che sono i luoghi dove chi arriva sano ma vulnerabile può ammalarsi, se non vengono assicurate le misure minime di igiene e di controllo. Ancora una volta i dati sono chiari: la maggior parte delle malattie che si riscontrano nei centri di accoglienza sono problemi dermatologici non gravi in termini infettivi: scabbia e ustioni, queste ultime dovute alla commistione fra carburanti e acqua di mare, a cui i migranti, in particolare le donne che viaggiano di norma al centro dei gommoni, sono sottoposti.
Non si tratta di opinioni, sono i dati a metterlo nero su bianco, come emerge ancora una volta dall’ultimo rapporto di Osservasalute, che riporta i risultati dell’ultima Sorveglianza sindromica nei Centri per migranti della regione Sicilia nel periodo marzo- agosto 2015.
Delle 13 malattie incluse nella sorveglianza, che ha coinvolto 21 centri di accoglienza in 5 province siciliane, per un totale di oltre 5000 migranti osservati ogni giorno, si sono riscontrate oltre 2000 sindromi, ma altro non erano che scabbia e ustioni.
Nessun caso di diarrea con sanguinamento, sindromi gastroenteriche, meningiti, encefaliti, sindromi neurologiche, sepsi o shock inspiegabili, emorragie o ittero. E soprattutto solo un caso di tubercolosi polmonare latente.
Qui entra in gioco un secondo fraintendimento, questa volta di carattere linguistico, che deriva dall’utilizzare a sproposito i termini allerta e allarme.
Questa sorveglianza sindromica riporta infatti 48 allerte e 16 allarmi nel periodo esaminato, in questa coorte di 5000 persone.
“Si tratta di parole che fanno risuonare l’idea di gravi pericoli incombenti, mentre si tratta solo di termini tecnici utilizzati da noi epidemiologi — spiega Baglio — per descrivere situazioni che vale la pena controllare. Un’allerta statistica si verifica quando, nell’analisi giornaliera dei dati, la frequenza di una certo problema di salute (sia esso un episodio di bronchite o un caso di varicella) supera il livello atteso, mentre si parla di allarme quando l’allerta ricorre per almeno due giorni consecutivi. L’obiettivo è riuscire a intercettare il maggior numero di situazioni dubbie su cui poi si procede con la conferma diagnostica e l’eventuale trattamento”.
Importanti sono anche i risultati, riportati sempre da Osservasalute, che emergono dagli interventi effettuati a Roma fra il 2014 e il 2015 sui migranti in transito, per un totale di 3.870 visite effettuate dalle èquipe sanitarie operanti sulle unità mobili nel 2014 e 8.439 nel 2015.
Per quanto riguarda le malattie infettive sistemiche, nel 2014 sono state effettuate 21 segnalazioni (pari allo 0,5% della casistica totale), così distribuite: 7 persone con sospetta tubercolosi polmonare, per nessuna delle quali è stata poi confermata la diagnosi; 8 casi di malaria e 6 casi di varicella. Nel 2015, le segnalazioni di sospetta malattia infettiva sono state in tutto 108, e hanno riguardato prevalentemente casi di varicella (70) e malaria (27). I casi sospetti di tubercolosi sono stati 7 e solo per 2 di questi è stata confermata la diagnosi.
Certo, i problemi di igiene in molti casi rimangono, e in generale, nonostante non dobbiamo prestare attenzione ad alcun monatto manzoniano, non possiamo abbassare la guardia sul fronte dei controlli.
A tale riguardo, sta per essere pubblicata dall’Istituto Nazionale Salute, Migrazioni e Povertà , in collaborazione con l’Istituto Superiore di Sanità e con la SIMM, la linea guida “Controlli sanitari all’arrivo e percorsi di tutela per i migranti ospiti presso i centri di accoglienza”.
Si tratta di un documento, elaborato da un panel multidisciplinare di esperti, che intende offrire raccomandazioni basate sulle migliori evidenze scientifiche disponibili sulla pratica dei controlli, per la quale esiste a tutt’oggi elevata incertezza e discrezionalità . Prima della stesura definitiva, sarà avviata una fase di revisione aperta, mediante consultazione pubblica, al fine di consentire un confronto trasparente, partecipato e costruttivo tra gli stakeholder e gli operatori sanitari, volto a sollecitare osservazioni e suggerimenti.
SALUTE PUBBLICA PER CHI?
È oltremodo curioso inoltre assistere alle rimostranze in termini di fantomatiche malattie infettive — che poi altro non sono che scabbia, varicella, eventualmente morbillo — e dall’altra al pericoloso aumento di chi decide per scelta per esempio di non vaccinare i propri figli.
Anche qui il concetto di salute pubblica è perlomeno frainteso: ci si sente in pieno diritto di gridare agli untori, se ci sentiamo potenzialmente minacciati, ma non ci autodefiniamo tali se le nostre scelte possono mettere a rischio indirettamente e potenzialmente qualcun altro.
“Rispetto alle malattie prevenibili con vaccino – precisa Baglio – il problema viene affrontato dalle Linee guida in precedenza ricordate, che raccomanderanno di vaccinare i bambini migranti ospiti presso i centri di accoglienza per le principali malattie, secondo il calendario nazionale vigente, in relazione all’età ”.
“Il vero grosso fraintendimento è dunque quello di considerare come problema di salute pubblica primariamente ciò che avvertiamo come emergenza, in termini di ciò che può avere conseguenze dirette su di noi, mentre qui si tratta di allargare lo sguardo e considerare nel complesso il benessere di chi arriva. Ci riferiamo solitamente alla salute pubblica mettendo al centro noi, gli autoctoni, e le conseguenze delle azioni degli ‘altri’ — i migranti, gli stranieri — su di noi, ma è una prospettiva parziale” conclude Baglio.
“Si tratta di pensare invece alla salute pubblica davvero in termini universali, e non solo per noi, gli autoctoni. I dati mostrano in maniera evidente che qui a essere vulnerabili sono loro, non noi.”
(da “L’Espresso”)
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Settembre 8th, 2017 Riccardo Fucile
PER FELTRI “E’ IL FRUTTO DELLA CAMPAGNIA DI ODIO CONTRO DI NOI”: HA PARLATO L’ESPERTO AVVELENATORE DI POZZI
“Impossibile raggiungere il sito“, questa è la scritta su pagina bianca che compariva in mattinata digitando www.liberoquotidiano.it. Il motivo è presto spiegato andando sul profilo Facebook del giornale diretto da Vittorio Feltri: si tratta di un “attacco hacker“.
Il quotidiano milanese sui suoi canali social informa gli utenti: “Buongiorno. Liberoquotidiano.it è sotto attacco hacker” dalla notte tra il 7 e l’8 settembre, “ci scusiamo con i lettori per la nostra assenza”.
Da via Majno fanno sapere che “stiamo lavorando per risolvere il problema al più presto”.
Molti i lettori che hanno mostrato vicinanza a Libero, nel commenti al post: “Mi dispiace…sbrigatevi! A presto”.
Ma anche tanta ironia: “Sarà qualche virus del Burkina Faso portato dai clandestini”, scrive un utente. “Saranno hacker comunisti”, la risposta di un altro seguace.
In un secondo post Libero fa sapere che “il responsabile dell’attacco sarebbe tal “Anonplus“: quella che potete vedere è una sorta di rivendicazione“.
L’immagine allegata riporta un tweet dell’account indicato dal giornale come responsabile del blocco del sito. “L’hacker — è scritto — attacca il direttore Vittorio Feltri per quanto detto in un intervento a La Zanzara di Radio 24“.
Secondo il quotidiano “si tratta dell’ultimo atto della campagna d’odio che si è scatenata contro il nostro quotidiano in seguito al titolo ‘Dopo la miseria portano le malattie’, relativo al caso della bimba morta di malaria a Trento”.
L’attacco informatico è avvenuto all’indomani di alcune edizioni del quotidiano che hanno innescato non poche polemiche.
Altra pubblicazione nel mirino delle critiche è stata quella sulla bimba morta di malaria pochi giorni fa all’ospedale di Brescia per un’infezione contratta in un istituto sanitario di Trento.
L’apertura di Libero del 6 settembre era: “Dopo la miseria, portano la malaria“, forzando strumentalmente il fatto di cronaca per relazionarlo alla “retorica dell’invasione”, conseguenza del flusso migratorio proveniente dall’Africa.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Settembre 8th, 2017 Riccardo Fucile
ANCHE SE LEGA E FORZA SONO IN CALO, CENTRODESTRA ANCORA IN TESTA… GENTILONI, RENZI, DI MAIO, BONINO I LEADER PIU’ GRADITI
Il sondaggio condotto nei giorni scorsi per l’Atlante Politico di Demos di Ilvo Diamanti e pubblicato
oggi su Repubblica incorona il MoVimento 5 Stelle, che nelle intenzioni di voto di settembre 2017 arriva al 28,1% guadagnando più di due punti percentuali rispetto alla precedente rilevazione e superando il Partito Democratico che si ferma al 26,8%, in crescita di mezzo punto.
La somma dei tre più grandi partiti del centrodestra (Lega Nord, Forza Italia e Fratelli d’Italia) supera però entrambi i partiti e arriva al 31,6%.
Calano MDP, Sinistra Italiana e Campo Progressista che insieme arrivano all’8,2%
Per quanto riguarda le leadership, mentre quella di Luigi Di Maio nel MoVimento 5 Stelle non è in discussione (59% di gradimento per lui, il 12% per Di Battista e Grillo), Matteo Renzi ha facilmente la meglo sugli altri leader del centrosinistra assommando il 41% di gradimento anche in caso di formazione di una coalizione di centro-sinistra formata da PD, MDP, Sinistra Italiana, Campo Progressista e altri.
Per quanto riguarda il centrodestra le percentuali sono più risicate ma a riscuotere il maggior gradimento è Matteo Salvini, che supera Silvio Berlusconi di tre punti percentuali, grazie al supporto di Fd
La Lega perde uno 0,2% mentre Forza Italia scivola di oltre un punto, da 14,4 al 13,2%. Superata dalla Lega di Matteo Salvini, che passa comunque dal 13,8 al 13,6%.
A sinistra del PD, Articolo 1-MdP, guidato da Pier Luigi Bersani e Roberto Speranza, perde qualcosa, è poco sotto il 4%.
Il Campo Progressista di Giuliano Pisapia si attesta al 2% ed è anch`esso in calo. Poco più su, al 2,5%, c`è Sinistra Italiana e altri di sinistra, anch’essi in decrescita dal 2,9%. Fra gli altri, AP si attesta al 2% (dal 2,1 di giugno).
Fra i leader in testa Paolo Gentiloni, che passa da 45 di giugno al 49% di gradimento. Luigi Di Maio sale dal 28 al 37% così come Beppe Grillo, che passa dal 24 al 30%.
In salita Matteo Renzi (dal 32 al 35%) e Pier Luigi Bersani (dal 28 al 30%).
Nello schieramento di centrodestra il capofila è Matteo Salvini (dal 36 al 37%), che stacca Silvio Berlusconi (da 29 al 30%). Stabile Giorgia Meloni.
Da segnalare l’apprezzamento per Emma Bonino (ha raccolto il 43% di gradimento da parte degli intervistati)
(da “NextQuotidiano“)
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Settembre 8th, 2017 Riccardo Fucile
NESSUNO METTE PAPPALARDO IN UN ANGOLO! ANCHE SE LA DIGOS CRUCCA HA INFILTRATO LA RIUNIONE…E ANNUNCIA UNA PASSEGGIATA SOSTITUTIVA ALLA RIVOLUZIONE
“You say you wanna a revolution / oh oh we all want to change the world“, cantavano i Beatles ai tempi del White Album.
E anche il generale Antonio Pappalardo la voleva per l’11 e il 12 settembre a Roma, “But when you talk about destruction / Don’t you know that you can count me out“, gli hanno risposto.
Ieri il Questore di Roma ha inopinatamente vietato la rivoluzione del generale dietro la collina, ma lui non si arrende e punta il dito su chi si è venduto ai Poteri Forti per farla saltare.
L’antefatto: da qualche mese il generale Antonio Pappalardo organizza con il suo Movimento Liberazione Italia e insieme a Riprendiamoci l’Italia. Avviso di sfratto una manifestazione “di popolo” che dovrebbe svolgersi così: il “popolo” si presenta davanti al parlamento (la Camera) e protesta spiegando che gli eletti sono abusivi per la sentenza della Corte Costituzionale sul Porcellum.
A quel punto i militari si illuminano d’immenso e arrestano gli abusivi — come ai bei tempi di Osvaldo Napoli — ovvero i parlamentari e ristabiliscono la democrazia in Italia. Quando i militari arrestano gli eletti di solito si sta facendo un golpe e non una rivoluzione ma non perdiamoci in dettagli.
Succede infatti che il 5 settembre si svolge una riunione di organizzazione di questa manifestazione che dovrebbe cacciare gli abusivi dal parlamento.
E qui, secondo il racconto di graduati come il commissario in quiescenza Giuseppe Pino, “si sono infiltrati dei miserabili, dei farabutti, dei pezzi di merda che sono andati a riferire il tutto agli ordini istituzionali”.
E ancora: “Questi miserabili hanno registrato tutto quello che dicevamo e sono andati a riportare cose che noi non abbiamo mai detto”.
Qui le cose si fanno complesse.
Secondo il racconto del commissario Giuseppe Pino, “questi miserabili (che hanno registrato la riunione) erano stati accompagnati da Simone Carabella”.
L’accusa nei confronti di Carabella, già difensore degli italici costumi dall’invasione degli immigrati nonchè capo popolo dei genitori no-vax, è evidentemente grave.
Ma i rivoluzionari del lunedì la fondano su un video pubblicato proprio da Carabella in cui lui stesso afferma che la manifestazione è annullata e spostata ad ottobre.
Nel video Carabella spiega che alle forze dell’ordine è arrivata la voce che qualcuno avrebbe fatto qualche “gesto inconsulto” durante la manifestazione e questo avrebbe messo in pericolo i partecipanti.
Il generale Antonio Pappalardo, che non l’ha presa benissimo, su Facebook posta una sua risposta al Questore dalla quale si evince che l’annullamento della manifestazione dell’11 settembre 2017 dalle ore 15,00 alle ore 20,00 è per un presunto “alto rischio per l’ordine e la sicurezza pubblica”.
Pappalardo però spiega anche che l’annullamento è dovuto «alla mia “incitazione” fatta sul web, in cui sostanzialmente invito le forze di polizia a stare con il popolo per “cacciare via i delinquenti che stanno in Parlamento da oltre tre anni … con la sentenza in mano … per rifondare lo Stato e dare credibilità alle Istituzioni”, per far ritenere ciò un atto pericoloso per la sicurezza e l’ordine pubblico».
E Pappalardo scrive che il Questore ha anche citato «la frase riportata nella denuncia alla Stazione Carabinieri di Palermo del 28 agosto u.s., che “il presidio della piazza termina solo se le forze dell’ordine daranno esecuzione alla suddetta sentenza”, come motivazione per vietare la sua utilizzazione».
Insomma, a quanto pare la manifestazione è stata annullata per quanto ha detto Pappalardo.
E anche oggi si fa il golpe domani
Ma il generale non si arrende. E spiega che anche se la piazza non è stata concessa, nessuno vieta ai rivoluzionari di passeggiare per Roma mentre, ricorda minaccioso, “I Traditori nel nostro Movimento non hanno futuro,vengono subito eliminati”.
Nei commenti c’è chi si lamenta per il bed & breakfast già prenotato all’ombra della Lupa e per l’impossibilità di disdire la prenotazione causa annullamento rivoluzione, che non sarebbe — stranamente — tra le giuste cause elencate su Airbnb.
Intanto le accuse nei confronti del povero Carabella (che a quanto pare ha soltanto obbedito a un ordine della pubblica sicurezza) arrivano anche da quei simpatici originaloni di Popolo Unico.
Alcuni lo accusano di essere un “venduto” mentre Pappalardo è costretto dalle circostanze ad avvertire il Questore di Roma delle possibili conseguenze di questa decisione illiberale, antidemocratica, illibata:
Le faccio presente che sono ormai innumerevoli i cittadini che si stanno organizzando per venire a Roma, molti dei quali, non facendo parte del Movimento, non possono essere avvisati tempestivamente del Suo atto ingiustificatamente coercitivo. Mi preme sottolineare che il nostro è un movimento politico di assoluto rispetto delle regole democratiche e pertanto Lei non può in alcun modo equipararlo ad organizzazioni sovversive, addirittura inviando personale della DIGOS a spiarci e a registrarci furtivamente.
Come può ben comprendere non posso bloccare una manifestazione avviata e per evitare conseguenze dannose per l’ordine pubblico, la invito a rivedere urgentemente la sua decisione.
Cercherò di convincere i manifestanti, che vengono con i loro mezzi, a fermarsi sul Raccordo anulare, per consentire ad una delegazione di sette persone, di cui faccio riserva di farLe conoscere i nomi, da me capeggiata, di consegnare all’Autorità di Pubblica Sicurezza di Piazza di Monte Citorio intorno alle ore 16,00 del 12 settembre 2017 una lettera da recapitare al Capo dello Stato con un invito ad uniformarsi al contenuto della sentenza n.1 del 9 gennaio 2014 della Corte Costituzionale.
E intanto qualcuno si chiede dove sia finita la carica dei 1001.
Il programma della Rivoluzione del generale Pappalardo
La Carica dei 1001 era un viaggio in veliero da Marsala a Roma che voleva percorrere al contrario la spedizione dei Mille (i quali però partirono da Quarto, a Genova). Il programma è denso di appuntamenti e i 1001 in realtà sono poco più di una ventina. Ci sono i 18 valorosi del Veliero “Lady” e i meno fortunati di un panfilo da 15 metri. Le bevande sono incluse, la colazione probabilmente solo nel “Lady”, l’unico dotato di cambusa. Costo della “rivoluzione” croceristica è di sessantamila euro più IVA (il che la rende meno conveniente della lotta all’immigrazione di Defend Europe). Avrebbero dovuto essere 90 fortunati Liberatori a sostenere le spese della rivoluzione, alla modica cifra di 800 euro a testa.
Per motivi di spazio non tutti i Liberatori avrebbero potuto partecipare alla crociera. Ma chi lo avrebbe fatto sarebbe stato insignito di una medaglia ricordo da mostrare ai nipoti o alla fidanzata.
E adesso?
(da “NextQuotidiano”)
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Settembre 8th, 2017 Riccardo Fucile
ROSSO DI 48.000 EURO, FATTURATO IN CALO, RIDOTTO A UN TERZO IN DIECI ANNI
Tutto si può dire della Casaleggio Associati, ma non certo che si stia arricchendo con la politica. 
Dopo i ritardi nel deposito del bilancio notati dal Sole 24 Ore, Ettore Livini su Repubblica pubblica i numeri del bilancio 2016, dai quali si evince che la società ha perso fatturato e ha ridotto anche le perdite, che comunque ammontano a 48mila euro nell’esercizio.
Due lustri fa la società inventata dal nulla da Gianroberto – guru e fondatore dei pentastellati scomparso 17 mesi fa – era uno degli astri nascenti del web e della consulenza per le strategie digitali con un giro d’affari di 2,8 milioni e 612mila euro di utili.
Il traino dei click sul blog di Beppe Grillo e sui siti derivati dalla home page dell’ex-comico ligure (Tze-Tze, La Fucina per citare solo i più noti) non sono riusciti però a regalarle il salto di qualità .
E oggi il vento – finanziariamente parlando – è decisamente cambiato: Casaleggio associati ha mandato in archivio l’ultimo esercizio con 974mila euro di ricavi, il 21% in meno dell’anno precedente e un terzo delle entrate di 10 anni fa.
E da tre anni i conti sono in passivo.
Le perdite del 2016 sono state pari a 48mila euro. Meno dei 123mila dell’anno precedente ma quanto è bastato a bruciare il patrimonio rimasto in cassa e a costringere gli azionisti storici a rinunciare a 50mila euro di finanziamenti fatti al gruppo per ricostituire il capitale sociale.
Anche questa volta, nota Livini, sarà impossibile comprendere quanto rende Beppe:
Di sicuro, però, è impossibile capire dai dati pubblicati – tanto per dire – quanto rendono gli intrecci politico finanziari con i pentastellati, se tra i ricavi ci sono pure le entrate pubblicitarie garantite dal blog di Grillo e se il Movimento paga alla Casaleggio Associati una commissione per la gestione tecnica della comunicazione politica.
(da “NextQuotidiano”)
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Settembre 8th, 2017 Riccardo Fucile
BEN 4 HOTEL A LERICI SI SONO RIFIUTATI DI ASSISTERE IL RAGAZZINO…. ORA ARRIVANO LE SCUSE DEL SINDACO, MA QUEGLI ALBERGHI ANDREBBERO CHIUSI
«Sono sinceramente dispiaciuto. Sto cercando elementi per capire. Spero si sia trattato di una spiacevole serie di equivoci, e che si possa spiegare, anche se non giustificare, un episodio che appare inaccettabile. E comunque, a prescindere, desidero scusarmi con la famiglia del piccolo. Immagino che i genitori si siano spaventati, e non poco. Una creatura di 4 anni, fradicia, che trema, non può che preoccupare. Sono sollevato solo dal fatto che il bimbo stia bene».
Il sindaco di Lerici Leonardo Paoletti è rimasto male, per l’accusa della famiglia che ha denunciato di non aver ricevuto aiuto da nessun albergo della fascia a mare, quando il figlio è caduto in mare.
«Leggo che hanno chiesto di fargli fare una doccia calda, e sono stati respinti — riassume il sindaco — e non è certo una bella cosa: non comprendo come mai non ci sia stata accoglienza. Sto cercando di capire cosa possa essere accaduto. Posso immaginare che le camere fossero tutte occupate, ma di fronte a un bimbo, fradicio, non capisco come mai non ci sia stata solidarietà ».
Il racconto dei turisti, arrivati dalla costa toscana per un giorno di vacanza, ha sollevato inevitabile clamore.
A Lerici, c’è chi minimizza, dicendo che in fondo «è ancora caldo», e chi dice che forse «i genitori si sono preoccupati troppo». Sono i soliti cultori dell'”aiutiamoli a casa loro”
Certo è che Giorgio — il bimbo — è caduto in acqua, vestito, ed è stato subito soccorso dai suoi cari, che sono entrati in tre hotel, e hanno telefonato ad un quarto, chiedendo di poter far fare al piccolo la famosa doccia calda.
E hanno trovato solo dei no. «Intendo appurare le ragioni dei ripetuti dinieghi — sottolinea Paoletti — e fare chiarezza. Per fortuna, leggo che i carabinieri e la pubblica assistenza si sono mostrati cortesi e presenti, e non posso che rallegrarmene».
I militi Paolo Perotta, Gloria Papa e Francesca Gianardi, sono accorsi per riscaldare il bimbo. Si sono prodigati, e sono stati ringraziati dalla famiglia del bimbo.
Quanto alla famiglia, ha depositato l’esposto che aveva annunciato, ed anche una segnalazione alla Asl e all’associazione italiana albergatori: ha rilevato che per legge gli alberghi devono avere una doccia di servizio, quella del personale, ed avrebbero potuto usarla, a fronte dell’emergenza, se le camere erano tutte occupate.
(da “il Secolo XIX”)
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