Settembre 15th, 2017 Riccardo Fucile
COME BELSITO E’ ARRIVATO A FARE IL TESORIERE, I SILENZI DI MARONI E IL PATTO DI NON BELLIGERANZA PER TACITARE BELSITO
Essere genovesi può facilitare per spiegare meglio la vicenda del blocco dei conti della Lega che ha
fatto sclerare più del solito Salvini.
Non solo perchè proprio da Genova era partita l’inchiesta giornalistica di Giovanni Mari del “Secolo XIX” che ha portato alla luce gli “investimenti” in Tanzania di Belsito, genovese d’adozione, ma anche per la conoscenza non di seconda mano di fatti e rapporti che abbiamo maturato in anni di analisi della classe dirigente leghista locale.
Bisogna partire da lontano in questa ricostruzione, più precisamente dall’ex segretario amministrativo della Lega Maurizio Balocchi, mancato il 14 febbraio 2010 dopo una lunga malattia.
Dal 1993 al 2010, anno della sua morte, Balocchi ricopre l’incarico di Tesoriere della Lega Nord subentrando ad Alessandro Patelli, coinvolto nell’inchiesta Tangentopoli.
Durante i diciassette anni di gestione del patrimonio fu costretto a fare fronte alla vicenda di Credieuronord, la banca della Lega fallita e dove migliaia di militanti e cittadini persero interamente il proprio capitale, e i villaggi in Croazia in cui Balocchi insieme al presidente federale della Lega di allora Stefano Stefani (poi assolto o archiviato) fu indagato senza però mai arrivare a sentenza a causa della sua morte.
Balocchi gesti l’intero patrimonio della Lega in maniera autonoma senza essere mai affiancato da un comitato amministrativo o da altri membri di controllo; soltanto nel 2009 a causa dell’aggravarsi della sua malattia fu affiancato dal corregionale Francesco Belsito, come vice tesoriere della Lega che dopo la morte di Balocchi assunse l’incarico di Tesoriere.
Belsito non veniva da una militanza leghista: iscritto a Forza Italia, autista di Alfredo Biondi, laurea dichiarata inesistente, poi portaborse in Regione del leghista Bruzzone, diventa uomo di fiducia di un Balocchi ormai limitato dalla malattia e progressivamente lo affianca fino a sostituirlo di fatto.
Fino a diventare sottosegretario del governo Berlusconi.
In pratica prende in carico la gestione di Balocchi, uniformandola in maniera spregiudicata ai tempi e alla gestione personale che Bossi aveva della Lega.
Non deve stupire che Belsito elargisse fondi a Bossi, perchè è noto che “il capo”, dopo l’ictus, aveva necessità di costante assistenza medica e queste cure erano a carico del partito, per somme di centinaia di migliaia di euro ( con infermiere o presunte tali presenti al piano “nobile” di via Bellerio, dove erano in pochi ad accedere).
La gestione “personale” dei fondi del partito (allora c’era milionate di finanziamento pubblico) ha portato Belsito da semplice travet a persona che poteva permettersi di acquistare un appartamento in centro a Genova (dal costo di 600.000 euro), e di girare in Porsche Cayenne che si ostinava a parcheggiare negli spazi riservati alla Questura di Genova (fino alla denuncia dei sindacati di polizia), fino a finanziare l’apertura di nuove sedi della Lega per aumentare il suo ascendente sui dirigenti locali.
Le indagini della magistratura hanno portato a ritenere che diverse decine di milioni di euro sono stati elargiti o destinati a fini non politici, ma questo lo stabiliranno le sentenze definitive.
Quello che è interessante rilevare è che, nel momento in cui finisce sotto processo e prendono le distanze da lui (e da Bossi) prima Maroni e poi Salvini, Belsito viene indicato improvvisamente come “corpo estraneo” al partito, ma così non è.
Merita ricordare, ad es. , che fu lui a indicare Salvini come destinatario di un contributo in nero di 20.000 euro per la sua campagna elettorale da parte del presidente della società aeroportuale milanese (nominato dalla Lega).
Come va ricordato che, in occasione del processo, Salvini non ha voluto costituire parte civile la Lega, con grande stupore di molti, giustificandolo con “tanto Belsito non ha nulla”.
Mentre Belsito (e noi lo avevamo scritto) risultava titolare, tramite la madre, della più nota gelateria di Genova, nonchè della più rinomata discoteca del Levante.
E a molti non passò inosservato il fatto che dopo l’avvertimento a Salvini sul presunto contributo in nero (mai provato, trattandosi di passaggio diretto), il neosegretario avesse scelto il basso profilo, rinunciando a costiture parte civile la Lega.
Cosa che ieri ha rimarcato anche il capo della procura di Genova.
E veniamo ai conti bloccati.
Era noto da tempo che, come tutti i debitori privati, anche la Lega avrebbe subito un’azione del genere.
Se sottrai 40 milioni devi aspettarti almeno che ti blocchino i conti, anche perchè le Camere si erano costituite parte civile, in quanto avevano elargito i fondi pubblici sulla base di bilanci falsi della Lega, come certificato in sentenza.
Ma Salvini, mal consigliato, sperava nella prescrizione, strumento sempre contestato agli altri partiti, ma che in questo caso sarebbe stata la manna dal cielo. Sfortuna sua ha voluto che una sentenza della Cassazione confermasse la prescrizione solo per i soggetti fisici nell’aspetto penale, ma la escludesse per gli aspetti finanziari in caso di sentenza penale pregressa.
In pratica se uno acquisisce una azienda senza clausole particolari prende in carico debiti e crediti.
Se sai che devi prima o poi restituire una cifra, provvedi ad accantonamenti annuali in modo da non essere spiazzato.
Se continui a sputtanare soldi, è evidente che il banco salta.
Negli anni successivi l’errore è stato questo: continuare a spendere il finanziamento pubblico senza pensare al domani.
Prima la megacampagna elettorale di Maroni per farsi eleggere governatore della Lombardia, poi quella quotidiana di Salvini con grande dispendio di fondi per curare la sua immagine, uniti alla riduzione del finanziamento pubblico, hanno creato il buco che ha portato a chiudere giornale, radio e licenziare il personale.
Ora Salvini accusa i giudici di Genova di essere toghe rosse, accusa ridicola per chi conosce la Procura (ha indagato piu politici di sinistra che di centrodestra), ma dovrebbe semmai ricordare che “chi è causa del suo mal pianga se stesso”.
Non ti costituisci parte civile, non accantoni soldi per pagare i debiti, continui a spendere 300.000 euro per gestire i social, di che ti lamenti?
In un’azienda direbbero che il titolare è un coglione se si comportasse così, non certo che è colpa dei giudici.
Ma Belsito oggi ha lanciato un messaggio dei suoi: “c’era anche Salvini tra i miei interlocutori in Lega, parlerò a tempo debito”.
Non si sa cosa sia meglio a questo punto, forse pagare il debito .
Come? Beh Salvini potrebbe lanciare una sottoscrizione, in fondo con qualche milione di elettori basterebbe che cacciassero 10 euro a testa.
Con tutti i soldi che hanno risparmiato dal non aver mai ospitato un senzatetto italiano a casa propria per almeno un giorno, che volete che sia.
Probabilmente non lo hanno fatto proprio per accantonare la cifra da devolvere a Salvini in caso di bisogno.
Ora è il momento di lanciare il nuovo slogan: “prima i debiti italiani”.
Andasse male, Salvini potrebbe sempre rilevare la gelateria di Belsito: in fondo dai corni padani di Pontida ai cornetti a due gusti di via Macaggi il passo è breve.
Certo, bisognerebbe lavorare…
Ma nella vita ci si abitua a tutto, coraggio.
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Settembre 15th, 2017 Riccardo Fucile
CON LA DEFINIZIONE DELLE REGOLE PER LA CANDIDATURA A PREMIER, SI RINUNCIA AL PROGETTO ORIGINARIO… E DI MAIO E’ QUANTO DI PIU’ LONTANO DAL M5S DELLE ORIGINI
Cambia l’assetto societario della ditta a 5 stelle: nuovo statuto e nuovo capo azienda. Se ne va il comico garante, l’etereo giullare, l’urlante fondatore pronto a palesare il proprio decisionismo solo quando strettamente necessario.
Arriva il politico, l’uomo di Palazzo, l’elegantissimo enfant prodige, il pugnace primus inter pares (finora, almeno) la punta più alta — lasciando sospeso il giudizio se questo sia un bene o un male — dell’ancora costituenda classe politica movimentista.
Ha chiuso i battenti il Pd tortellini e sezioni per riaprire con la scintillante mise del renzismo da battaglia, non si vede perchè non possa farlo il Movimento 5 stelle.
Nel definire le regole per la candidatura alla premiership, Beppe Grillo ha infatti sparigliato.
I commi sono due, riassumibili in due parole: si possono candidare praticamente tutti, tutti gli attivisti possono esprimere una preferenza. Vincerà chi incasserà un voto più degli altri (postulato questo da noi dedotto dopo un giro di telefonate con i vertici 5 stelle, giacchè il blog rimane ambiguo sul punto). E fin qui nulla di nuovo sotto il sole, si direbbe.
La chiusura della baracca viene annunciata come tutte le decisioni di peso nella vita del Movimento: di nascosto, quasi per sbaglio, con ostentata noncuranza.
Non è un P.S. in coda a un post, questa volta, ma una frasetta all’inizio, che il lettore avido salta per arrivare subito al come e dove. “In vista delle prossime elezioni politiche, riteniamo opportuno che il Candidato Premier e designando Capo della forza politica…”.
Eccoci. Il popolo che accorrerà fra una settimana a Rimini non celebrerà solamente l’investitura del proprio frontman alla corsa delle elezioni.
Ma anche quella del proprio nuovo Capo politico. Proprio così, Capo. Nessun “Coordinatore”, “Segretario”, “Garante”, nessuna formula a tentare ipocritamente di mascherare quel che è. Chi vince, si mangia tutta la torta.
È un segreto di Pulcinella che le palazzochigiarie grilline siano in realtà una passerella per ratificare qual che tutti sanno, vale a dire l’investitura di Luigi Di Maio ad avversario di Matteo Renzi (e Silvio Berlusconi) nella corsa alle urne.
Il principale competitor, forse l’unico, Roberto Fico, difficilmente lancerà il guanto di sfida, troppo furbo per lanciarsi in una sfida a perdere per contrattare qualche posto da minoranza interna, sancendo di fatto una subalternità .
Avrebbe avuto possibilità l’ipermediatico Alessandro Di Battista, che da tempo però ha stretto un sodalizio politico indissolubile con Luigi. Così quella riga di un post di metà settembre cambia seccamente l’assetto societario di una delle principali ditte politiche italiane.
Certificando il sostanziale fallimento del progetto di un garante — a tratti assai decisionista e quasi sempre assai poco liberale — a guardia di una variopinta massa di “cittadini portavoce” che in modo monadistico seguissero placidamente il flusso di volontà incanalato dalla rete.
Il testimone passa a quello che fra tutti incarna l’homo politicus del Movimento, il più lontano dall’idea originaria, della contestazione, della protesta, dei meravigliosi ragazzi arrampicati sul tetto di Montecitorio, delle assemblee fiume per decidere se decidere.
Da sabato sera prossimo, quando sul palco salirà il prescelto, è come se fuori dalla bottega venisse appeso il cartello “Nuova gestione”.
Il negozio rimane quello, cambia tutto il resto. Con esiti al momento imprevedibili. Fino ad oggi le battaglie del M5s sono state estemporanee, velleitarie, chiuse nella ridotta sterile della diversità a tutti i costi.
Grandi stracciamenti di vesti per un emendamento passato, esultanze sguaiate per un codicillo approvato.
Quando c’era da essere determinati sull’uomo che sarebbe salito al Quirinale la trincea aveva scritto sui sacchetti di sabbia l’improbabile nome di Ferdinando Imposimato.
Quando si è trattato di dare uno spintone in avanti allo Ius soli ci si è chiusi dentro il fortino dei distinguo per cavilli.
La grande battaglia per il reddito di cittadinanza, senza cercare sponde, alleanze, compromessi, è da sempre un mero strumento propagandistico. Quella sulle pensioni dei parlamentari una carezza al risentimento greve del proprio elettorato più intransigente, volutamente definite vitalizi per far sembrare enorme una battaglia su una minutaglia che non tocca minimamente le casse dello stato, nè tanto meno incide sul portafoglio della classe politica.
Si guardi il papocchio giudiziario.
Partiti dalle liste pulite, dall’avviso di garanzia come lettera scarlatta con cui marchiare chiunque ne fosse colpito, si è arrivati alla svolta garantista della norma salva-Raggi, alle bizzarre accuse a Pizzarotti (“Sì, è vero che lui è come la Raggi, ma non ce l’ha detto…”), fino al lodo-Di Maio, indagato per diffamazione per una denuncia dell’espulsa genovese Cassimatis.
Così l’indagine in fondo in fondo non è di per sè una sentenza, si sono accorti a Milano, e quindi sì, dai, apriamo le candidature anche a chi ha qualche giudice che scartabella nella sua vita.
Tra confusione e inadeguatezza, senza scomodare Pier Luigi Bersani e il suo mancato governo del cambiamento, i 5 stelle, pur indirizzando alcuni temi, condizionando alcuni (pochi) aspetti dell’agenda pubblica, sono stati sostanzialmente laterali in una fase politica in cui potevano essere al centro del villaggio. Il modello Grillo/Casaleggio sr. si è rivelato quantomeno sterile.
Così l’azienda Casaleggio&Co cambia direttore generale per provare a cambiare pelle, per provare ad avere successo, a incidere anzichè piantare bandierine. E sceglie l’uomo che più fra tutti è quello della mediazione con l’avversario, del calcolo politico, del cedere qualcosa per arrivare a qualcos’altro, del tenersi aperte più porte, spesso divergenti, per poi decidere all’ultimo quale imboccare.
Sempre tenendo fermo il principio che chi non è d’accordo grazie mille, quella è la porta, arrivederci.
Non è un caso che l’ala più intransigente, più vicina ai principi delle origini, quella che negli ultimi mesi si è con più tenacia opposta all’ascesa di Di Maio, sia stata definita “degli ortodossi” (tra le cui fila gira in queste ore “sconcerto e sgomento”, totalmente presa in contropiede dall’accelerazione sulla successione).
Semplificazione giornalistica che, per una volta, restituisce bene il senso e lo spirito di una battaglia.
Elaborato il lutto della scomparsa di Gianroberto, del guru ieratico e visionario che guardava con una prospettiva di decenni annoiandosi delle dispute sul domani, Davide e Di Maio hanno ricalibrato la visione.
Rottamando di fatto il Movimento, e mettendo in cantiere una nuova cosa.
Una cosa che verrà celebrata sul palco di Italia 5 stelle. Niente band improbabili, niente ospiti urlatori. Economisti, intellettuali, giornalisti faranno da corona al nuovo Capo politico.
“La Leopolda di Casaleggio”, la chiamano negli uffici al quarto piano della Camera, dove poco o nulla è noto, essendo l’elaborazione della nuova cosa gelosamente custodita a Milano.
Una cosa gialla, come le stelle del simbolo. Che sancisce la messa in liquidazione di un progetto. E l’apertura uno nuovo.
(da “Huffingtonpost”)
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Settembre 15th, 2017 Riccardo Fucile
LE BALLE DEL M5S SULLA LORO RINUNCIA… I REGOLAMENTI DELLE CAMERE NON CONSENTONO LA POSSIBILITA’ DI UNA RINUNCIA INDIVIDUALE
“Diranno che non si può fare”, ha sentenziato beffardo Alessandro Di Battista al termine della
conferenza stampa in cui i parlamentari grillini hanno chiesto ufficialmente ai presidenti dei due rami del Parlamento di rinunciare al vitalizio maturato oggi.
E difatti, non si può fare.
Regolamenti della Camera e del Senato alla mano, l’unico modo certo per rinunciare a questo diritto (o privilegio, a seconda di come la si pensi) sarebbe stato quello di dimettersi prima della maturazione dello stesso, prima cioè del fatidico D-day del vitalizio.
Ora, siccome tale iniziativa (questa sì, clamorosa) non è stata assunta da nessuno dei parlamentari pentastellati, vediamo in punto di diritto quale impatto, al di là di quello politico-propagandistico, potrà avere la lettera indirizzata dai grillini a Pietro Grasso e Laura Boldrini.
Le richieste fondamentali sono due: la prima è di non percepire tout-court la pensione maturata oggi, e la seconda è che questo diritto possa maturare per i parlamentari sulla base dei requisiti, in termini di età pensionabile, previsti dalla legge Fornero (attualmente 67 anni, ma con scatti periodici determinati dall’aspettativa di vita).
Nel caso della legge Fornero, si tratta esattamente di quanto previsto dalla legge Richetti, attualmente ferma al Senato, che però introduce la novità a partire dalla prossima legislatura.
I pentastellati avevano chiesto di anticipare alla legislatura in corso, ma dal Pd è arrivato un diniego.
E’ evidente che tutto ciò, senza un intervento sui regolamenti interni dei due organi costituzionali (dotati della famosa autodichia), non potrà per il momento avvenire. L’attuale normativa è stata introdotta nel 2012, sotto le presidenze di Gianfranco Fini a Montecitorio e di Renato Schifani a Palazzo Madama e, ricordiamolo, ha esteso il sistema contributo ai parlamentari, che possono maturare il diritto di percepire un assegno mensile, a partire dai 65 anni, dopo 4 anni, sei mesi e un giorno di permanenza in carica. L’età si abbassa a 60 in caso di una seconda legislatura.
Gli stessi regolamenti, allo stato, non prevedono per gli eletti nè la possibilità di rinunciare a percepire la pensione maturata (a maggiore ragione col sistema contributivo, in virtù del quale i soldi appartengono al parlamentare e sono depositati presso l’apposito fondo della camera di appartenenza), nè di aderire ad altri regimi o ad altre casse (e questo non viene consentito nemmeno dalla Richetti).
Lo sa bene il conduttore televisivo Gerry Scotti, che qualche anno fa ha dichiarato di non voler più percepire il vitalizio maturato alla Camera quando era deputato nell’era craxiana ma che non ha potuto che prendere atto dell’impossibilità di farlo, e ha semplicemente deciso di non utilizzare per sè i soldi dell’assegno.
Di fatto, la lettera illustrata da Di Battista, si configura non propriamente come la comunicazione della decisione di rinunciare al vitalizio, ma piuttosto come la richiesta agli uffici di presidenza della due camere di introdurre nei regolamenti la possibilità di rinunciare espressamente e individualmente a percepire l’assegno, e di poter aderire ad altri regimi pensionistici.
Per il momento, l’unica strada percorribile resta quella di agire come per i rimborsi, incassando i soldi e destinandoli altrove.
E soprattutto comunicandolo oggi, e non tra 30 anni.
(da “Huffingtonpost”)
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Settembre 15th, 2017 Riccardo Fucile
NON RINUNCIANO AFFATTO AI CONTRIBUTI DERIVANTI DAI 5 ANNI IN PARLAMENTO, MANCA LA LEGGE PER POTERLO FARE
Oggi il MoVimento 5 Stelle festteggia il V-Day ovvero il giorno del Vitalizio.
Da oggi infatti i parlamentari dell’attuale legislatura hanno maturato il diritto a ricevere il trattamento pensionistico.
Gli attuali deputati e senatori percepiranno l’assegno pensionistico al compimento dei 65 anni (per quelli al primo mandato) e dei 60 per coloro che sono stati in parlamento per due legislature (o più). È chiaro quindi che per i parlamentari della legislatura in corso non si può parlare propriamente di vitalizio.
Il vitalizio inteso come rendita parzialmente alimentata da un prelievo sull’indennità del periodo di esercizio della carica che veniva erogata sotto una certa soglia di età è stato abolito dalla riforma del 2012 che ha introdotto il metodo di calcolo contributivo.
Nonostante quello che vuole far credere la macchina della propaganda del MoVimento 5 Stelle tutta la cagnara mediatica sul V-Day è completamente scissa dalla discussione della proposta di legge Richetti che invece ha l’obiettivo di riformare i vitalizi percepiti dai deputati delle precedenti legislature.
Detto ancora in modo più chiaro: i parlamentari eletti nel 2013 non percepiranno alcun vitalizio ma una pensione da 1000 euro al compimento dei 65 anni di età .
Ci sono ovviamente ex parlamentari che — in base alla legge in vigore — percepiscono il famigerato vitalizio.
La proposta di legge Richetti mira appunto a tagliare fino al 40% l’ammontare di questi vitalizi che vengono percepiti da circa 2.600 ex parlamentari della Repubblica. La legge però è ferma in Senato dove la maggioranza che ha votato a favore alla Camera non ha — anche con l’aiuto del M5S — i numeri per farla approvare.
Se la legge venisse approvata poi i risparmi non sarebbero poi così clamorosi.
In un’audizione alla Camera del maggio 2016 il Presidente dell’Inps Tito Boeri aveva detto che con la legge Richetti e l’applicazione retroattiva a tutti gli ex parlamentari del sistema contributivo attualmente in vigore ci sarebbe stato un risparmio di 79 milioni di euro per il 2016 e di 83,2 milioni per il 2017, pari a circa il 40% della spesa che è intorno ai duecento milioni di euro l’anno.
I 5 Stelle e l’autocertificazione per rifiutare il “vitalizio”
Gli onesti e trasparenti parlamentari del M5S continuano però a chiamare la pensione che percepiranno a partire dai 65 anni d’età “vitalizio”.
E c’è da capirli: da quando sono entrati in Parlamento strillano per far abolire i vitalizi che però erano già stati aboliti prima del loro ingresso in Parlamento.
E anche la proposta di Di Maio per l’abolizione dei vitalizi dei parlamentari — che è sostanzialmente identica a quella di Richetti — riguarda solo i vitalizi già in essere e non il trattamento pensionistico dei parlamentari dell’attuale legislatura (tra cui Di Maio e i suoi compagni di partito).
Ma la questione dei privilegi della casta — di cui fanno parte a pieno titolo — è cruciale per il M5S che è arrivato letteralmente alle mani sulla legge per l’abolizione dei vitalizi.
Come ha spiegato il Presidente dell’INPS Tito Boeri qualche tempo fa inoltre la proposta di Di Maio non abolisce i vitalizi oggi in essere perchè per quelli ci vuole, invece, una legge.
Secondo Boeri, infatti, se è possibile modificare gli assegni dei parlamentari attraverso il regolamento della Camera, diventerebbe più complicato se venissero equiparati ad altre pensioni e accumulati a quelli di altre gestioni previdenziali.
Per farlo, servirebbe una norma di legge, oltre che una specifica gestione presso l’Inps o qualche cassa ad hoc dove accreditarli: nella loro proposta, i 5 Stelle non affrontano il nodo, ma lo rimandano ai questori delle Camere e a successivi decreti attuativi.
Ma i 5 Stelle hanno trovato lo stesso una soluzione.
In conferenza stampa oggi alla Camera Alessandro Di Battista, Luigi Di Maio e altri deputati del 5 Stelle hanno deciso di firmare la rinuncia al privilegio a nome di tutti i parlamentari.
I pentastellati hanno inviato una lettera ai presidenti delle due camere, Laura Boldrini e Piero Grasso, dove chiedono di “prendere atto della loro volontà e di trovare il modo con cui si possa applicare, a tutti i portavoce del MoVimento, la legge Fornero”. Come è evidente però una lettera non è una legge e i Presidenti delle Camere non potranno fare nulla a riguardo perchè andrebbero contro la legge.
Non è poi così vero che i 5 Stelle rinunciano ai privilegi una volta giunti a 67 anni d’età perchè chiedono «di dirottare i nostri contributi alle casse di appartenenza di ogni singolo parlamentare o all’Inps per chi non aveva aperta una posizione previdenziale prima di entrare in Parlamento».
Insomma nemmeno i 5 Stelle sono disposti a rinunciare ai contributi (quelli sì sostanziosi) versati in questi 5 anni di “lavoro”.
Del resto visto che alcuni di loro prima di entrare in Parlamento avevano un reddito pari a zero rinunciare del tutto ai privilegi della casta sarà sembrato uno spreco.
(da “NextQuotidiano”)
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Settembre 15th, 2017 Riccardo Fucile
A TORRE SPACCATA 60 MINORI NON ACCOMPAGNATI TROVERANNO RIFUGIO, AFFETTO E MEDICI
Dentro i loro occhi c’è il riflesso di un’infanzia rubata. 
Renza, 12 anni, che ha viaggiato da solo per un intero prima di arrivare in Italia con ancora i segni di bruciature sul corpo e Rafael, partito dall’Eritrea per la Svizzera all’insaputa della madre, da oggi hanno una nuova casa.
È INTERSOS24, un nuovo centro di accoglienza, a Roma est, per minori stranieri non accompagnati. Qui verranno accolti tutti quei bambini che, per fuggire dalla guerra, affrontano da soli viaggi che li espongono a violenze, torture, sono sottoposti a lavori forzati e detenzioni arbitrarie.
A lanciare il progetto è INTERSOS, organizzazione umanitaria italiana, che protegge bambini e adolescenti in fuga da guerre e violenze provenienti da 17 paesi, come racconta la loro Child Protection Specialist, Valentina Murino:
“Partono da casa che sono soltanto bambini e arrivano sfiniti nel corpo e nella mente. Hanno disturbi del sonno, dell’alimentazione, della personalità . Bisogna ricostruire la loro identità “.
La struttura romana, in via di Torre Spaccata, ospiterà fino a 60 ragazzi e sarà aperta 24 ore su 24.
Per supportare le attività di questo nuovo centro, che vanno dall’accoglienza diurna all’assistenza medica con un ambulatorio aperto anche ai romani in difficoltà , ha lanciato una campagna di raccolta fondi “Sogno la fine di un viaggio da incubo”.
Fino al prossimo 15 ottobre con un sms o una chiamata da rete fissa al 45525 si potrà dare la chance di una nuova a questi bambini soli, giunti nel nostro Paese.
Il responsabile del Programma Migrazioni di INTERSOS, Cesare Fermi, spiega come la struttura sarà un valore per l’intera Capitale:
INTERSOS24 sarà un luogo aperto per il quartiere e per tutta la città di Roma. Uno spazio dove l’integrazione la si potrà toccare con mano ogni giorno. L’operatività dell’ambulatorio, in cui saranno presenti specialisti in ginecologia, pediatria e malattie infettive, è dar vita ad un modello riproducibile di servizio socio-sanitario, che non si sostituisca al servizio sanitario pubblico, ma che anzi lo supporti e lo integri e che possa incidere positivamente sulle politiche pubbliche stesse.
(da “Huffingtonpost”)
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Settembre 15th, 2017 Riccardo Fucile
“SOLIDARIETA’ AI PROFUGHI DEL CENTRO, MERITANO ANCHE LORO RISPETTO”… E I RAZZISTI FINISCONO PER RESTARE DA SOLI
Non vogliono essere strumentalizzati da chi non gradisce la presenza dei migranti nel loro quartiere i genitori dei bambini che frequentano le scuole confinanti con il centro di accoglienza del quartiere Tiburtino III e l’hanno detto con una lettera.
Il messaggio – firmato dai genitori dei bimbi dell’asilo nido Elefantino Elmer e della scuola Fabio Filiz – è stato letto da una delle mamme durante la conferenza stampa convocata a Santa Maria del Soccorso per annunciare la manifestazione di domani. Alcuni cittadini del quartiere scenderanno in piazza per chiedere di “riportare al centro i problemi reali del quartiere”, dopo gli scontri dei giorni scorsi.
“Come abitanti del quartiere o persone che qui crescono i propri figli, ci sentiamo di ricordare che i molti problemi di questo territorio non sono certo recenti — si legge nel comunicato — nè da imputare all’apertura del centro o all’arrivo di nuovi abitanti e/o ospiti”.
I genitori dicono di aver incontrato molte volte gli ospiti del centro, per portare loro vestiti o giocattoli e quelle occasioni sono state “occasioni di arricchimento per scoprire il mondo oltre via Grotta di Gregna, via Tiburtina, il Gra, per condividere problemi, disagi e speranze che, in misura diversa, accomunano gli abitanti delle diverse periferie del mondo”.
Da parte dei genitori, poi, un augurio: “Auspichiamo un futuro in cui questo quartiere e questa città sappiano accogliere, senza paure e mistificazioni, diverse culture, bisogni e desideri e sappiano attuare davvero quell’educazione e quel rispetto reciproco che le scuole del territorio da sempre praticano”.
(da “Huffingtonpost”)
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Settembre 15th, 2017 Riccardo Fucile
BENVENUTI NELLA SANITA’ PRIVATA CHE PIACE TANTO AL CENTRODESTRA … “HANNO AGITO A DISCAPITO DELLA SALUTE PUBBLICA”… DALLE AZIENDE SOLDI AI CHIRURGI PER IMPIANTARE ARTI ARITFICIALI SCADENTI
Una caccia famelica dove le prede sono i pazienti più deboli e anziani che fiduciosi si affidano
indifesi ai medici di base che li mettono nelle mani di chirurghi corrotti che non esitano ad impiantare nei loro ginocchi e nelle loro anche protesi scadenti.
È raccapricciante lo spaccato che emerge dall’ennesima inchiesta sulla sanità che ha portato a 21 misure cautelari, tra arresti e sospensioni dal servizio, smascherando un’associazione criminale che faceva capo ai rappresentanti di una azienda italo-francese.
Al vertice della piramide, secondo la Procura di Monza, c’erano due rappresentanti della Ceraver Italia srl, «costola» italiana della francese «Les laboratories osteal medical» che commercializza le protesi, il responsabile commerciale Denis Panico e l’agente Marco Camnasio.
Sono finiti in carcere con Marco Valadè, Fabio Bestetti, chirurghi ortopedici del Policlinico, e Claudio Manzini, primario di ortopedia degli Istituti clinici Zucchi, strutture sanitarie private di Monza convenzionate con il servizio sanitario nazionale. Le indagini del Nucleo di polizia tributaria della Guardia di finanza di Milano hanno scoperto che per impiantare le protesi Ceraver i chirurghi ricevevano tangenti (soldi, regali e viaggi) proporzionati al numero di impianti fatti che in alcuni casi sono stati più di cento l’anno.
A procacciare i pazienti ci pensavano i due della Ceraver ingaggiando medici di base in mezza Italia, molti in Lombardia, che mettevano a disposizione dei chirurghi i propri studi professionali per 300 euro al mese più il 20% della parcella dello specialista che lì vistava decine di persone la volta e che, in questo modo, incassava altri soldi e ancora altri quando poi li operava.
Le case di cura convenzionate, infatti, versano legalmente una percentuale tra il 10 e il 15% di ciò che incassano dal Ssn, che va da 9.000 a 13.000 euro per questi interventi. Erano interessati solo alle strutture private dove non ci sono appalti pubblici di fornitura e i chirurghi scelgono le protesi e ai pazienti di fuori regione per i quali si saltano le liste d’attesa e non si applicano i rigidi costi fissi previsti dai drg della Lombardia.
Per loro le regioni di provenienza coprono tutte le spese.
Lo ammette al telefono un tecnico della Ceraver parlando con Camnasio: «Il nostro interesse sono le cliniche convenzionate perchè sono quelle che ci fanno fare i soldi». E Camnasio: «Se si vogliono fare le protesi in fretta bisogna uscire fuori regione».
Tra il 2007 e il 2012 nel reparto ortopedico del Policlinico di Monza 2.368 pazienti sono stati ricoverati ciascuno da quattro a più volte, in un caso addirittura 19 volte.
In ciascuna seduta chirurgica sono state fatte 12 operazioni (un giorno addirittura 36) con una media di 5/6 protesi impiantate mentre al Niguarda e al Fatebenefratelli, ospedali pubblici, di queste operazioni se ne facevano solo 4 a seduta.
Tutta da verificare la assoluta necessità degli interventi visto che, come ha detto il procuratore di Monza Luisa Zanetti, che ha guidato l’inchiesta dei sostituti Manuela Massenz e Giulia Rizzo, i chirurghi non erano «guidati dalle finalità di cura dei pazienti ma dai propri interessi».
Le protesi Ceraver (indagata per violazione della legge 231/2001 sulla responsabilità amministrativa delle società ) non erano neppure le migliori sul mercato per facilità d impianto.
Lo dicono chiaramente gli stessi chirurghi che nelle intercettazioni le definiscono «di merda». «Quanto più era inidonea la protesi, tanto più era alto il “disturbo”», dove “disturbo” stava per “tangente”, spiega Massenz che parla di «una convergenza di interessi in cui si incunea l’esigenza di profitto delle case produttrici», ma mette anche in guardia dal non criminalizzare «l’intera classe medica in gran parte composta da persone di valore».
Il gip Federica Centonze ha disposto gli arresti domiciliari per nove tra chirurghi e medici anche loro accusati di corruzione. Come Filippo Cardillo, chirurgo della casa di cura San Giovanni di Milano, Carmine Naccari Carlizzi, della Columbus di Milano e della Mater Domini di Castellanza, il chirurgo dell’Humanitas-Gavazzeni di Bergamo Michele Massaro, Andrea Pagani e Lorenzo Panico in attività nell’Istituto clinico Sant’Ambrogio di Milano.
(da “Il Corriere della Sera”)
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Settembre 15th, 2017 Riccardo Fucile
L’UNICO CHE HA CERCATO DI AFFRONTARE L’EMERGENZA E’ STATO UN IMPIEGATO DI LIVELLO C
Il sindaco che ha saputo del disastro solo alle 6,46.
L’emergenza gestita per tutta la notte da un tecnico: nè dal sindaco nè dal capo della Protezione Civile nè dal suo vice.
Il capo della Protezione Civile, cioè il comandante dei vigili urbani, che smentisce perfino il report diffuso sulla notte dell’alluvione di Livorno dall’ufficio stampa del Comune.
L’assicurazione del Comune che non si poteva fare di più o diversamente, quando invece tra le 3 e le 4 (quasi due ore prima della piena) il Rio Maggiore stava già straripando.
Il piano ignorato della Protezione Civile che prevedeva l’avvertimento degli abitanti in “zone rosse”, intorno a corsi d’acqua straconosciuti nei documenti in possesso al Comune.
Le ore della ricostruzione dei fatti del disastro di Livorno diventano complicate. Ai proclami di chiarezza seguono correzioni, rettifiche, smentite di fatti o persone, oltre che polemiche come quella sollevata dal vescovo Simone Giusti: “Chi doveva avvisarci? Chi doveva urlare di uscire da casa?”.
La cosa certa è che la Protezione Civile nei momenti più difficili della città — cioè dalle 2, quando è passato il temporale più violento — non era guidata dal sindaco Filippo Nogarin.
Lo aveva scritto già sul Tirreno all’indomani della tragedia: “Ieri notte — scriveva — ho faticato a chiudere occhio: il rumore dei tuoni e della pioggia incessante che proveniva da fuori non mi lasciava del tutto tranquillo. Quando mi sono alzato mi sono reso conto che le stanze al piano terra erano sommerse da 35 cm d’acqua e la casa era completamente immersa nel buio. Sono stato costretto a uscire dalla finestra per ritrovarmi in un quartiere senza corrente”.
Lo ha confermato con una nota ieri quando ha spiegato di essere stato avvertito di cos’era successo dal capo di gabinetto alle 6,46.
Perchè non prima? Perchè nelle ore precedenti, ha spiegato, i suoi due cellulari non erano raggiungibili.
“Improvvisamente — ha raccontato al Telegrafo, l’altro giornale di Livorno — mi sono svegliato perchè nel locale tecnico di casa suonava l’allarme. Quando manca l’energia elettrica scatta un suono, molto forte”.
Erano, racconta il sindaco, le 5,30. A quell’ora da tre ore era straripato il Rio Maggiore, da tre ore il Rio Banditella era esploso devastando Montenero, da poco il Rio Ardenza aveva terminato la sua piena che ha travolto e trascinato via persone e auto.
Dopo un po’ il sindaco si accorge che i telefonini non prendono e non funzionano i sistemi di apertura e chiusura di porte e cancelli sono elettrici, quindi fuori uso. Quindi scavalca un davanzale e raggiunge una zona dove prende il cellulare chiama: sono le 6,20 circa.
Poi sente il capo di gabinetto, il comandante dei vigili e quello che il Comune nel report mandato ai giornali chiama “referente della Protezione Civile“.
E’ lui che — senza sindaco e senza capo della struttura — ha cercato di coordinare nel frattempo tutte le operazioni della Protezione Civile.
Si tratta di un impiegato di livello C, non un funzionario, ma un tecnico.
Di più: un geometra. E’ lui che va su e giù per la città a fare sopralluoghi. E’ lui che vede straripare il Rio Maggiore solo dopo una segnalazione dei vigili del fuoco.
E’ lui che deve rifugiarsi nella caserma dei vigili del fuoco perchè con i mezzi e gli strumenti che ha non può fare più nulla, mentre le strade sono invase dall’acqua e dal fango e le auto di servizio della polizia municipale non riescono più a marciare.
Non c’è, infatti, nemmeno il capo della Protezione Civile di Livorno, che dall’inizio di agosto — per decisione di Nogarin — è il comandante dei vigili urbani, Riccardo Pucciarelli.
Ma al Tirreno Pucciarelli smentisce di aver mai ricevuto telefonate, come invece ha spiegato la nota dell’ufficio stampa con il report delle attività della notte dell’alluvione.
“Non ho mai ricevuto alcuna telefonata nell’orario indicato nel comunicato — dichiara — e ho subito chiesto al sindaco, al portavoce e al responsabile dell’ufficio stampa di rettificare questa notizia che non è vera. Nessuno mi ha chiamato tra le 4 e le 7,30”.
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Settembre 15th, 2017 Riccardo Fucile
PASSEGGERI ALLIBITI E PERSONALE IN IMBARAZZO: BENVENUTI IN ITALIA
Controllo passaporti, verifiche a campione dei bagagli: durante le lunghe operazioni di sbarco da
un volo internazionale, può capitare di dover andare in bagno con urgenza. E a Levaldigi, piccolo scalo a venti chilometri da Cuneo, da più di un mese succede che si venga invitati, gentilmente, a non usare i servizi, ma – senza alternative -, ad andare a espletare i bisogni all’aperto. Dove atterrano gli aeroplani.
Così per i bisogni fisiologici le persone si sparpagliano sulla pista: c’è chi si allontana in piccoli spiazzi con erba, qualcuno si avvicina agli aeroplani.
E a poliziotti, finanzieri e addetti alla dogana tocca anche controllare che nessuno si allontani troppo o si metta in pericolo.
Niente carta igienica (ma qualche passeggero provvidenziale distribuisce fazzolettini a chi ne ha bisogno), nessuna riservatezza.
E passeggeri allibiti.
Il motivo: l’unico bagno nell’area di check-out è chiuso da prima di Ferragosto. Ci sono due jersey di plastica davanti alle porte di ingresso e il cartello recita: «Guasto». Le proteste di queste settimane di passeggeri e dipendenti («Così non possiamo lavorare») fino ad ora non sono servite a nulla.
Lunghe operazioni
Il guaio è stato segnalato anche da una giovane coppia di genitori. L’altra notte il volo Casablanca-Cuneo è atterrato a Levaldigi alle 3,30 di notte, per uno sciopero in Francia dei controllori di volo.
Sono sbarcati oltre 170 passeggeri assonnati e stanchi per l’attesa, famiglie cariche di bagagli e pacchi, con tanti bambini, soprattutto marocchini, che rientravano dalle ferie pronti per tornare a scuola.
Lunghissime le operazioni di sbarco e i controlli alla frontiera internazionale, fino alle minacce di un gruppo di passeggeri infuriati.
I due genitori raccontano allibiti: «Nostra figlia aveva bisogno di una piccola medicazione e ci hanno accompagnato fuori per una puntura che non volevamo fare in coda in mezzo alla gente. Altri dovevano andare in bagno: c’è chi ha fatto fare pipì ai figli sotto l’ala dell’aereo, accompagnato dai poliziotti. Gli uomini si sono allontanati sulla pista di atterraggio, le donne si sono lamentate, imbarazzate e stupite. Gli addetti dell’aeroporto, gentilissimi, ci hanno accompagnato nell’area esterna e controllavano. Tutto ci è sembrato assurdo».
Ma necessario, come spiegano gli addetti allo sbarco: finchè non si concludono i controlli, i passeggeri non possono girare per il piccolo aeroporto (che avrebbe altri bagni funzionanti), perchè formalmente non sono ancora «entrati» in Italia.
Le lamentele
Da settimane gli operatori lamentano il problema del bagno guasto, fino a minacciare una verifica dell’Asl Cn1, che comporterebbe il rischio di una chiusura temporanea dello scalo, in attesa delle riparazioni.
Levaldigi ha traffico nazionale (tre voli la settimana con Cagliari, rotte per Sicilia e Sardegna) e internazionale (tre volte la settimana con il Marocco, entro fine anno nuove rotte europee gestite da Ryan Air).
Dalla direzione dell’aeroporto minimizzano: «Il bagno guasto? Colpa delle fognature. Le ferie hanno rallentato i lavori. Da domani inizieremo le riparazioni, questione di qualche giorno e il problema sarà risolto».
Ieri pomeriggio non è stato possibile fotografare l’area degli sbarchi («Mancano i permessi dalla direzione», la risposta degli operatori dello scalo), ma mentre cronista e fotografa attendevano nell’ingresso dell’aeroporto, si è presentato al check-in un operaio: «Sono qui per riparare il bagno».
L’hanno fatto accomodare nella parte dell’aeroporto chiusa al pubblico.
(da “La Stampa”)
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