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INDAGATO IL SINDACO M5S DI BAGHERIA PER INCHIESTA GESTIONE RIFIUTI, NOTIFICATO ANCHE L’OBBLIGO DI FIRMA

Settembre 20th, 2017 Riccardo Fucile

LE ACCUSE: RIVELAZIONE SEGRETO D’UFFICIO, ABUSO D’UFFICIO, TURBATIVA D’ASTA E OMISSIONE DI ATTI D’UFFICIO … L’INDAGINE RIGUARDA ANCHE L’ABUSIVISMO

Il sindaco Patrizio Cinque (M5S) è indagato nell’ambito di un’inchiesta della procura di Termini Imerese sulla gestione del servizio dei rifiuti. Con lui coinvolti 16 funzionari.
Le ipotesi di reato a carico del primo cittadino sono rivelazione di segreto d’ufficio, abuso d’ufficio, omissione di   atti d’ufficio e turbativa d’asta.
A Cinque i carabinieri, su disposizione del giudice per le indagini preliminari del tribunale termitano, Michele Guarnotta, hanno notificato la misura cautelare dell’obbligo di firma. Una misura, quest’ultima, motivata dal pericolo di reiterazione del reato.
L’inchiesta, si apprende da fonti giudiziarie, si incrocia con quella sull’abusivismo ediilizio a Bagheria. Cinque, sin dall’inizio del mandato, è stato al centro di roventi polemiche proprio su questi temi.
Lo stesso sindaco entra nel merito dell’inchiesta: “Le indagini vertono su bandi di gara che riguarderebbero il noleggio di automezzi per la raccolta dei rifiuti” e per quanto concerne il capo di imputazione contro Cinque l’affidamento della gestione del palazzetto dello sport di Bagheria di proprietà  della Provincia e un abuso edilizio di un parente del primo cittadino.
Questa mattina il consiglio comunale di Bagheria era riunito quando è arrivata la notizia dell’indagine: la seduta è stata sospesa per l’assenza di gran parte della delegazione grillina.
Cinque, eletto nel 2014, è uno dei nove sindaci siciliani di 5Stelle, è un ex collaboratore del gruppo parlamentare dei grillini all’Ars ed è molto vicino al candidato governatore di M5S Giancarlo Cancelleri.
Il sindaco bagherese è stato indicato come modello da Cancelleri per gli atti sull’abusivismo.
L’inchiesta ruoterebbe attorno a due vicende: la gara per il noleggio degli automezzi impiegati nella raccolta dei rifiuti e un abusivo edilizio contestato a un familiare del sindaco. Relativamente a questa seconda vicenda Cinque sarebbe indagato per violazione del segreto d’ufficio e omissione di atti d’ufficio.
Cinque era uno degli esponenti del movimento chiamati a parlare, prima di Grillo e Cancelleri, nel corso della kermesse di Palermo del 9 luglio che ha ufficializzato la candidatura a Palazzo d’Orleans del deputato nisseno.
Un’altra bufera, insomma, sulla campagna elettorale per le regionali del movimento 5 Stelle, dopo che ieri il tribunale di Palermo ha accolto il ricorso di un militante grillino, Mauro Giulivi,   sospendendo l’esito delle Regionarie che hanno incoronato Cancelleri. M5S, malgrado la sentenza, ha deciso di andare avanti lo stesso.
Il senatore Francesco Campanella, ex parlamentare del M5s oggi di Art. 1 MDP, va all’attacco: «Due anni fa — ricorda Campanella — proprio sul sistema degli appalti diretti per i rifiuti ho presentato un’interrogazione parlamentare e un esposto in Procura della Repubblica di Palermo. Qualcosa si smuove a Bagheria. Troppo spesso il sindaco Cinque si è sentito inattaccabile e l’onestà  l’ha esercitata a suo modo, diciamo adattandola ai propri interessi». Le indagini sarebbero scattate dopo alcuni esposti presentati un paio di anni fa in Procura. Nell’indagine sarebbe coinvolto anche l’ex commissario straordinario della provincia di Palermo, Manlio Munafò.

(da   agenzie)

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UN DOCUMENTO INCHIODA SALVINI: “COSI’ HA DIMENTICATO DI COSTITUIRSI PARTE CIVILE CONTRO BOSSI E BELSITO”

Settembre 20th, 2017 Riccardo Fucile

IL DOCUMENTO DEI REVISORI DELLA LEGA IL 22 MAGGIO 2015 SEGNALAVA A SALVINI LA NECESSITA’ DI MUOVERSI CONTRO I DUE ACCUSATI MA LUI NON LO FECE: PERCHE?… E OGGI PARLA DI COMPLOTTO DELLE TOGHE ROSSE MENTRE CERCA UN ACCORDO CON LORO

Un documento ufficiale dei revisori del bilancio della Lega Nord, datato 22 maggio 2015 segnalava ai vertici del Carroccio — e quindi a Matteo Salvini — di costituirsi parte civile nel processo a Belsito e Bossi.
Ma il Capitano lo ha ignorato.
Del documento parla oggi Piero Colaprico su Repubblica e le affermazioni contenute sono inequivocabili.
«In particolare, con riferimento alla comunicazione da questo collegio appresa da organi di stampa, di rinvio a giudizio con processo fissato per il 23 settembre prossimo davanti alla Prima sezione del tribunale di Genova, di cinque esponenti del movimento la Lega Nord, imputati di truffa ai danni dello Stato, relativamente a rimborsi elettorali, e di appropriazione indebita, il collegio raccomanda vivamente ai rappresentanti del movimento e il comitato amministrativo di costituirsi tempestivamente parte civile nel citato processo, onde far valere innanzi al giudice propria domanda di risarcimento e/o di restituzione».
Non solo.
Nella relazione finale, datata 3 giugno sempre del 2015, si scrivono una serie di raccomandazioni.
E l’ultimo “pallino” richiama senza ombre l’avvertimento già  dato il mese prima: il collegio federale dei revisori, e cioè Cristiano Maccagni, Andrea Donnini e Maurizio Delfino, raccomanda «di portare a compimento le raccomandazioni contenute nel verbale in data 22 maggio».
La Lega Nord non si è costituita parte civile in quel processo ma solo in quello dove Belsito è accusato di “associazione a delinquere (articolo 416) finalizzata all’appropriazione indebita, al riciclaggio, alla truffa per il conseguimento di erogazioni pubbliche; all’intercettazione di commesse di aziende a partecipazione pubblica”.
Il provvedimento di sequestro riguarda 48 milioni di euro dai conti del Carroccio, dove però non ci sono.
La somma congelata ammonterebbe a poco più di un milione e, come puntualizza Paolo Grimoldi, segretario della Lombardia, «sono stati bloccati i conti anche alle sezioni più piccole, che magari hanno la sola disponibilità  di 120 euro».
I soldi di Noiconsalvini sono salvi
Davide Vecchi sul Fatto Quotidiano invece spiega che i soldi di Noi con Salvini non sono in pericolo:
Nel 2015 il leader in felpa convocò un Congresso che cambiò radicalmente l’assetto fiscale del Carroccio: fino ad allora ogni conto corrente di ogni sezione veniva registrato con il codice fiscale della Lega Nord, con sede legale in via Bellerio. Venne deciso invece di rendere autonome (almeno fiscalmente) le diverse realtà  territoriali e ad alcune (Toscana, Umbria, Marche e altre) vennero anche trasferiti dei fondi dai depositi del federale, cioè del partito.
Soldi che potrebbero essere stati così messi in salvo. Nel dispositivo del Tribunale di Genova è infatti ordinato “il sequestro preventivo di somme di denaro depositate su conti correnti bancari, libretti di risparmio, depositi bancari intestati o comunque riferibili alla Lega Nord per l’Indipendenza della Padania”.
Quindi sono esclusi tutti i comitati del movimento “Noi per Salvini”, tra l’altro.
Il procuratore capo di Genova, dopo aver incontrato ieri i legali del Carroccio, si è detto possibilista sul poter svincolare alcune somme ma, ovviamente, solo con delle garanzie: “Una fideiussione o un immobile”.

(da “NextQuotidiano”)

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LA MELONI POTREBBE CANDIDARE IL CAPITANO ULTIMO (SE LA SUA IMMAGINE NON ESCE A PEZZI DAL CASO CONSIP)

Settembre 20th, 2017 Riccardo Fucile

SERGIO DI CAPRIO SEMBRA PERFETTO PER IL RUOLO DI “POLITICO”, MA CANDIDARLO POTREBBE ESSERE UN BOOMERANG

Fratelli d’Italia candiderà  il colonnello Sergio De Caprio, noto a tutti come capitano Ultimo, alle prossime elezioni politiche?
“Non commento, ma ribadisco la totale stima per un uomo coraggioso e straordinario”: a rispondere così è stata la presidente di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni, ieri in conferenza stampa alla Camera.
E ovviamente sono bastate queste parole per far scattare il gossip parlamentare e politico sull’ipotesi di una candidatura che avrebbe dell’incredibile, soprattutto dopo la testimonianza di Lucia Musti al CSM.
«Il capitano Ultimo ci è sempre piaciuto. Per noi è un simbolo. È quello che ha arrestato il capo della mafia. Il nostro giudizio su di lui è sempre stato più che positivo. Lo abbiamo candidato, e votato, anche alle elezioni del capod ello Stato. Certo non abbiamo cambiato giudizio in questi giorni per qualche notizia giornalistica», ha detto ieri Ignazio La Russa, numero due del partito della Meloni
Secondo Virginia Piccolillo sul Corriere della Sera, che racconta di un’ipotesi viva all’interno di FdI: «La spinta c’è e viene dal basso. E i boatos interni al partito sull’ipotesi di offrire una candidatura all’ex vicecomandante del Nucleo operativo ecologico dei carabinieri, che ha condotto le indagini sulla Cpl Concordia e l’avvio di quelle sulla corruzione in Consip trova molti consensi. E conferme: «L’ipotesi c’è. Ma non è ancora ufficiale», dicono più fonti interne a FdI».
In effetti nella dichiarazione in cui si difendeva dalle (presunte) accuse di Lucia Musti il riferimento al «golpe che vediamo è quello perpetrato contro i cittadini della Repubblica, quelli che non hanno una casa, quelli che non hanno un lavoro e quel golpe non lo hanno fatto e non lo fanno i carabinieri» è sembrato roba da politica, appunto, anche se della peggior specie: quella che risponde con la demagogia invece che nel merito delle questioni.
Nel caso, Ultimo è prontissimo ad essere il primo.

(da “NextQuotidiano”)

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M5S, DAI TERRITORI CRESCE LA FRONDA PER AZZOPPARE DI MAIO

Settembre 20th, 2017 Riccardo Fucile

FICO NON HA VOLUTO VEDERE GRILLO… LA LETTERA DEI CONSIGLIERI COMUNALI PIEMONTESI A GRILLO… E ANCHE DI BATTISTA POTREBBE RIPOSIZIONARSI

Nemmeno il tempo di godersi la consacrazione che Luigi Di Maio si trova a vivere il paradosso di molti leader.
Essere in cima al suo Movimento, celebrato come imminente candidato premier, dotato di fama e potere politico, e allo stesso tempo diventare il principale bersaglio di una guerra interna tra i grillini. Locale e nazionale.
Perchè quello che avviene in Sicilia ha conseguenze collaterali sulla sua ascesa alla testa del M5S. In un momento che tra l’altro non è dei migliori ed è tra i più turbolenti della già  vivace storia dei 5 Stelle.
Al candidato governatore Giancarlo Cancelleri, uno dei suoi uomini più fidati, Di Maio non ha legato solo un pezzo di campagna elettorale, con il tour in Siclia, le camicie bianche, le cravatte colorate sui social e le rispettive compagne fotografate sulle pagine patinate dei magazine di gossip.
Ma ha legato anche il suo destino a breve termine, perchè la Sicilia dovrebbe essere il risultato forte su cui il deputato avrebbe costruito la sua corsa a Palazzo Chigi.
E invece le cose non stanno andando per il verso sperato.
In Sicilia come a Roma, dove già  si agitano le truppe spontanee degli ortodossi al seguito di Roberto Fico, contrari alla decisione di Grillo di abdicare al ruolo di capo politico e di affidarlo al vincitore delle primarie per la premiership.
Così Di Maio rischia di rimanere un leader azzoppato anzitempo e di vedere rovinata la festa della sua incoronazione a Rimini.
Per questo, dentro il M5S stanno già  approntando le contromosse, legali e disciplinari. A Roma Grillo ha avuto colloqui serrati con il team di avvocati che segue le pratiche sugli innumerevoli ricorsi e si è convinto, come già  aveva fatto a Genova contro Marika Cassimatis, che a questo punto è meglio procedere senza ulteriori votazioni: il candidato in Sicilia resta Cancelleri, per volontà  del comico, in qualità  di garante e (ancora per poco) capo politico del M5S.
Allo stesso modo, Grillo è pronto a usare il suo potere per calmare la fronda interna. Già  trapelano le prime minacce di sanzioni, se i più riottosi dovessero continuare a picconare su Di Maio.
Ma prima di arrivare a un epilogo così drammatico Grillo ha tentato un ultimo tentativo di conciliazione.
Lunedì ha chiamato Fico per chiedergli un faccia a faccia a Roma, prima della partenza. Il deputato, secondo fonti vicine a entrambi, avrebbe rifiutato di incontrare il leader.
Fico considera inaccettabile che Grillo si svesta del ruolo più importante. «Beppe devi restare tu il capo politico, non può diventarlo Luigi, serve una figura super partes». «Ma io – è stata la risposta del comico – rimango il garante».
Non è solo Fico a chiedere che Di Maio non diventi capo politico.
Sono tanti parlamentari e tantissimi dai territori, tra eletti e non.
Ieri Luigi Gallo, deputato che più di altri si è intestato una campagna pubblica sui social, ha rilanciato una lettera sottoscritta dai consiglieri piemontesi: «Beppe – scrivono – riteniamo che la figura del premier non debba coincidere con quella del capo politico».
Ma Grillo vuole tornare ai suoi spettacoli, calcare palchi dove si sente più a suo agio, lontano dai rituali rissosi della politica. Questa volta sembrerebbe deciso.
In realtà  lo era anche due anni fa, ai tempi del direttorio, ma non funzionò e alle prime liti si dissolse, costringendolo a tornare.
Secondo il deputato Angelo Tofalo «la dizione capo politico vale per il Parlamento. Grillo resta garante e capo politico, inteso nel senso più ampio».
Ma sono rassicurazioni di facciata.
Memore di quanto accaduto con il direttorio, Grillo ha delegato a Davide Casaleggio e allo staff il compito di blindare la futura leadership di Di Maio.
Fico, e chi come lui vorrà  alzare polveroni, è avvertito: in virtù della sua nuovo carica, Di Maio potrà  sanzionare chiunque voglia detronizzarlo.
Potrebbe essere il preludio a nuovi addii, anche perchè in campagna elettorale non verranno tollerate critiche. In tutto questo c’è da capire che parte sta interpretando Alessandro Di Battista.
Ha promesso di parlare dal palco di Rimini, per spiegare perchè non si è candidato contro Di Maio, lasciando che a sfidarlo fossero degli illustri sconosciuti, in una gara dai risvolti comici.
Intanto però Di Battista è rimasto nascosto, come sa fare solo lui, senza sbracciarsi troppo di elogi per l’amico Luigi con cui ha stretto un patto di non competizione.
Ma i patti, in politica, si fa in fretta a stracciarli.

(da “La Stampa”)

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M5S: NASCE LA FRONDA ANTI-SICILIA

Settembre 20th, 2017 Riccardo Fucile

GLI ORTODOSSI GUIDATI DA FICO ATTENDONO IL PASSO FALSO DI CANCELLERI SU CUI DI MAIO HA MESSO LA FACCIA…BORRE’: “PER FARE LE PRIMARIE BASTANO TRE GIORNI, HANNO PAURA”

I giudici non hanno sempre ragione. O almeno li si può sfidare trovando un cavillo per non farsi condizionare da loro.
Fa parte del nuovo corso 5stelle, in continua mutazione genetica, con lo sguardo fisso alla possibile andata al governo costi quel che costi comprese le abiure dei capisaldi della loro politica, tra cui ha sempre spiccato l’ossequio assoluto al giudizio dei magistrati.
Oggi, nonostante la decisione del Tribunale di Palermo di sospendere il risultato delle consultazioni per la scelta dei candidati alle regionali siciliane, Giancarlo Cancelleri ha deciso di andare avanti lo stesso e di non ripetere le ‘regionarie’.
In casa grilina la vittoria in Sicilia inizia ad apparire complicata ed è per questo che i vertici vogliono evitare scossoni a campagna elettorale iniziata.
D’altronde un fallimento in Sicilia costerebbe caro allo stesso Luigi Di Maio che su Cancelleri ha messo la faccia e ora si appresta ad essere scelto candidato premier.
I due da mesi si muovono infatti l’uno accanto all’altro, i loro destini sembrano legati e così i duri e puri del Movimento, con Roberto Fico in testa, stanno a guardare, aspettano il risultato siciliano perchè è da qui che dipenderà  il futuro pentastellato.
E se M5s non sfonda sull’isola, gli ortodossi, che hanno lasciato Di Maio candidato unico alle primarie, sono pronti a far pesare la debacle perchè in fondo, come diceva Sciascia parlando di ‘sicilianizzazione’ dell’Italia: “La linea della palma viene su verso il Nord”.
Così per evitare di perdere terreno, Cancelleri tiene il punto sulle primarie da non ripetere: “Siamo fuori tempo massimo — scrive il candidato presidente M5S — la scadenza per presentare il simbolo è questo sabato 23 settembre e dobbiamo inoltre raccogliere 3.600 firme per la presentazione della lista. Per questo motivo il Movimento 5 Stelle sarà  presente alle Regionali siciliane del 5 novembre con il sottoscritto candidato alla Presidenza della Regione e con la lista, a me collegata, votata dagli iscritti il 4 luglio 2017”.
Nel post a firma di Cancelleri il Movimento annuncia che farà  ricorso “per far valere le proprie ragioni” e sottolinea che “i tempi per aspettare la fine del procedimento e per rinnovare le votazioni purtroppo non ci sono più”.
Una decisione che trova l’appiglio in un passaggio del provvedimento emesso oggi, in cui il Tribunale di Palermo precisa di non potere adottare alcuna decisione in merito a una eventuale nuova votazione nè riguardo alle “modalità  di svolgimento” del possibile nuovo voto online.
Sta di fatto però che il Tribunale ha anche giudicato il voto “irregolare”, tanto è vero che lo sospeso in via cautelare, e Beppe Grillo in un post di una decina di giorni fa aveva messo nero su bianco che il Movimento avrebbe rispettato la volontà  dei giudici.
La linea è dunque sottile e come spesso avviene in questi casi si ragiona in punta di diritto.
L’avvocato Lorenzo Borrè, che difende l’attivista Mauro Giulivi, colui che ha presentato il ricorso, specifica che “per rifare i due turni delle primarie”, come sarebbe logico dopo la sentenza che le dichiara irregolari, “sarebbero sufficienti tre giorni”.
La data di scadenza per la presentazione delle liste per le elezioni regionali siciliane, infatti, è il 5 ottobre e il numero minimo di firme richiesto dalla legge è 1.800, da raccogliersi con una media di 200 per Provincia.
“Un partito come M5s se vuole 1800 firme le raccoglie in poche ore”, dice Borrè con aria di sfida.
Il rischio è che la sentenza del Tribunale arrivi in piena campagna elettorale, in quel caso, spiega un deputato molto vicino ai vertici pentastellati: “Noi ormai avremo presentato la lista e di certo non potranno annullare le candidature”.
A questo punto il Movimento va avanti nonostante l’ordinanza del giudice, ma porta con sè la zavorra delle polemiche che si ripercuotono sul piano nazionale.
Solo pochi giorni fa un capannello di deputati seduti in cortile a Montecitorio rifletteva sui possibili scenari siciliani.
Nessuno dei parlamentari grillini faceva mistero di quanto sia difficile la sfida sull’isola. Lo stesso Alessandro Di Battista, reduce dal tour siciliano, osservava: “Non diamo nulla per scontato, non abbiamo la vittoria in tasca, ce la dobbiamo mettere tutta ma è difficile”.
L’entusiasmo dei primi tempi si è affievolito, alla luce anche della candidatura di Nello Musumeci, supportato da tutta la destra, dal centrodestra e da pezzi centristi.
E mentre i pragmatici sperano nel grande slancio che solo Italia 5 Stelle può dare, gli ortodossi che non hanno incontrato Grillo chiuso per due giorni in hotel a Roma, aspettano il 5 novembre, giorno delle elezioni siciliane, per giudicare il lavoro di cui che diventerà  il nuovo capo politico, cioè Luigi Di Maio.

(da “Huffingtonpost”)

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DI MAIO E I DADI TRUCCATI DEI GRILLINI

Settembre 20th, 2017 Riccardo Fucile

LA CHIUSURA OLIGARCHICA, LA SUPERSTIZIONE SETTARIA, LA FARSA AUTOLESIONISTICA DELLE PRIMARIE PREFABBRICATE

Una paura inconfessata del mondo si specchia nell’unica sicurezza in cui si arrocca il Movimento 5 Stelle nel momento in cui lancia l’assalto al cielo: la chiusura oligarchica in sè, con una superstizione settaria e una fiducia religiosa.
Come Ratzinger, anche Grillo è convinto che ” extra ecclesiam nulla salus”, perchè non c’è salvezza fuori dal sacro recinto.
È singolare come questi due sentimenti siano intrecciati nel procedere del partito, dal “V-day” fino alla farsa autolesionista delle primarie prefabbricate che investiranno Di Maio con una corona giocattolo, da grandi magazzini.
Un movimento nato in piazza, convinto di essere generato direttamente dal popolo, alternativo al sistema, ai suoi riti stanchi e alle procedure più logore, si mostra incapace di darsi un metodo di democrazia interna coerente con quanto predica all’esterno e con l’idea di rinnovamento che propone, talmente radicale che dovrebbe semmai rovesciare l’antico motto cristiano, cercando il cambiamento ovunque si manifesti e in qualsiasi forma: ” Ubi salus, ibi ecclesia”.
L’anomalia è congenita e connaturata, come il conflitto d’interessi per Berlusconi o il bullismo politico per Renzi.
Nasce cioè dalla concezione di sè, non come parte ma come un diverso tutto, che non vuole conquistare il sistema ma pretende di soppiantarlo.
Ciò comporta, necessariamente, l’abolizione di ogni distinzione, e cioè del libero criterio con cui si forma ogni giudizio politico, per incasellare la realtà  dentro uno schema di comodo basato sul pregiudizio, che accomuna tutta la politica precedente alla transustanziazione del comico in leader, come un’era barbara da rigettare in blocco.
Non importa che in questa lunga stagione costellata di errori e anche di colpe ci siano tradizioni, esperienze, filoni culturali, testimonianze e personalità  che hanno costruito la miglior storia d’Italia, avvicinandola all’Europa.
E non importa neppure che nella capacità  di distinguere, ogni volta e in ogni circostanza, risieda l’esercizio della libertà  intellettuale del cittadino: l’unica cosa che conta è ridurre la politica “altra” a fascio indistinto, insieme con le istituzioni marce e i riti repubblicani vuoti.
Deriva dunque dalla differenza, più che dalla proposta, l’autocandidatura grillina non all’alternativa ma alla sostituzione di sistema.
Una differenza che si vive come antropologica, irridendo gli avversari e sbeffeggiandoli, che si presenta come metodologica (nel culto elettronico del sacro Graal che dovrebbe garantire trasparenza e invece la confisca), ma in realtà  è profondamente ideologica.
Non si tratta infatti di tornare agli ideali democratici su cui è nata la repubblica, ma di trasportare il sistema nell’altrove grillino dove una casta di puri sostituirà  un meccanismo corrotto e inaugurerà  finalmente l’era della grande semplificazione, banalizzando – come avviene quotidianamente in Campidoglio – i problemi e purtroppo le loro soluzioni.
Solo un piccolo mondo nuovo, compatto, rigidamente controllato, impermeabile e autosufficiente può sostituire il grande vecchio mondo che non si può emendare, selezionare, discernere, ma soltanto mandare al macero in blocco.
Soltanto che la rigidità  del meccanismo cozza contro l’elasticità  della teoria.
C’è un capo supremo che tutti riconoscono ma che nessuno ha eletto, con titoli aziendali, manageriali e religiosi ben più che politici: il “fondatore”, il “capo politico”, l'”elevato”. Nessuno ovviamente disconosce il carisma di Grillo sui suoi adepti, e nemmeno l’istinto politico.
Solo che lo statuto speciale che si è attribuito lo colloca in un luogo esterno al controllo, alla verifica, alla trasparenza, al metodo democratico che l’articolo 49 della Costituzione prescrive ai partiti, un luogo di permanente arbitrio e di totale insindacabilità , che lo rende nello stesso tempo responsabile finale di ogni cosa, e a piacere irresponsabile di tutto.
Quando poi Davide Casaleggio scende nel campo politico e amministrativo incontrando sindaci e parlamentari, dirimendo conflitti, decidendo priorità  e strategie, l’affare si complica perchè la mancanza di ogni investitura democratica è in più distorta dall’elemento dinastico, come se si potesse ereditare il ruolo di co-fondatore, l’approccio imprenditoriale per regolare dall’alto la politica, le chiavi misteriose del caveau battezzato con sprezzo del pericolo Rousseau, che custodisce solo per gli iniziati i percorsi e i destini di tutti.
È evidente che tutto questo cozza con la predicazione della trasparenza, con il principio della democrazia diretta (anche con quella indiretta, a dire il vero), con lo streaming inflitto a Bersani, con il disvelamento di ogni meccanismo decisionale, con il rovesciamento dei vecchi metodi castali, che ancora resistono nei partiti e determinano in buona parte il successo del movimento.
L’unico principio che regge alla prova dei fatti è il famoso “uno vale uno”, ma rovesciato rispetto alla rivoluzione che prometteva: davvero conta sempre e soltanto quell’uno nascosto in alto, che ha potestà  di nomina e di veto come i signori feudali, ben più di qualsiasi leader di ogni vecchio partito.
Quelli, infatti, dichiarandosi di destra o di sinistra si impongono un vincolo politico-culturale, a cui devono in qualche modo rispondere, e in base al quale vengono giudicati, mentre qui ogni piroetta è lecita, nel nulla identitario.
Quelli, in più, devono fare i conti con il libero gioco delle correnti, qui invece totalmente assenti come dimostrano le primarie addomesticate coi figuranti attorno a Di Maio, e il silenzio amaro dei dissidenti, che hanno paura del fulmine dall’alto, capace di incenerire ogni dissenso.
Le finte primarie sono dunque il risultato di un metodo, che è un’aperta trasgressione ai principi fondativi del movimento, una deformazione delle sue teorie, una falsificazione politica.
La miseria politica degli altri partiti non giustifica affatto la clamorosa anomalia grillina. Chi non ha altra base culturale che la purezza e la trasparenza, nascendo ogni giorno dal seno del popolo per riporre proprio lì la virtù salvifica di ogni scelta, ha infatti il dovere politico della coerenza: se non nei programmi, che sono più complicati perchè dipendono anche da variabili esterne, almeno nel metodo con cui costruisce il suo gruppo dirigente, la sua leadership, la sua struttura interna.
Abbiamo ripetuto molte volte e inutilmente, davanti ai periodici grovigli del Pd, che un moderno partito è forte se disarmato, è nuovo in quanto aperto, è democratico perchè scalabile e contendibile. Vale per tutti, naturalmente.
E invece proprio nei 5 Stelle c’è il timore non solo di ogni convergenza democratica nei parlamenti (dove pure non esiste per definizione una verità  assoluta, ma tante verità  parziali che si possono combinare in quel gioco che si chiama politica), ma anche di ogni contatto esterno per definizione “impuro”, e adesso addirittura di ogni possibile contaminazione interna che scombini la scelta dell’oligarchia di vertice, blindata proprio mentre si convocano le primarie, con una contraddizione clamorosa.
La prova del 9 è l’intolleranza per l’informazione proclamata direttamente da Grillo ieri davanti ai giornalisti, mentre l’uomo del cambiamento, Di Maio, si inchinava a baciare la teca di San Gennaro: “Vi mangerei, anche per il gusto di vomitarvi”.
Non fa ridere, qualcuno dovrebbe dirglielo. Per paura, tacciono gli oppositori interni. Per connivenza, stanno zitti gli intellettuali esterni, pronti a crocifiggere ad ogni passo la seconda repubblica, come se non si facesse male da sola.
Quanto alla terza, non resta che aspettare la ribellione cibernetica di Rousseau, come un moderno Hal, per dichiarare il gigantesco “tilt” democratico di questa odissea spaziale coi dadi truccati.

(da “La Repubblica”)

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FRECCERO: “DI MAIO E’ IL CARLO CONTI DELLA POLITICA, NON HA CARISMA”

Settembre 20th, 2017 Riccardo Fucile

“LUI E’ L’UOMO MEDIO, UN SOFTWARE INTERCAMBIABILE”

“Luigi Di Maio è perfetto perchè è l’uomo medio, è il Carlo Conti del Festival di Sanremo applicato alla politica. Un uomo con cui tutti si possono identificare, comprensibile a chiunque. Lo definirei un software interscambiabile. Non ha nulla del leader carismatico. Non è Alessandro Di Battista nè Roberto Fico. Loro hanno una forte identità  e troppa personalità  per fare i portavoce. Di Maio no, zero carisma, per questo è il perfetto portavoce del M5S, come lo volevano Grillo e Casaleggio. Dietro c’è l’idea di una politica 2.0, acefala”.
Lo afferma Carlo Freccero, membro del cda Rai, in un’intervista alla Stampa.
“Di Maio è l’ideale per la trasversalità  delle idee politiche del M5s, attento a non fare mai un discorso di rottura. La sua forza è di non avere teorie. Lo dimostra come è facile per lui cambiare idea, dal referendum sull’euro allo Ius soli. Ma per questo è comprensibile per tutti, per quel Movimento che cresce, si evolve, vuol partecipare in prima persona alla gestione comune della politica: rappresenta sia il pubblico della tv, sia l’opinione di Internet”, dichiara Freccero.
“Non incarna la politica dei leader e delle èlite ma degli uomini qualunque nel reality di Grillo, che non mette in scena le star ma punta i riflettori direttamente sul pubblico”.

(da “Huffingtonpost“)

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“IO, STUPRATA DAL MIO FIDANZATO, NON RIESCO PIU’ A INNAMORARMI”

Settembre 20th, 2017 Riccardo Fucile

LA TESTIMONIANZA DI MARIANNA: “AVEVO 22 ANNI, MI FIDAVO DI QUEL RAGAZZO. HO RICOMINCIATO A VIVERE QUANDO NE HO PARLATO CON LE MIE AMICHE”… LA MAGGIOR PARTE DELLE VIOLENZE AVVIENE NELL’AMBITO FAMILIARE E DELLE CONOSCENZE

È difficile per una donna parlare di violenze subite, soprattutto se stupri. Marianna mi ha chiesto di farlo, vuole parlarne perchè la sua esperienza possa aiutare altre donne. Marianna ha subito uno stupro dal suo fidanzato. Aveva 22 anni, era felice, solare come tante ragazze della sua età . Studiava all’Università , amava molto l’architettura.
Conosce un ragazzo, si fida di lui, comincia una storia d’amore, almeno così lei credeva. All’inizio tutto sembra andare per il meglio, ma con il passar del tempo la situazione peggiora.
«Non voleva che mi vestissi con le gonne corte. Poi mi vietava di frequentare alcuni amici». Tu sei mia diceva. La storia degenera un giorno, quando Marianna si rifiuta di avere un rapporto sessuale, e con sua terribile sorpresa viene stuprata dal suo fidanzato. Una esperienza dolorosissima.
«Non sono riuscita a reagire in quel momento. E non potete capire quanta rabbia ho ancora dentro per questo. Ero senza forze, senza energie. E dopo non volevo parlarne con nessuno». Qualche giorno dopo succede di nuovo.
E allora, completamente svuotata, distrutta, riesce a trovare la forza di scappare dai suoi fratelli.
La fuga
«Ma non me la sentivo di denunciarlo, troppo doloroso raccontare, troppo pesante spiegare tutto,dimostrare che non ero consenziente». Chiede ai fratelli di tenere lontano il fidanzato, «Lo lascio per telefono, lui urla, strepita, piange, si dispera, ma io non accetto l’ultimo appuntamento e dopo pochi giorni me ne vado distrutta in un’altra città , ospite di una mia lontana parente, per evitare di incontrarlo. Ma non ero più la stessa».
Violata nel profondo,violata nell’anima, nel cuore, violata nella più profonda intimità . Si sentiva annullata. «L’ansia mi assaliva continuamente, pianti disperati, incubi la notte, l’insonnia, la nausea permanente, la rabbia dentro di me, i tremori , avevo paura di tutto e poi, non mi fidavo più di nessuno. Sembra non ti interessi più nulla della vita… Tu sei il nulla».
Lei, con un carattere sempre aperto al mondo, si rinchiude in se stessa, diventa timorosa, fragile. Non si apre con nessuno, chiusa nel suo guscio. «Volevo dimenticare.
All’inizio pensavo che fosse la cosa migliore, ma più stavo in silenzio, più stavo male, il silenzio mi isolava dagli altri. Ho incontrato anche ragazzi carini, gentili, ma non riuscivo più a fidarmi di loro. E ancora non riesco a innamorarmi. Ho paura».
A un certo punto decide di tornare nella sua città , si sentiva troppo sola, e di raccontare tutto alle sue amiche con cui non aveva più avuto contatti.
La rinascita  
«E’ stato l’inizio della mia rinascita. Trovare loro così vicine, così comprensive, così piene di complicità  e di umanità , è stata la cosa più bella della mia vita. Mi ha dato tanta forza per ricominciare. Loro mi hanno convinto ad andare da una psicologa, con loro ho cominciato a rivivere momenti spensierati, anche se lo stupro ti lascia un segno indelebile di morte nel cuore».
La vicinanza di altre donne è fondamentale dopo uno stupro. Ridà  la forza di vivere quando tutto sembra finito, Per questo i Centri antiviolenza tengono molto a questo aspetto. Marianna non ha denunciato il suo ex fidanzato.
«Non ce l’ho fatta, mi sono risparmiata il doloroso iter delle denunce, delle pressioni che una donna subisce anche dalla famiglia per ritirarle, dei processi. Lo so, così il mio fidanzato non è stato nè denunciato, nè condannato. Ma non potevo soffrire ulteriormente».
E mi racconta di Adele, che lei ha conosciuto dalla psicologa ed è diventata sua amica: «Quando si è recata al commissariato del suo paese per denunciare gli stupri ripetuti di suo marito non è stato facile per lei. La sua famiglia la pressava per non denunciare, per rimettersi insieme a lui.
L’appuntato le chiedeva se era proprio sicura di quello che diceva, che in fondo era il marito. Adele si sentiva sola contro tutti. E il processo… i dettagli, le domande indiscrete, gli ammiccamenti… le pressioni a ritirare la denuncia… un vero incubo. Ecco perchè io non ho denunciato. Perchè si riaprono continuamente le tue gravi ferite. Nessuno può capire realmente quanto tu possa soffrire».
Parlare, parlarne, in continuazione, fra donne, con gli uomini, tanto con i figli e con le figlie, senza paure, senza vergogna, parlare anche se non e’ toccato a te, nè alla tua famiglia, ma ad una che non conosci.
Tessere una rete di solidarietà  femminile, di valori condivisi, di stigmatizzazione sociale inappellabile, di ogni per quanto piccolo atto di sopraffazione del bimbo sulla bimba, del ragazzo sulla ragazza, dell’uomo sulla donna.
Dai piccoli atti di prevaricazione, di non rispetto dell’altra, quelli su cui in genere si soprassiede germina e si ramifica la subcultura della pretesa superiorità  maschile, e della donna come sua proprietà , quella che porta molti ad oltrepassare la soglia della violenza, e alcuni dello stupro. Su questo terreno siamo indietro uomini e donne, ed è ora che a partire dalle donne il nostro sguardo esprima con chiarezza la nostra collera. Marianna e le donne colpite ce lo chiedono.

(da “La Stampa”)

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“NOSTRE DENUNCE INASCOLTATE”: LA RABBIA DEI COLLEGHI DELLA DOTTORESSA DELLA GUARDIA MEDICA VIOLENTATA

Settembre 20th, 2017 Riccardo Fucile

“BASTA PAROLE, SE LO STATO NON E’ IN GRADO DI TUTELARCI CHIUDIAMO LE GUARDIE MEDICHE”… MA MINNITI DEVE PENSARE A TRATTARE CON I CRIMINALI LIBICI

Tre ore di terrore, di violenza subita senza poter chiedere aiuto. L’ennesimo episodio di stupro, quello avvenuto a Trecastagni in provincia di Catania. Vittima una dottoressa della guardia medica del paese violentata da un giovane italiano di 26 anniche è riuscito a distruggere il telefono e il sistema di allarme collegato al 112 e ad agire indisturbato per ore prima che qualcuno potese dare l’allarme.
Una violenza che è anche l’ennesima nei confronti di medici e infermieri in prima linea, soprattutto in pronto soccorsi e guardie mediche.
E anche i questo caso le donne sono quelle che pagano il prezzo più alto.
Molte le reazioni a questo episodio ad iniziare da quella della ministra della Sanità . “L’episodio che è accaduto a Catania, è orrendo. Il tema della sicurezza degli ospedali, che poi in Sicilia ha riguardato una serie di casi, mi preoccupa molto e ho convocato oggi una riunione per cercare di capire se dietro questo caso c’è qualcosa di più profondo e come possiamo intervenire”.
Lo ha detto il ministro della Salute Beatrice Lorenzin, commentando l’episodio dell’aggressione.
“L’episodio di Catania – sottolinea – è avvenuto in un luogo che dovrebbe essere sicuro, dentro la guardia medica dove lavorano per la maggior parte dei casi donne. Non possiamo permettere che il luogo che dovrebbe essere sicuro per eccellenza, divenga un luogo dove può accadere tutto”.
“Abbiamo avuto purtroppo anche morti, persone che sono state aggredite – ha proseguito Lorenzin – e questo tema della sicurezza negli ospedali, che in Sicilia si è susseguito con una serie di casi, mi preoccupa moltissimo. Per questo ho convocato oggi una riunione al ministero, per cercare di capire se dietro questi casi c’è qualcosa di più profondo e come intervenire. La riunione sarà  con i nostri tecnici e poi naturalmente- ha concluso – ne parleremo anche con la Regione Sicilia”
“Quello delle aggressioni ai medici in generale — dice l’assessore regionale Baldo Gucciardi – è un fenomeno inquietante che richiede interventi drastici, ma anche una riflessione urgente sulla deriva sociale da cui scaturiscono comportamenti criminali e animaleschi. Per questa ragione — aggiunge l’assessore – sono d’accordo col ministro alla Salute Beatrice Lorenzin sulla necessità  di un confronto su come intervenire in termini di sicurezza”.
“E’ finito il tempo delle parole, delle dichiarazioni d’intenti e di vicinanza, è finita anche quell’inclinazione, naturale per un medico, di comprendere le ragioni, le paure, gli istinti del paziente, persino quando, spaventato da una diagnosi o dalla malattia, diventa aggressivo. Quello che è successo a Catania, e non si tratta purtroppo di un caso isolato, ha ucciso ogni sentimento di comprensione: qui non si tratta di aggressività , ma di violenza gratuita; qui non si tratta di pazienti, ma di delinquenti; qui non si tratta di prendere provvedimenti sul caso specifico, ma di ridisegnare, con interventi strutturali e di sistema, l’intero servizio di Guardia Medica e di mettere finalmente in sicurezza i nostri professionisti”.
Così il presidente della Federazione nazionale degli Ordini dei medici chirurghi e odontoiatri, Roberta Chersevani, interviene sul gravissimo episodio. “Dobbiamo renderci conto che l’assistenza sanitaria è sempre più nelle mani delle donne: non possiamo lasciarle sole, non possiamo permettere che vadano al lavoro con la paura di essere picchiate, violentate, massacrate. Le farmacie notturne possono prestare il loro servizio a porte chiuse. Un medico no, ha bisogno di contiguità  con il paziente. Per questo dobbiamo agire sugli ambienti di lavoro, rendere i contesti più protetti, ponendoli in luoghi presidiati, dove ci sia altra gente” – continua.
“Lancio una proposta, valutiamone la fattibilità : perchè non spostare le guardie mediche all’interno delle Stazioni   dei Carabinieri, che sono capillari sul territorio, o delle postazioni di Polizia? Non occorrono attrezzature sofisticate, è sufficiente quella di un normale ambulatorio”.
Sul caso interviene il manager dell’Asp di Catania, Giuseppe Giammanco: “Atto ignobile, offensivo della dignità  della persona, perpetrato ai danni di un medico, una collega, nell’atto di compiere il proprio dovere di aiutare i cittadini. Abbiamo già  dato mandato al nostro legale per la costituzione di parte civile a tutela dell’azienda e, soprattutto, dei lavoratori”.
Ma il sindacato dei medici Cimo solleva il tema sicurezza: “Avevamo paventato la possibilità  che prima o poi ci potesse scappare il morto. Non è ancora accaduto ma si è arrivati allo stupro. Avevamo scritto ai prefetti di tutte i capoluoghi di provincia e non uno si è degnato di risponderci. Alla politica regionale diciamo che non intendiamo più attendere, inermi e passivi, di vedere accadere ulteriori episodi di questo tipo e all’assessore regionale della Salute chiediamo di sospendere il servizio di guardia medica fino a quando non saranno garantite le più basilari condizioni di sicurezza. Se non siete in grado di garantire la nostra sicurezza, chiudete le guardie mediche”.
La Cgil Sicilia, la Funzione pubblica e la Cgil medici regionali chiedono che chi opera nei presidi sanitari di ogni tipo non sia lasciato solo, che ci siano controlli capillari e iniziative a tutela dell’incolumità  di queste persone. “Quanto accaduto – scrivono in una nota Mimma Argurio (Cgil), Gaetano Agliozzo (Fp) e Renato Costa (Cgil medici) – è un fatto di inaudita gravità . Viene colpito un medico, una donna mentre svolge il suo lavoro a tutela della salute dei cittadini. Ci auguriamo che la giustizia faccia il suo corso rapidamente ma contemporaneamente chiediamo a direttori sanitari e prefetti iniziative per garantire la piena sicurezza degli operatori della sanità , in un momento in cui gli episodi di violenza di differente gravità  si susseguono”.
“Catania non può fare un passo indietro nella lotta alla delinquenza e alla mafia. Chiediamo al Prefetto e alle altre istituzioni – continuano – di farsi parte attiva nel fermare questa deriva. È necessario che il ministero dell’Interno presti maggiore attenzione alla città  e al suo territorio: occorrono più mezzi e più uomini alle forze dell’ordine e, se necessario, anche un aiuto in chiave “operazione Vespri siciliani”. “È urgente   concludono i sindacalisti – un incontro straordinario del comitato per l’ordine pubblico, con la presenza delle forze sociali e degli enti coinvolti, per concordare quali interventi, logistici e operativi, è possibile mettere in campo in modo da prevenire e arginare tali manifestazioni di gratuita violenza che minano la serenità  di cittadini e lavoratori”.

(da “La Repubblica”)

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