Maggio 11th, 2018 Riccardo Fucile
SULLA PREMIERSHIP TRATTATIVE IN ALTO MARE: INTERESSA SOLO LA POLTRONA… L’INCONTRO TRA MELONI E DI MAIO E LE DUE VERSIONI HANNO GELATO LA TRATTATIVA
Al termine di una giornata di musi lunghi (tra i leghisti) e un invalicabile muro comunicativo (sia di Lega e M5s), un autorevole dirigente del Carroccio conclude: “La trattativa sul premier è in alto mare…”.
Nulla di fatto, ancora oggi.
Domani nuovo vertice tra Matteo Salvini e Luigi Di Maio a Milano, preceduto dal tavolo tecnico Lega-M5s.
Ma il colpo di scena arriva a sera quando Giorgia Meloni svela il contenuto del suo incontro con Di Maio: “Ha chiesto il sostegno di Fratelli d’Italia ad una premiership sua o di un altro esponente del M5s”.
Gelo: gli orologi tornano al punto di partenza.
Nessuno sia dalla Lega che dal M5s smentisce, solo risposte generiche ed evasive. Come commenta le parole di Meloni sul suo incontro e sulla premiership? “Avrò modo di chiarire con lei”, si limita a rispondere così Di Maio ai giornalisti.
La versione dei cinquestelle è questa: Di Maio ha sondato Meloni per un appoggio esterno, lei ha rilanciato chiedendo di entrare nel governo e dando una preferenza al ministero della Difesa.
A quel punto, il leader 5S ha usato un’iperbole, sottolineando che a quel punto il governo sarebbe troppo sbilanciato a destra e che in questo schema il premier spetterebbe a lui o ad un altro esponente dei cinquestelle.
Ne è seguita la nota di Meloni, “stizzita dalla dichiarazione di Di Maio contrario a Fratelli d’Italia nel governo…”, dicono dai cinquestelle.
Siamo in alto mare.
Siamo al punto che nè la Lega, nè il Movimento sono disponibili ad accantonare davvero il sogno di un premier politico.
Salvini ci aveva provato proponendo il suo capogruppo alla Camera Giancarlo Giorgetti, subito bocciato dai cinquestelle.
Allora è stata intrapresa la via del premier terzo. Del resto, solo domenica scorsa Di Maio ha comunicato ufficialmente la sua disponibilità a un passo indietro.
Ma i nomi del premier terzo sono finiti in una girandola senza via d’uscita, dal diplomatico Giampiero Massolo all’attuale segretario generale della Farnesina Elisabetta Belloni.
Tutti bruciati, qualcuno ancora in ballo ma senza conclusioni.
E allora torna il sogno del premier politico. Sui due leader si fa sentire la pressione di un dibattito pubblico che comincia a chiedersi: come mai due forze politiche forti come la Lega e i cinquestelle non riescono a mettersi d’accordo su un premier politico?
Perchè affidarsi ad un premier terzo, non eletto?
Potrebbe essere un regalo all’opposizione, un cedimento rispetto all’idea iniziale di non appoggiare governi tecnici. Tanto valeva appoggiare un governo del presidente insomma.
E allora Di Maio, parlando con Meloni per verificare la posizione di Fratelli d’Italia sul governo giallo- verde, ci riprova. Rilancia la sua premiership.
O quella di un altro esponente del Movimento, azionista di maggioranza di questo eventuale governo con il 32 per cento dei voti contro il 17 per cento della Lega. Meloni dice no ovviamente, ma resta il nodo politico: resuscita dalle sacche di una trattativa che non vede da luce.
Ma naturalmente è una soluzione che non piace ai leghisti.
Farebbe saltare in aria le trattative – che pure ci sono – con Silvio Berlusconi per ottenere che l’alleato di centrodestra dia il via libera a questo esecutivo astenendosi. A seconda di chi farà il premier, Forza Italia infatti potrebbe anche votare no, mettendo in difficoltà Salvini.
In casa Lega sanno che Di Maio in fondo ci spera ancora ma non attaccano.
Giocano a non prendere per buono quello che ha detto alla Meloni, non vogliono sporcare la trattativa, stretti tra la volontà di far nascere questo governo e le difficoltà che si presentano: sempre più complicate e con la promessa di tante controindicazioni per il futuro.
È sera, Di Maio esce dalla Camera. Più tardi andrà a incontrare Davide Casaleggio e Beppe Grillo, per un vertice di tutto lo stato maggiore 5 stelle nelle ore più calde dei giorni più caldi della storia del Movimento.
Poi, in nottata, a fare la valigia. Sabato mattina un treno lo porterà a Milano, dove prima si riuniranno gli sherpa del programma, poi, nel pomeriggio, avverrà un faccia a faccia — il terzo in tre giorni — con Matteo Salvini.
Il capo politico del Movimento 5 stelle spande ottimismo. Ma una frase lascia intendere che lo stato dell’arte della trattativa con la Lega non fa intravedere ancora un punto di caduta all’orizzonte: “Se per scrivere bene questo contratto di governo dobbiamo perdere un altro giorno, va bene”.
Intanto in mattinata Casaleggio conferma che il contratto di governo verrà sottoposto agli attivisti tramite la piattaforma Rousseau. E che il voto “sarà determinante”.
Gli incontri sul contratto di governo hanno evidenziato punti d’intesa più o meno faticosi e segnali di distanze difficilmente colmabili.
Ma rimane il fatto che quel luogo sia deputato ad essere principalmente il luogo di decantazione della trattativa più complessiva, sul quale si scaricano le tensioni dovute agli inceppamenti sui binari paralleli della trattativa sul governo.
Una trattativa che prosegue a scossoni.
Dopo 36 ore di comunicati congiunti, per la prima volta Salvini e Di Maio hanno diffuso note separate al termine dell’incontro di venerdì mattina.
Non proprio un buon segno. Un’immagine su tutte.
Dopo la nota della Meloni, Di Maio parla al telefono per venti minuti dalla terrazza dell’hotel Forum. Le telecamere lo immortalano parecchio arrabbiato.
Su Roma cala la notte. Una notte di trattative, telefonate, incontri clandestini.
Avvolta dalla nebbia e dall’oscurità . Sperando che sabato, almeno a Milano, splenda un sole senza ombre.
(da “Huffingtonpost”)
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Maggio 11th, 2018 Riccardo Fucile
ORA SPINGE LA MELONI A ENTRARE NELL’ALLEANZA DI GOVERNO (SI PARLA DI UN MINISTERO PER LUI), MA FINO A POCO TEMPO FA NE DICEVA DI TUTTI I COLORI SUI GRILLINI
I voti dei 18 senatori di Fratelli d’Italia non sono determinanti per la tenuta della maggioranza
M5S-Lega. I due partiti hanno i numeri sia alla Camera che al Senato.
A Palazzo Madama però la maggioranza gialloverde si regge su appena 6 voti di scarto.
Non certo un margine rassicurante anche se nel corso delle passate legislature si sono viste maggioranze decisamente più precarie.
Potendo però contare sull’appoggio di FdI leghisti e 5 Stelle potrebbero sicuramente stare più tranquilli.
Giorgia Meloni, che a quanto pare si è sentita offesa per non essere stata coinvolta nelle trattative, ha voluto ieri indicare le condizioni per un eventuale sostegno del suo partito al governo.
Si tratta di elementi programmatici quali il no all’aumento delle tasse, allo ius soli e all’adozione per le coppie dello stesso sesso che sicuramente rientrano tra gli obiettivi di governo della Lega. Per quanto riguarda il MoVimento 5 Stelle la posizione tenuta dai grillini sul tema dei diritti civili lascia ben sperare la Meloni.
La cittadinanza ai cittadini di origine straniera e i diritti delle coppie omosessuali sicuramente non sono tra le priorità del partito di Grillo e Casaleggio.
In attesa che Fratelli d’Italia sciolga la riserva, secondo alcune indiscrezioni la contropartita potrebbe essere l’offerta di alcuni ministeri. Il partito è ancora diviso e attende una parola definitiva da Giorgia Meloni, che ha convocato per lunedì mattina, alle 12.30, la direzione nazionale proprio per valutare i pro e i contro di una ‘scelta governativa’ e serrare i ranghi, trovando una linea comune.
Voci però parlano di contatti con Salvini e Di Maio per la definizione di un accordo che potrebbe portare FdI a fare il suo ingresso nella compagine di governo.
In particolare Salvini sarebbe intenzionato ad offrire al partito dell’alleata del centrodestra un posto nell’esecutivo.
Oggi è saltata fuori l’ipotesi di Guido Crosetto come ministro della Difesa. Sull’ingresso di Crosetto nella squadra di governo si è espresso, con una battuta, anche Giancarlo Giorgetti. Questa mattina il braccio destro del segretario del Carroccio ha incrociato Crosetto davanti Montecitorio e ha detto, scherzando, «vado al governo solo se c’è anche Crosetto».
Naturalmente Giorgetti stava scherzando ma pare che tra i sostenitori dell’entrata di Fratelli d’Italia nel governo Salvini-Di Maio c’è proprio lui, il deputato piemontese noto da sempre per essere un feroce critico del MoVimento 5 Stelle che qualche settimana aveva ventilato l’idea di un possibile appoggio al governo Lega-M5S. Parlando ad Un giorno da pecora Crosetto si è tirato fuori dai giochi di governo dicendo che preferirebbe piuttosto vedere Giorgia Meloni come ministro alla Difesa ma che in ogni caso il partito deve ancora decidere sul da farsi.
Il problema è proprio che Crosetto è uno di quelli in molte occasioni esprime la sua scarsa considerazione per il Movimento.
Ad esempio qualche settimana fa Crosetto si lamentava con il Foglio delle condizioni imposte dagli eletti del MoVimento 5 Stelle per la loro partecipazione alle trasmissione televisive. È la solita storia delle interviste apparecchiate senza contraddittorio ma a coordinatore di Fratelli d’Italia la cosa non va proprio giù.
Ma la lista di tweet e dichiarazioni caustiche di Crosetto contro il MoVimento 5 Stelle è infinita.
A Marzo rispondeva a Federica Angeli dicendo che l’elettorato del M5S aveva votato per Di Maio perchè ha creduto alla storia dei 750 euro al mese (vale a dire il reddito di cittadinanza).
In un altro cinguettio Crosetto prendeva di mira Di Maio e tutti quei candidati che “non sono stati in grado di fare nulla nella vita, se non gozzovigliare e farsi mantenere” ma che hanno dalla loro il fatto di essere carini e vestirsi bene.
All’epoca del caso Tempa Rossa quando il tesoriere del PD Francesco Bonifazi annunciava querele nei confronti di Carlo Sibilia Crosetto ironizzava sull’eventualità che il deputato pentastellato potesse giocarsi la carta “capace di intendere e di volere”. Sul suo profilo Twitter Crosetto mette le mani avanti già nella descrizione: «Quando insulto, discuto o faccio complimenti a qualcuno di voi, lo faccio a titolo personale, come Guido Crosetto, non in quanto appartenente ad una categoria».
Qualche anno fa Crosetto si è preso una querela dal consigliere regionale Davide Bono al quale aveva mosso l’accusa di aver assunto come assistente il fratello (piccolo particolare: Bono non ha un fratello).
Ad inizio gennaio Crosetto aveva definito i 5 Stelle “una setta verticistica antidemocratica basata sull’estetica“.
Non proprio il partito con cui fare un’alleanza di governo insomma. Anche perchè Crosetto ha detto che il MoVimento 5 Stelle «non ha un contenuto, crea il suo programma vedendo su Internet l’umore delle persone» sottolineando la necessità di contrapporvi un progetto di società serio.
L’amore è senza dubbio ricambiato, nel 2014 il M5S alla Camera indicava Crosetto tra i responsabili della creazione e del potenziamento di Equitalia.
Se non altro una volta dalla stessa parte della barricata Crosetto e i parlamentari 5 Stelle avranno di che discutere.
Intanto il capo politico del M5s, Luigi Di Maio, ha incontrato per circa un’ora nel pomeriggio la leader di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni.
La Meloni, alla fine dell’incontro, non ha rilasciato dichiarazioni.
(da “NextQuotidiano”)
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Maggio 11th, 2018 Riccardo Fucile
LA GRILLINA LEZZI: “MEDIASET AZIENDA IMPORTANTE, NESSUNA NORMA CONTRO BERLUSCONI”
Il primo balletto, sì-no-forse, è quello sul conflitto di interessi. Il grande nodo morale e politico riguarda invece gli immigrati.
Per quanto riguarda il reddito di cittadinanza, flat tax e legge Fornero incombono le cifre. Ed è così che la stesura del contratto di governo M5s-Lega si sta rilevando in realtà più complicata del previsto.
La normativa che limiterebbe il potere politico e mediatico del leader di Forza Italia è il tema più delicato se si pensa che il Movimento 5 Stelle deve togliersi di dosso l’accusa che dietro all’esecutivo giallo-verde ci sia la presenza di Silvio Berlusconi. Luigi Di Maio lascia il suo ufficio dopo l’incontro con Matteo Salvini e davanti ai cronisti non ha dubbi: “Conflitto di interessi? Anche Giancarlo Giorgetti ne ha parlato. Ci sono ampie convergenze”.
Giorgetti è il coordinatore per la Lega del tavolo tecnico, che si occupa della stesura del contratto, sarebbe dunque una garanzia se non fosse che dichiarazioni ufficiali in tal senso non ce ne sono. Anzi, tutt’altro.
Nella nota scritta da Salvini, e non più cofirmata con M5s, dopo il colloquio non vi è traccia della legge sul conflitto di interessi tra i punti del programma.
Alla senatrice M5s Barbara Lezzi spetta l’arduo compito di barcamenarsi in questo ginepraio: “È una norma di civiltà ” e “non sarà una legge contro Berlusconi. Nessuna vendetta nè strategia punitiva nei confronti di Mediaset che è un’azienda importante del paese”.
Un salto mortale quasi che serve a rassicurare la base grillina in subbuglio e a fare in modo che Salvini riesca a rimanere in equilibrio tra l’accordo di governo con M5s e l’alleanza con Forza Italia fuori da Palazzo Chigi.
Entrambi i contraenti rassicurano che si stanno facendo passi in avanti.
Il leghista elenca quelle che per lui sono le priorità e la legge sul conflitto di interessi, appunto, non c’è.
Parla di cancellazione della legge Fornero, mentre i 5 Stelle sono più cauti e puntano più su un “superamento” perchè sanno che le cifre parlano chiaro.
Per questo, lo staff grillino, si affretta a precisare che non ci saranno forzature sul deficit. L’obiettivo iniziale, viene spiegato, è quello di rispettare i target e non superare l’1,5%.
Se ci sarà necessità di sforare sarà discusso con la Ue perchè non c’è nessuna volontà di forzare contro i partner europei. L’idea è quella di “procedere con garbo” da parte di un governo che sarà “razionale e ragionevole”. Parole distanti dalla propaganda elettorale e dalla linea leghista, che ribadisce tra i punti del programma: “Difendere l’Italia in Europa”.
Non si riesce a trovare un accordo sul tema dell’immigrazione. “Ci sono sensibilità diverse”, così viene sintetizzata la trattativa in corso.
Nel 2014 il blog di Beppe Grillo aveva votato per la cancellazione del reato di immigrazione clandestina. La Lega chiede di mantenerlo.
Il Carroccio vuole aumentare le espulsioni e gli M5s invece nel loro programma della campagna elettorale parlavano di “rimpatri volontari”.
Nodi questi che restano da sciogliere insieme a quelli sulle grandi opere. Basti pensare alle posizioni diametralmente opposte sulla Tav.
Tutti d’accordo invece sul taglio tasse e della burocrazia, sul tagliare sprechi e privilegi, chiudere le liti fra cittadini ed Equitalia.
Ma tutto questo ha un costo, insieme alla realizzazione del reddito di cittadinanza e della flat tax, quest’ultimo tanto cara alla Lega.
In tv è stato Nicola Morra ad attaccare questo strumento per rivendicare la necessità di una fiscalità progressiva “come vuole la nostra Costituzione”, e non di una tassa unica, come in campagna elettorale.
La richiesta dei 5Stelle è che si proceda per gradi, i leghisti dal canto loro chiedono che il reddito di cittadinanza duri solo due anni.
L’intesa su questi due punti è praticamente chiusa. Ammesso che si trovino le coperture.
(da “Huffingtonpost”)
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Maggio 11th, 2018 Riccardo Fucile
DISTANTI SUI TEMI UE TRA MONITI DI DRAGHI E TIMORI DI JUNCKER
Proprio mentre dal convegno fiorentino ‘State of the Union’ Jean Claude Juncker e Antonio Tajani
esprimono le preoccupazioni europee su un governo dei “populismi” in Italia e Mario Draghi rilancia il tema dei valori europei e delle riforme, a Roma Luigi Di Maio e Matteo Salvini si incontrano ancora, alla ricerca di un’intesa di governo.
E, proprio sull’Europa, ancora non ci siamo. Anzi: c’è l’Ue tra il leader pentastellato e il leader leghista, quasi un terzo incomodo che spinge il primo a produrre rassicurazioni, mentre il secondo ci sta scomodo nella parte di chi per andare al governo deve rassicurare le Cancellerie.
E infatti dopo il faccia a faccia, partono due note separate: una del Movimento, una della Lega.
E se Di Maio rassicura sul rispetto delle regole sul deficit, Salvini tace su questo e rilancia contro gli sbarchi e per l’aumento delle espulsioni “per difendere l’Italia in Europa”.
Un linguaggio diverso che colpisce, visto che separa i due contraenti del nuovo patto di governo giallo-verde.
Evidentemente divisi per toni e giudizi sul nascere della nuova alleanza. Dopo l’incontro tra Salvini e Di Maio negli uffici del leader pentastellato alla Camera, i luogotenenti del M5s sono solerti a spiegare che con l’Ue il nuovo esecutivo “procederà con garbo” e approccio “razionale, ragionevole”.
E ancora: non ci saranno forzature sul deficit, l’obiettivo iniziale è di rispettare i target, ogni eventuale necessità di sforare verrà discussa con gli altri partner europei.
Un approccio che, in quanto a cautela, supera addirittura il linguaggio del Matteo Renzi prima maniera, quello del 2014, quello della lingua biforcuta contro i burocrati europei.
E’ l’approccio moderato scelto da Di Maio anche sui bombardamenti di Trump in Siria a metà aprile: allora, si faceva fatica a vedere delle differenze tra la posizione dei pentastellati e quella del governo Gentiloni.
Mentre già allora Salvini giocò a distinguersi, criticando le bombe americane, spezzando più di una lancia a favore di Putin, facendo spiegare poi ai suoi in aula che non è in discussione l’adesione dell’Italia alla Nato, ma l’attacco a stelle e strisce su Damasco, sostenuto da Londra e Parigi, non si può definire iniziativa dell’Alleanza ma di soli tre paesi.
Ora sull’Ue ci sono le avvisaglie delle stesse fratture.
Di Maio non abbandona l’approccio moderato che lo ha contraddistinto dall’inizio di questa crisi politica, lo stesso approccio che all’uscita del primo giro di consultazioni al Quirinale lo portò a chiarire davanti alle telecamere: “Restiamo nel Patto Atlantico, nell’Unione Europea e monetaria”.
E’ il taglio che si è scelto per facilitare l’approdo a Palazzo Chigi.
Salvini non lo contesta esplicitamente, perchè non vuole mandare all’aria la trattativa di governo, ma certo tra i suoi girano tanti interrogativi sulla possibilità , da qui alle europee dell’anno prossimo, di mettere su una campagna elettorale con le parole d’ordine della Lega e dei suoi alleati: da Marine Le Pen a Nigel Farage e tutti i movimenti sovranisti dell’est Europa.
Un bel problema, soprattutto dopo il monito di ieri di Sergio Mattarella, l’arbitro che dovrà dare l’ok alla proposta di governo giallo-verde, quando arriverà .
Dall’Ue in effetti si intensificano le preoccupazioni, a rimorchio degli avvertimenti espressi ieri dal presidente della Repubblica Mattarella contro i sovranismi e i populismi.
In Europa “tutti guardano con grande attenzione a quello che succede in Italia — dice da Firenze il presidente del Parlamento Ue Antonio Tajani – l’Italia è un Paese fondamentale” in Europa ma che ha i problemi di un “altissimo debito pubblico e di un’altissima disoccupazione giovanile”.
E dopo la Brexit servirà un ruolo più importante per Italia e Spagna: “Questa sarà la sfida per il nuovo governo…”. Quanto a Forza Italia: “Se c’è qualcuno che vuole fare il governo nell’interesse dell’Italia lo faccia, altrimenti si sarebbe dovuti andare alle elezioni anticipate il 22 luglio, ma il mio partito non sostiene questo governo”. Chiaro.
Del resto anche ieri a Montecitorio, l’assegnazione del premio Guido Carli alla presenza — tra gli altri – di Gianni Letta, Fedele Confalonieri, Beatrice Lorenzin, Maria Elena Boschi, è stata occasione per Letta per sottolineare l’importanza degli impegni europei per l’Italia, l’impegno di Guido Carli, allora ministro del Tesoro del governo Andreotti, che “firmando il Trattato di Maastricht fece gli interessi dell’Italia”. Insomma, vincoli Ue come binario da seguire per limitare le tendenze del Belpaese allo sforamento.
“Populisti e nazionalisti hanno avuto materia per alimentare i loro sentimenti e aumentare il distacco dagli altri” a causa della crisi migratoria, dice da Firenze il presidente della Commissione Ue Juncker. Così la “solidarietà si sfilaccia e si perde poco a poco” e i Paesi del Nord Europa, per indicare quelli del Sud che affrontano il flusso dei profughi, hanno “riscoperto un’espressione che detesto: il club del Mediterraneo”. Invece “la solidarietà fa parte del patto fondativo dell’Europa”.
A Firenze c’è anche Mario Draghi che non si sbilancia nelle preoccupazioni sull’Italia ma rilancia sulla necessità di trovare l’antidoto ai populismi: proseguendo con le riforme dell’Ue. “Tre quarti dei cittadini dell’Eurozona ora sono a favore della moneta unica – dice il governatore della Bce – I cittadini europei si aspettano che l’euro dia la stabilità e la prosperità promesse”, “è nostro dovere, come autorità , ricambiare la loro fiducia”.
La cappa europea pesa sul dialogo tra Salvini e Di Maio. Basti vedere, per dire, la risposta di un deputato leghista, il pugliese Rossano Sasso, all’invito inviato da Emma Bonino a tutti i parlamentari. Oggetto: una raccolta di firme per con l’Ice (Iniziativa dei cittadini europei) sui temi della solidarietà e dell’immigrazione.
(da “Huffingtonpost”)
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Maggio 11th, 2018 Riccardo Fucile
FORZA ITALIA TRA ASTENSIONE E VOTO CONTRO IL GOVERNO: “ESECUTIVO NON CI APPARTIENE”… IL GRUPPO PARLAMENTARE E’ PER VOTARE CONTRO SENZA SE E SENZA MA
Enigma Forza Italia. Mentre il dialogo tra Lega e Movimento Cinque Stelle va avanti tra molti ostacoli, ci si interroga sull’atteggiamento che il partito del Cavaliere assumerà nei confronti del nuovo governo.
E Silvio Berlusconi, combattuto tra astenersi o votare contro la fiducia, in serata rivela tutti i suoi timori sul futuro esecutivo giallo-verde: “Spero che Salvini e Di Maio non vadano avanti perchè metteranno la patrimoniale”, dice ai cronisti mentre visita la mostra mercato dell’antiquariato a Milano (dove ha comprato un disegno di Chagall). Però ammorbidisce i toni su Matteo Salvini: “Non è un traditore”. E conclude, attendista: “Vediamo come va”.
Rapporti difficili anche sull’asse Lega-Fratelli d’Italia: “Cosa pensa Salvini del veto di Di Maio sul nostro partito?”, dice Giorgia Meloni.
La leader di Fratelli d’Italia ha incontrato il capo politico 5Stelle per un’ora: “Le ho spiegato le ragioni dell’esclusione di Fdi dal contratto”, è la versione di Di Maio. “Voleva un sì di Fratelli d’Italia alla sua premiership o a quella di un esponente M5S”, è la versione di Meloni.
Ma torniamo a Forza Italia. In attesa di nuovi dettagli su programma e premier, il partito in realtà è diviso.
Gli azzurri oscillano tra quella “benevolenza critica” di cui si è parlato nei giorni scorsi o un’opposizione dura e pura. Ciò che è certo è che il partito rivendica il suo ruolo di “vigile” su ogni provvedimento che verrà varato: “Il nuovo governo, se nasce – spiega Anna Maria Bernini, capogruppo di Forza Italia al Senato – non ci appartiene. Berlusconi con lungimiranza ha voluto sbloccare lo stallo politico”, ma quella che il suo partito farà in Parlamento sarà “un’opposizione costruttiva, anche se mai preconcetta”.
Le parole degli azzurri dimostrano quale sia la preoccupazione maggiore rispetto all’asse tra Matteo Salvini e Luigi Di Maio: “Vorrei sentire dire dagli amici della Lega – confessa Giovanni Toti – che questo è un governo che diamo al Paese perchè il Paese ne ha bisogno, ma che la coalizione di centrodestra non si spacca e andrà avanti per costruire nel tempo un’alternativa concreta di centrodestra”.
Il governatore della Liguria conferma inoltre che Forza Italia non ha ancora deciso se voterà o meno la fiducia al governo giallo-verde: “Decideremo dal programma, dalle priorità , dalle figure ministeriali e dal premier. Ma un’altra cosa che mi piacerebbe sentir dire alle forze parlamentari è che questa legge elettorale ha dato risultati scabrosi” e quindi va cambiata.
A spiegare chiaramente il dibattito interno al partito è il senatore Renato Schifani: “Nella base parlamentare c’è una maggioranza oltranzista che vuole prendere le distanze in maniera netta da questo esecutivo e chi pensa di non partecipare al voto”. Il passo indietro non è stato facile, ma “non si poteva apparire agli occhi degli italiani come quelli che impedivano un governo”.
Schifani poi nega l’esistenza di un’astensione benevola: “Astensione significa mani libere e noi vogliamo avere le mani libere”.
Il senatore Paolo Romani avverte: “Incalzeremo il governo sui temi cari al centrodestra e faremo sentire forte la nostra voce. Siamo il secondo gruppo più forte al Senato”.
Uno dei punti più controversi del programma di governo riguarderà il rapporto dell’Italia con l’Unione europea.
Dopo il monito di qualche giorno fa del presidente della Repubblica Sergio Mattarella sull’inattuabilità del sovranismo, anche il presidente del Parlamento europeo Antonio Tajani fa presente che in Europa “tutti guardano con grande attenzione a ciò che succede in Italia”, dal momento che il Paese soffre di un “altissimo debito pubblico e di un’altissima disoccupazione giovanile”.
(da “Huffingtonpost”)
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Maggio 11th, 2018 Riccardo Fucile
IL DIRETTORE GENERALE BCE PREOCCUPATO SULLA TENUTA DEL DEBITO ITALIANO AFFIDATO A SPROVVEDUTI
“Temo che gli italiani non siano consapevoli di dove si stanno dirigendo con il nuovo governo, se si
forma. I mercati finanziari potrebbero risvegliarli alle conseguenze. Ho paura che possa essere spiacevole“.
Parole che pesano come macigni, quelle del direttore generale della Bce per le operazioni di mercato, Francesco Papadia, riportate dal Corriere della Sera in edicola venerdì 11 maggio a proposito delle paure comunitarie sulla tenuta del debito italiano sotto il braccio del nuovo esecutivo.
E le dichiarazioni tanto programmatiche quanto generiche del leader pentastellato Luigi Di Maio su deficit e flat tax non bastano certo a cancellarle.
Secondo il Corsera, poi, Papadia non è una voce isolata e sarebbero in molti a chiedersi se anche a Roma si arriverà al “momento Syriza”, come ad Atene nell’estate 2015, e cosa deve accadere perchè accada che, sostiene via Solferino, “un governo, sotto la pressione dei mercati e dei risparmiatori, straccia le proprie promesse assurde e si concentra sul risanamento del Paese”.
Quella del Corsera non è certo una voce isolata.
A dare ampio al processo di formazione del governo italiano, è per esempio il Financial Times che occupa gran parte della pagina 2 con un articolo di cronaca sui “progressi” dell’alleanza Lega-5 Stelle ed un’analisi sulle conseguenze in Europa di tale intesa.
“I partiti populisti vicini a formare un’alleanza”, è il titolo dell’articolo di cronaca che racconta l’avvicinamento tra i due partiti, e sottolinea come sia “considerato il risultato più destabilizzante per l’Eurozona, perchè entrambi hanno attaccato le regole Ue di bilancio, la regolamentazione bancaria, gli accordi commerciali e le sanzioni contro la Russia”.
L’analisi espande questa tesi, argomentando sulle conseguenze di un governo giallo-verde: “Il duo anti-establishment testerà l’armonia della Ue”, annuncia il titolo. E passa in rassegna tutti i temi controversi che, fin dalla campagna elettorale, hanno messo le due forze in rotta di collisione con la Ue. Anche in politica estera su cui “c’è poco dubbio” che porterà l’Italia “lontana da Bruxelles e Washington e più vicina alle posizioni di Mosca“.
(da “Huffingtonpost”)
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Maggio 11th, 2018 Riccardo Fucile
PER LA LEGA LA CHIUSURA DEL SITO E’ INACCETTABILE, PER IL M5S E’ UNA OPZIONE POSSIBILE
Tra i temi al centro delle trattative tra Lega e M5S nei palazzi romani c’è una grande incognita: l’Ilva di Taranto.
Tecnici e parlamentari al lavoro sul contratto di governo non hanno lesinato annunci roboanti su Flat tax e reddito di cittadinanza, ma sembra abbiano inizialmente sottovalutato la prima grossa grana che arriverà sui tavoli di Palazzo Chigi e del Mise appena il nuovo governo avrà ottenuto la fiducia delle due Camere.
Perchè l’ultimo disperato tentativo del ministro uscente Calenda di far digerire ai sindacati una buona dose di esuberi nell’accordo con l’acquirente Arcelor Mittal è naufragato: “La palla passa al nuovo esecutivo”, ha detto appigliandosi all’accusa del sindacato Usb di non essere più legittimato a trattare per conto del Governo.
Secondo quanto riporta l’AdnKronos, è proprio sul dossier Ilva che si sarebbero registrate le maggiori frizioni tra Di Maio e Salvini; secondo fonti M5S sentite dall’Ansa il nodo ancora non è emerso nelle trattative ma le posizioni “sono da conciliare”.
Breve passo indietro.
L’ultimo vertice tra Governo e sindacati è fallito sulla proposta Mittal, in buona parte rimasta immutata negli ultimi mesi sul nervo scoperto degli esuberi: l’azienda ha assicurato assunzioni di 10mila dipendenti su 14mila.
I restanti sarebbero così ripartiti: 2300 da destinare all’amministrazione straordinaria per le bonifiche del sito di Taranto mentre gli altri 1500 sarebbero andati a rotazione in cassa integrazione nell’organico di una newco, “La Società per Taranto”, nata dalla vecchia Ilva e da Invitalia, società di investimenti del ministero dell’Economia a cui sarebbero state assegnate da Mittal le attività da esternalizzare fino a giugno 2021 con l’impegno, però, del Mise a garantire l’occupazione a tempo indeterminato entro il 2023.
Proposta bocciata dai sindacati che chiedono la tutela occupazionale di tutto l’organico Ilva e non si fidano delle garanzie su pezzi di carta, per giunta in una fase di avvicendamento governativo. Tra populismi sindacali e populismi ministeriali, in pratica, la trattativa si è nuovamente arenata.
Calenda, dopo la fumata nera, si è chiamato fuori passando la palla al nuovo governo. E la grana ora è tutta nelle mani del Movimento 5 Stelle e della Lega che sulla riqualificazione di un asset industriale fondamentale per l’Italia, la più grande acciaieria d’Europa, hanno posizioni discordanti.
E dovranno trovare una quadra a breve, entro giugno quando scadranno i termini per l’intesa con Mittal o comunque entro metà luglio, quando finiranno le risorse in dote all’amministrazione straordinaria per tenere in piedi la produzione d’acciaio, come ha ricordato Calenda.
“Sostenere che l’Ilva va chiusa è inaccettabile”, hanno fatto sapere gli esponenti locali della Lega. “Ci vuole buon senso – ha sottolineato il parlamentare del Carroccio Rossano Sasso – nessun posto di lavoro deve andare perso, così come non si può perdere o far scappare l’acquirente. Sostenere che l’Ilva va chiusa è inaccettabile, come lo è sostenere che le cose debbano restare così. Occorre mettersi subito al lavoro”.
Ecco, la chiusura è inaccettabile per i leghisti.
Per i grillini è invece nel ventaglio delle possibili opzioni. Per Ilva “quello che vogliamo fare è tenere tutte le opzioni aperte, inclusa la chiusura graduale e la riconversione economica”, ha detto il “ministro” M5S allo Sviluppo Fioramonti solo qualche giorno fa.
Spingendosi oltre: “Valuteremo nel complesso il costo della chiusura. Se eccessivo non lo faremo – ha proseguito Fioramonti -. Noi abbiamo paura che si sia dato per scontato che Ilva debba proseguire comunque a prescindere da tutto, che si sia fatto un accordo al ribasso, che pagheranno i tarantini che continueranno a morire, i lavoratori e i contribuenti”.
Va poi ricordato l’emendamento presentato in commissione Petizioni del Parlamento europeo dall’eurodeputata grillina Rosa D’Amato per l’immediata riconversione industriale incentrato sulla produzione e l’uso delle energie rinnovabili del sito siderurgico.
Proposta che venne bocciata: una interruzione delle attività di Ilva significa condannarla alla chiusura.
Non a caso anche tra i grillini è andato in scena, a febbraio scorso, un indiretto botta e risposta tra Di Maio e gli esponenti locali.
Nel corso della sua visita a Taranto, il leader M5S aveva detto che “l’Ilva è una realtà che deve continuare a dare posti di lavoro e ne deve dare più di quelli che sta dando. È per questo che noi crediamo in un piano di riconversione industriale e di bonifiche”, da attuare con un cronoprogramma, anche se servono “5-10 anni”, aveva detto Di Maio.
Parole che lasciavano spazio a dubbi sulle modalità da attuare per la riconversione: chiusura parziale o totale dei forni?
Il giorno dopo il Movimento 5 Stelle uscì con una nota: “La nostra posizione è chiara: una riconversione economica passa ovviamente dalla chiusura delle fonti inquinanti, senza le quali le bonifiche sarebbero inutili. Il Movimento garantirà ai cittadini di Taranto e a tutti i lavoratori impiegati un passaggio che non sarà traumatico ma garante sia della salute che del reddito per i lavoratori”.
Come debbano essere sostenuti i “redditi” dei lavoratori Ilva però non è chiaro.
Certo, l’interruzione delle attività dell’acciaieria per cinque o dieci anni è ipotesi impraticabile sotto il profilo industriale e non può che far gioire i diretti concorrenti stranieri, tra cui c’è anche il più grande produttore mondiale d’acciaio, l’indiano Arcelor Mittal che ha vinto la gara per Taranto contro l’alleanza Jindal – Cassa depositi e prestiti.
(da “Huffingtonpost”)
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Maggio 11th, 2018 Riccardo Fucile
NESSUN RAPPORTO CON DOMENICO SPADA? QUESTI MESSAGGI DIMOSTRANO IL CONTRARIO
È il 17 agosto 2015. 
Domenico Spada, detto Vulcano, pugile affermato, è ai domiciliari. Pochi mesi prima era stato raggiunto da un’ordinanza di custodia cautelare per usura ed estorsione, una delle classiche storie che da decenni accompagnano la fama dei Casamonica, il clan storicamente presente tra la zona della Romanina e i comuni di Marino e Frascati. Vulcano si sente un leone in gabbia, scalpita, protesta.
Su Facebook mette la foto di un sacco per pugilato griffato: «Questo sarà uno dei miei regali quando festeggerò la mia libertà !!!».
Ricchezza ostentata, come spesso capita con la grande famiglia Sinti.
«A proposito di sacchi, ricordati che devo portarti i tuoi imballati, ce li ho in garage perchè ho chiuso il magazzino», risponde, prosaicamente, un amico di vecchia data.
Si chiama Emanuele Dessì, oggi senatore per il Movimento 5 stelle, vicinissimo a Roberta Lombardi e politico che conta nell’area a sud di Roma.
La risposta di Spada arriva dopo poco: «Io mi ricordo benissimo!!! Hahahahahha cmq se non hai posto portali alla Vulcano gym (la palestra di Spada a Marino, ndr)!!! Avvertimi prima e grazie di tutto!!!».
Quando prima delle elezioni era apparso il video che vedeva impegnato Emanuele Dessì in un balletto con Spada, il senatore si era difeso, assicurando che i suoi rapporti con il pugile erano occasionali, e che erano terminati dopo l’arresto, avvenuto alla fine del 2014: «Sono andato a vedere come si allenava, mi interessava il suo talento. Io non frequentavo nessun clan Spada, non frequentavo gli Spada, io andavo a vedere come si allenava un pugile campione italiano che si chiama Domenico Spada».
Il 30 gennaio scorso — subito dopo la diffusione del video — scrive su Facebook: «Dopo l’avvio dell’indagine, avvenuta successivamente, nel 2015, chiaramente non c’è stato più alcun rapporto, neanche sportivo». Forse aveva dimenticato quei sacchi del pugile “in garage”.
In seguito alla diffusione del video il Movimento 5 stelle lo aveva scaricato. Subito dopo le elezioni le cose sono però cambiate: «Non è stato riscontrato alcun profilo di incompatibilità , nè sono emersi elementi di natura penale, civile o anche fiscale che impediscano a Dessì di partecipare alla vita politica del gruppo in cui è stato regolarmente eletto», ha spiegato il capogruppo al Senato Danilo Toninelli .
Caso chiuso, dunque. L’amicizia con uno degli esponenti del gruppo Casamonica non è un problema.
Domenico Spada non è solo un pugile. E’ stato condannato in primo grado a sette anni di reclusione per usura ed estorsione nei confronti di due commercianti romani (l’appello è in corso), insieme ad Antonietta Casamonica.
Non ha mai amato i giornalisti, tanto da scrivere sui social “Federica Angeli sei tu la vergogna di questo paese” quando la collega di Repubblica ha denunciato pubblicamente le minacce ricevute dagli Spada di Ostia.
Il padre Angelo — socio al 50 per cento della palestra Vulcano Gym di Marino, gestita da Domenico Spada — è stato anche lui condannato a otto anni di carcere in primo grado per gli stessi fatti di usura.
I suoi rapporti con Dessì appaiono — secondo i tanti post e commenti sui social — molto stretti: «Sei un grande, un salutone a Rosa» scrive con entusiasmo nel 2014 il senatore; «Grazie presidente ti risaluta la mi mamma!!», risponde subito Domenico Spada.
E poi un fiume di like, commenti che mostrano un rapporto stretto. Quando Spada pubblica la foto di una piazza di Frascati — città dove Emanuele Dessì era consigliere comunale fino a poco tempo fa — la risposta che riceve dall’amico senatore è chiara: «Ma che stai a Frascati? Passa a trovarmi…».
Emanuele Dessì, contattato da L’Espresso, non ha voluto commentare.
(da “L’Espresso”)
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Maggio 11th, 2018 Riccardo Fucile
SCENE DA FAR WEST ALLA COOP DI MADONNA ALTA, IL NIGERIANO COLPITO E MINACCIATO DA DUE UOMINI… IL RAGAZZO HA I DOCUMENTI IN REGOLA ED E’ BENVOLUTO DA TUTTI
Per i dipendenti della Coop di Madonna Alta, nella prima periferia di Perugia, Robert, lo chiameremo così anche se il suo nome in realtà è un altro, ormai è uno di casa.
Se ne sta là , alla porta, tutti i giorni, a chiedere qualche spicciolo ai clienti che escono. Lo fa con dignità e gentilezza.
Ieri pomeriggio, poco prima dell’orario di chiusura, Robert ha visto qualcosa che non lo convinceva. Dal supermercato sono usciti due uomini con delle borse piene di scarpe, che appena fuori se la sono data a gambe.
Così Robert è entrato: in fila alla cassa c’erano altri due uomin maghrebini , pure loro con borse colme in maniera sospetta.
Robert ha avvertito le cassiere, che hanno avviato la procedura standard: porte serrate e richiesta d’intervento inoltrata alle forze dell’ordine.
I due hanno capito, e se la sono presa con Robert. Lo hanno picchiato, lo hanno, a quanto pare, minacciato. Sono intervenuti dipendenti e clienti, “una scena da Far West”, dice oggi uno di loro. Poi è arrivata la polizia, che ha fermato i due malintenzionati.
Stamattina Robert non s’è visto. Forse ha paura, perchè certe minacce fanno paura anche a chi ne ha viste di cotte e di crude come lui, ed ecco perchè per raccontarvi questa storia non usiamo il suo vero nome.
Robert non ha ancora trent’anni, è nato in Nigeria, da dove è partito lasciando una moglie e una figlia per venire a cercare fortuna in Europa.
Ha attraversato mezza Africa, il Mediterraneo, è sbarcato in Italia, è arrivato a Perugia.
È entrato in un programma di accoglienza, ha presentato richiesta d’asilo, sta aspettando che l’iter di fronte alla giustizia italiana faccia il proprio corso. Coi documenti è in regola.
Ora vive nel limbo, un limbo esistenziale prima ancora che giuridico, come moltissimi altri migranti nel nostro Paese. Passa le sue giornate a chiedere monete fuori da un supermercato perugino in attesa che nella sua vita qualcosa cambi, in attesa di trovare un lavoro vero che gli permetta di farsi raggiungere dalla sua famiglia.
“Quando può spazza il piazzale, porta la spesa agli anziani, è sempre gentile con tutti, cerca di essere d’aiuto in ogni modo”, dice un dipendente della struttura.”È un ragazzo perbene”.
E adesso la Coop vuole premiarlo. “Si meriterà un encomio ufficiale e un sostanzioso buono spesa”, dice Daniele Ercolani, presidente del comitato soci dei negozi di Madonna Alta e Fontivegge. “Anche perchè non è la prima volta che fa cose del genere. Non più tardi di un mese fa ha bloccato un altro tentativo di furto. E tutti i nostri clienti gli sono molto affezionati. I suoi valori sono evidentemente gli stessi nostri valori”.
(da “Huffingtonpost”)
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