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ALTA TENSIONE SALVINI-DI MAIO: “RISCHIAMO DI DIVENTARE GLI ZIMBELLI DEL PAESE”

Dicembre 13th, 2018 Riccardo Fucile

CALANO I SOLDI DEL REDDITO DI CITTADINANZA DA 9 A 7,5 MILIARDI, SCENDONO DI 2 MILIARDI I SOLDI PER QUOTA 100 TRA ACCUSE RECIPROCHE… E CON CONTE CHE NON HA PRESENTATO ALLA UE UN ARTICOLATO CON IMPEGNI PRECISI MA SOLO   PUNTI GENERICI

“Ci avete portato voi in questo cul de sac, ora trovate il modo di uscirne, noi abbiamo dato”. Da ieri sera il quartier generale della Lega è irritato con il Movimento 5 stelle. Nella cena andata in scena in un freddo giovedì sera romano Matteo Salvini e Luigi Di Maio si sono guardati con sospetto.
Il Carroccio sventola in faccia agli alleati le foto del balcone di Palazzo Chigi, oggi diventate disturbanti: “Si doveva procedere con più cautela, ora rischiamo di diventare lo zimbello del paese”.
È da qui che parte il film della giornata.
È una trattativa che va avanti su due gambe quella intorno alla legge di bilancio.
La prima è quella con Bruxelles. Giovanni Tria è in Belgio, ha mandato di chiudere la partita evitando l’infrazione secondo le linee guida illustrate da Giuseppe Conte alla Commissione europea.
Un pacchetto che fa scendere il deficit fino al 2,04%, e che costa circa 7 miliardi da trovare in pochissimo tempo. Ma che non è stato sostanziato.
Il presidente del Consiglio ha infatti portato con sè nella capitale belga non un articolato di misure e commi già  nero su bianco, ma una serie di punti formulati più o meno genericamente sui quali avere il via libera. La manovra, quella vera, è tutta ancora da scrivere.
È da qui che si muove la seconda gamba. Quella che coinvolge gli alleati di governo. Sempre che di trattativa si possa parlare.
“Noi abbiamo già  dato”, ha tagliato corto Salvini, riferendosi ai circa due miliardi che verranno risparmiati dalla riforma delle pensioni, ora tocca a voi. Perchè toccare le risorse del reddito di cittadinanza non dà  nessuna garanzia di poter mantenere inalterata la platea e di non toccare l’importo degli assegni erogati.
Sono ore di continue riunioni della war room 5 stelle.
In transatlantico alla Camera appare fugacemente Laura Castelli, tenutaria del dossier. Il nervosismo è palese, la voglia di parlare pressochè nulla.
Fonti di Palazzo Chigi spiegano in mattinata che “nella valutazione della platea si è inserito un aggiustamento del 10% dovuto a un fattore statistico. Se sono 100 ad averne diritto, non significa che siano poi effettivamente tutti e 100 a fare concretamente la domanda”.
Una riduzione dei possibili beneficiari per sbadataggine o inadempienza. Alla fine una fonte di primo piano conferma ad Huffpost: “Lo stanziamento previsto sarà  di 7,5 miliardi nel 2019, e di 8 per i due successivi”. Un calo sensibile rispetto ai 9 miliardi per anno previsti dall’attuale formulazione.
Attuata la retromarcia, per il Movimento è fondamentale ribadire che nulla verrà  mutato. Mani avanti per dire che il taglio dei fondi sarà  indolore ai fini dei paletti già  piantati, ma necessario per evitare l’eurostangata.
La situazione è intricatissima, con Conte e Tria a negoziare a Bruxelles e con i due vicepremier che si inabissano e continuano a lavorare affinchè i rispettivi universi paralleli rimangano intonsi e sereni.
Per la metà  della settimana prossima è fissata l’ora X: quella nella quale al Senato andrà  presentato il maxi emendamento che riscriverà  la manovra.
Il percorso è impervio e non privo di ostacoli, la corsa affannosa, la modifica delle misure madre provoca a cascata un ripensamento di tutte le altre.
E tra i due leader di partito le nubi continuano a essere dense.

(da “Huffingtonpost”)

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DAL BALCONE ALLA TRATTORIA: SALVINI E DI MAIO SUONANO LA RITIRATA NELLA CAMPAGNA D’EUROPA

Dicembre 13th, 2018 Riccardo Fucile

MEGLIO TIRARE A CAMPARE FINO ALLE EUROPEE, MA AGLI ITALIANI LA LORO ARROGANZA E’ COSTATA UN MILIARDO IN 80 GIORNI

Due momenti, due luoghi, due immagini. Due dettagli per il tutto.
Gli ultimi 80 giorni della fallimentare campagna d’Europa di Salvini e Di Maio si riassumono in due scatti iconici.
Il primo, il 27 settembre, l’inizio della storia, il guanto di sfida lanciato in faccia agli euroburocrati di Bruxelles: Di Maio che con gli occhi spiritati si affaccia dall’elegante balcone di palazzo Chigi esultando per aver sconfitto il “Cerbero” Tria, incassato il deficit/pil al 2,4% e “abolito la povertà “.
Il secondo, il 12 dicembre, la fine o quasi della disfida, la resa ai tecnici della Commissione europea: i due vicepremier che a notte fonda escono assieme al premier Conte da una ruspante trattoria romana, una di quelle da coda alla vaccinara a 13 euro, i musi lunghi e le facce tirate, il silenzio-assenso alle domande dei cronisti sui 7 miliardi sacrificati sull’altare di Bruxelles, “parla Conte, chiedete a Conte”.
La ritirata è evidente. Perchè di ritirata si parla.
Non è l’inizio della fine del governo gialloverde – chi ci spera ne resterà  deluso – nè l’inizio della “normalizzazione” di Lega e M5s.
Altamente improbabile una crisi di governo, almeno fino alle elezioni europee.
Perchè la scelta di cedere sui conti pubblici alle richieste di Bruxelles non è il colpo destinato a far vacillare i due dioscuri gialloverdi bensì l’esatto contrario. È la scelta, a malincuore ma ponderata, di fare un passo indietro per salvare le penne invece che rimettercele.
L’intento tutt’altro che nobile di preferire il tirare a campare invece che tirare le cuoia. Il giorno in cui i due leader si svegliano meno Churchill e più Andreotti.
Insomma, per i due il tanto temuto Tsipras moment, per dirla alla Monti, è arrivato. Ovvero quello specifico momento in cui il premier greco, fattosi eleggere per contrastare la troika europea, si è invece accucciato a più miti consigli e accettato la cura da cavallo imposta da palazzo Berlaymont, altro che sogno rivoluzionario in terra ellenica.
Per i due sovran-populisti italici la campanella è scoccata quando, qualche giorno fa, l’Istat ha certificato che la già  flebile spinta dell’economia non solo si è fermata ma ha anche cambiato verso e di conseguenza il teorico del cigno nero, il ministro Savona, ha per la prima volta pronunciato la parolina più temuta dagli economisti: recessione. Lì matura la retromarcia.
Salvini e Di Maio capiscono di non potersi permettere un 2019, anno elettorale, che parta con tre micce pronte ad innescare la stessa bomba: crescita stagnante, procedura d’infrazione con l’Europa e spesa pubblica a profusione.
Laddove la bomba si chiama spread e la cui esplosione ha come unico effetto fare andare in fumo buona parte dei risparmi degli italiani.
Quindi meglio alzare il piede dall’acceleratore, rallentare e mettersi in andatura di crociera, tanto se nei prossimi sei mesi le cose non andranno bene e l’auto deraglia la colpa sarà  attribuita sempre all’arcigna e matrigna Europa.
Poi, dopo le Europee, si vedrà . Politicamente si entrerà  in una nuova era geologica.
Intanto però in questi 80 giorni le sole parole di fuoco di leghisti e pentastellati, come ha ricordato più volte il governatore Bce Draghi, hanno già  fatto danni
Hanno costretto lo stato – e quindi noi contribuenti – a pagare più soldi per interessi per quasi un miliardo, vista l’impennata dello spread.
anno costretto le famiglie che hanno acceso nuovi mutui a contrattare tassi più alti. Hanno costretto le banche a vedere i propri corsi azionari prendere più di un capitombolo a Piazza Affari.
Tutto ciò per 80 giorni di propaganda a uso elettorale.
Ma si sa, tanto per la politica a pagare è sempre Pantalone. E Di Maio e Salvini non fanno eccezione.

(da “Huffingtonpost”)

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CASO MENSE A LODI, IL TRIBUNALE CONDANNA LA SINDACA LEGHISTA: “CONDIZIONI UGUALI PER TUTTI, IL REGOLAMENTO DISCRIMINA I FIGLI DEGLI IMMIGRATI”

Dicembre 13th, 2018 Riccardo Fucile

SE FOSSIMO UN PAESE CIVILE QUESTA SERA LA SINDACA SAREBBE COMMISSARIATA DAL MINISTERO DEGLI INTERNI …E LA CORTE DEI CONTI ORA PROCEDA A CHIEDERE I DANNI A CHI HA VOTATO LA DELIBERA

Il Comune di Lodi è stato condannato per aver discriminato i bambini stranieri che chiedevano l’iscrizione al servizio di mensa scolastica.
Il giudice Nicola Di Plotti, con l’ordinanza appena pubblicata, ha ordinato al Comune di Lodi di “modificare il ‘Regolamento per l’accesso alle prestazioni sociali agevolate’ in modo da consentire ai cittadini non appartenenti all’Unione Europea di presentare la domanda di accesso a prestazioni sociali agevolate mediante la presentazione dell’ISEE alle stesse condizioni previste per i cittadini italiani e dell’Unione Europea in generale”.
Così si legge nel provvedimento con cui è stato accolto il ricorso dalla prima sezione del Tribunale di Milano a cui si erano rivolte alcune famiglie straniere residenti a Lodi con la tutela legale dell’Asgi, associazione studi giuridici sull’immigrazione, e dal Naga di Milano.
Il caso è noto: la giunta a guida leghista del piccolo Comune a sud di Milano aveva introdotto un regolamento che imponeva agli immigrati di far certificare nei Paesi d’origine l’assenza di proprietà  immobiliari. Certificazioni in lingua originale che le famiglie avevano ovviamente molta fatica ad avere anche solo perchè mancano in molti di quei paesi il Catasto e gli uffici pubblici che possono rilasciare i documenti. La vicenda era rapidamente salita alla ribalta della cronaca nazionale, con la sindaca Casanova a non cedere di un millimetro nonostante il moltiplicarsi delle proteste.
Nel giro di pochi giorrni ecco il coordinamento “Uguali doveri”, nato in sostegno delle famiglie straniere discriminate e promotore nelle scorse settimane di una raccolta fondi che, anche grazie al tam tam dei social, è riuscita a raccogliere più di 100mila euro e a garantire il servizio mensa ai circa 200 bimbi in questione.
Ora il giudice, accertata “la condotta discriminatoria del Comune di Lodi consistente nella modifica del regolamento con la delibera del Consiglio Comunale n. 28/2017, nella parte in cui si stabilisce che i cittadini non appartenenti all’Unione Europea, per accedere a prestazioni sociali agevolate, debbano produrre la certificazione rilasciata dalla competente autorità  dello Stato esterno, corredata di traduzione in italiano legalizzata dall’Autorità  consolare italiana”, ha condannato l’amministrazione a pagare 5mila euro per le spese processuali e intimato di cambiare il regolamento stesso, che escludeva in sostanza i bimbi immigrati dalla posisbilità  di accedere ai servizi scolastici – anche quelli del trasporto bus   – alle stesse condizioni previste per i cittadini italiani.
Nell’ordinanza si parla più volte della “condotta discriminatoria” della giunta di Lodi guidata dalla sindaca Sara Casanova e del “provvedimento che introduce una disparità  di trattamento emesso da un’autorità  che non ha il potere di assumere decisioni in proposito”.
Alberto Guariso e Livio Neri, i due legali che hanno presentato il ricorso e vinto la causa, commentano: “La decisione del Tribunale ripristina la parità  di trattamento che la legge prevede: italiani e stranieri devono seguire per accedere alle prestazioni sociali le medesime procedure e queste sono fissate dalle norme del 2013 sull’ISEE. E’ una vittoria della legalità  e della ragionevolezza”.
Di “una grande vittoria contro la discriminazione” parla anche il Coordinamento Uguali Doveri: “una grande sconfitta dell’amministrazione di centrodestra del Comune, guidata dalla Lega Nord, che in modo testardo ha creato un caso di discriminazione che è diventato di interesse nazionale”.
Sulla decisione del giudice molte le reazioni in casa Pd a partire dal capogruppo del Pd, Graziano Delrio: “Salvini chieda scusa perchè la condotta discriminatoria del sindaco leghista di Lodi è anche colpa della sua propaganda xenofoba. Mi auguro — conclude Delrio — che il sindaco sia tempestivo nell’eseguire l’ordine del tribunale e che modifichi immediatamente quel regolamento togliendo per sempre questa macchia xenofoba che la città  e i cittadini di Lodi non meritano”.

(da agenzie)

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IL CALL CENTER DELLA MELONI PER I PRESEPI VIETATI CHE NESSUNO HA VIETATO

Dicembre 13th, 2018 Riccardo Fucile

SE SCOVATE UN PRESEPE VIETATO CHIAMATE A OGNI ORA DEL GIORNO E DELLA NOTTE, UN GRANDE FRATELLO D’ITALIA ATTENDE LA VOSTRA DENUNCIA

Presepe vietato nella tua scuola? Chiama subito gli acchiappa-immigrazionisti!
L’idea è venuta a Daniele Rinaldi, ex consigliere municipale e dirigente romano del partito presepista della nazione, ovvero Fratelli d’Italia.
Ed è subito stata fatta propria da altri esponenti del partito di Meloni-chan come l’ex capogruppo capitolino e ora consigliere regionale Fabrizio Ghera.
Come è noto infatti sotto le feste una delle priorità  di Fratelli d’Italia è la difesa del “simbolo della nostra identità  culturale e religiosa” ovvero il presepe.
L’anno scorso Giorgia Meloni ha raccontato a tutti di essere diventata presepista dopo essere stata a lungo tempo una semplice alberista e aveva lanciato la rivoluzione del presepe.
Da allora la scenetta della Madonna con San Giuseppe, Gesù Bambino, il bue e l’asinello è diventato un chiodo fisso di Giorgia.
Proprio ieri la leader di FdI aveva utilizzato il presepe per spiegare a Salvini la geopolitica dicendo che se in Siria si fa ancora il presepe è merito di Hezbollah.
Ma siccome in Italia Hezbollah (che in italiano sarebbe Partito di Dio) non c’è, tocca a Fratelli d’Italia difendere le nostre tradizioni.
È un periodo questo in cui i politici sono spesso impegnati a girare per le scuole per controllare che nessun docente turbosorosiano si permetta di vietare canti di Natale, recite e presepi.
Fino ad ora però non è emerso nessuno caso, ed anzi tutti i casi segnalati negli anni scorsi erano delle clamorose bufale che sono state cavalcate ad arte.
Chissà  forse grazie al call-center di Fratelli d’Italia le cose andranno meglio e magari ci si potrà  iniziare a preoccupare dei veri problemi degli italiani.
Prendi la cornetta: il presepe di aspetta!

(da “NextQuotidiano”)

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LA COPPIA SALVINI-DI MAIO E’ SCOPPIATA, OGNUNO ATTENDE LA CRISI DI NERVI DELL’ALTRO PER DIRSI ADDIO

Dicembre 13th, 2018 Riccardo Fucile

I SILENZI DI SALVINI A CENA, LE TENSIONI SU OGNI DOSSIER, LA DEBOLEZZA DEL LEADER GRILLINO, LA RABBIA LEGHISTA SULLA MANOVRA

Perchè Matteo Salvini sa che il trucco non regge, quel “2,04” che la grande opinione pubblica confonde ancora col “2,4” sbandierato dal balcone di Palazzo Chigi.
Per questo era plumbeo durante la cena di mercoledì sera, taciturno, al punto da non avere neanche voglia di alzarsi a salutare un vecchio amico che si è presentato al tavolo, a differenza degli altri commensali.
E lo sa bene Luigi Di Maio, anche se è già  pronto a fare di necessità  virtù, spiegando che “la platea non si è ridotta e il reddito riguarderà  5 milioni di italiani”, con buona dose di fantasia contabile, perchè con sette miliardi di tagli almeno due vanno presi lì.
Però entrambi sanno che l’alternativa non c’è, come ripete il mite professor Conte, l’avvocato del popolo che ha sposato appieno la linea di difesa nazionale del Quirinale, per cui è “impensabile” che l’Italia vada sotto procedura di infrazione.
E c’è un motivo se, in parecchi, hanno avuto la sensazione che “per come si è messa a Matteo non dispiacerebbe se, a questo punto, saltasse tutto, anche se non può dirlo nè può fare in modo che accada”: le grandi opere bloccate, la flat tax rimasta un’intenzione, “quota cento” ridimensionata…
Ci vuole fantasia per spiegare oggi alle imprese che hanno manifestato che è una manovra sviluppista. E per spiegarlo anche al suo partito di leoni che ruggiscono alla vista dei sondaggi, ma costretti nella gabbia di questo governo.
È sempre più complicato ripetere che “dobbiamo reggere” a chi, come il capogruppo Molinari, l’altro giorno ha alzato la cornetta per dire che non se può più dopo l’attacco a freddo sui fondi della Lega, soprattutto perchè il leader della Lega, che cospargeva calma, era a sua volta alterato come una iena.
E ogni giorno ce n’è una. Bastava assistere al voto sull’Anticorruzione al Senato, con Luigi Di Maio che si è precipitato a palazzo Madama al momento dell’approvazione e i leghisti che prima non hanno neanche battuto le mani alla dichiarazione di voto dei Cinque Stelle, poi hanno fatto parlare, con un certo imbarazzo, una seconda fila e non il capogruppo.
E sembra un dettaglio, ma è sostanza, che anche questa volta è stata posta la “fiducia”, perchè il partito Di Maio temeva che, con qualche voto segreto, il partito di Salvini impallinasse il provvedimento, proprio come accaduto qualche settimana fa, a parti invertite, sul decreto sicurezza: “È sempre la solita storia — dice Francesco Verducci, senatore democratico che ne ha viste parecchie — perchè questi si mandano a quel paese tutti i giorni, vivono da separati in casa, ma alla fine trovano un accordo ognuno tutelando i suoi ambiti”.
E se nel Palazzo il tormentone è su quanto può durare così, la sensazione è che questo matrimonio in bianco duri, con ogni coniuge che spera nella crisi di nervi dell’altro, per ottenere semmai una separazione con addebito.
Alla buvette del Senato, Stefano Candiani, parlando con Simone Pillon, ragiona a voce alta: “Ma sai, quando la maionese impazzisce, non è che se giri dall’altra parte torna a posto. E loro (i Cinque stelle, ndr) sono una maionese impazzita, perchè noi stiamo realizzando quel che ci interessa, loro non sono all’altezza del ruolo. Vediamo se tengono”.
C’è del vero perchè proprio un paio di giorni fa, la potente struttura della comunicazione pentastellata, dopo un pomeriggio di riunioni ha concordato con Luigi Di Maio che da adesso la musica cambia e, come accaduto sulle imprese e sui fondi della Lega, si risponderà  colpo su colpo, perchè occorre recuperare in vista delle europee.
E occorre sedare un partito dove in parecchi invocano una “fase due”, imputando al leader pentastellato una disastrosa gestione della “fase 1”.
È tutto un parlare, da quelle parti, dei cedimenti di “Gigino”, al punto che un parlamentare della Lega, la sera del 21 novembre gli ha mandato un sms, tanto è rimasto colpito dai toni, per informarlo che, nel ristorante in cui si trovava, c’era un tavolo dove alcuni parlamentari dei Cinque Stelle parlavano a voce alta in modo assai poco lusinghiero delle sue capacità .
Però la ripresa di un certo vigore comunicativo non significa mettere in discussione il governo perchè, come dice Di Maio, “noi reggiamo e Salvini pure perchè sa che se fa il governo con Berlusconi perde dieci punti”.
E attenzione ai ragionamenti schematici, per cui gli italiani votano con le tasche e, poichè questa manovra non le riempie, i due partiti perderanno voti.
Il saggio Bersani avverte che non funziona così: “Diranno un sacco di balle dopo la manovra, però la molla della gente resta l’aspettativa. Cioè io che devo incassare il reddito, posso anche non incassarlo subito, ma dopo le europee, e la speranza di incassarlo è un incentivo a non mandarli a casa. Se invece me li hanno già  dati, paradossalmente, mi sento più libero. Non so se mi spiego”.
Ed è proprio su questo meccanismo di aspettativa che si intravedono già  i fuochi d’artificio, superato lo scoglio della manovra, in quest’era di paradossi, in cui il governo “tiene dentro maggioranza e opposizione”, come ebbe a dire Giancarlo Giorgetti qualche tempo fa, e il litigio non diventa mai crisi, ma prassi quotidiana.
In attesa che uno dei due coniugi perda la testa per primo, liberando l’altro.
Senza tante parole o chiarimenti.
Proprio come mercoledì sera, davanti a un piatto di puntarelle, con tanti silenzi, perchè non c’è più nulla da dire.

(da “Huffingtonpost”)

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L’ULTIMA ABIURA: DOPO ILVA E TAP VIA LIBERA ANCHE AL TERZO VALICO

Dicembre 13th, 2018 Riccardo Fucile

IL M5S CONTINUA A SMENTIRE LE SUE PROMESSE ELETTORALI

Dopo l’Ilva e la Tap arriva l’ennesima promessa disattesa dal M5s: i lavori per il Terzo Valico andranno avanti.
Ad annunciarlo il ministro Toninelli che spiega: “Il Terzo Valico non può che andare avanti. Ma farlo andare avanti non significa condurlo a termine così com’è, bensì rendere l’opera efficiente rispetto agli scopi”.
Il vertice del dicastero delle Infrastrutture ha reso nota su Facebook gli esiti dell’analisi costi-benefici: il costo dell’opera a finire “supererebbe i benefici per 1 miliardo e 576 milioni”, ma “il totale dei costi del recesso ammonterebbe a circa 1,2 mld di soldi pubblici”. Il documento a breve sarà  pubblicato integralmente.
Pochi giorni dopo le elezioni del 4 marzo i 5 Stelle avevano definito l’opera “inutile” e “devastante”.
Ha buon gioco la parlamentare ligure del Pd Raffaella Paita.   “La cosa grave _ dice _ è che Toninelli ha perso 6 mesi per dimostrare una cosa già  dimostrata nei fatti. E cioè che il valico è fondamentale e deve andare avanti esattamente come è stato progettato. Quanto alla realizzazione del retro porto di Alessandria non servono discorsi a vuoto ma risorse per realizzare bonifica bellica e ambientale. E lo sblocco delle opere collaterali. Non ho visto traccia di queste risorse nella manovra del governo. E oggi anzichè chiedere scusa per avere perso 6 mesi, Toninelli continua a raccontare bugie”.

(da agenzie)

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BUSSETTI, IL MINISTRO CHE NON ESISTE: CHI COMANDA DAVVERO NELLA SCUOLA ITALIA

Dicembre 13th, 2018 Riccardo Fucile

MENTRE IL “PRESTANOME” SI OCCUPA DI PRESEPI, CROCIFISSI E COMPITI PER LE VACANZE, AL MINISTERO COMANDANO IL SUPERBUROCRATE CHINE’ E L’ULTRA’ LEGHISTA VALDITARA (EX AN PENTITO)… LA MARCHETTA AI BARONI: VOGLIONO TOGLIERE OGNI VINCOLO A INCARICHI E CONSULENZE PRIVATE PER I PROF

Missione compiuta. Anche quest’anno la sacra famiglia può stare tranquilla. Garantisce Marco Bussetti.
Nel nome, parole sue, dei «nostri valori e delle nostre tradizioni», il ministro dell’Istruzione non ha esitato a spendersi personalmente in difesa del presepe, invitando le scuole di ogni ordine e grado a «non nasconderlo». Un classico.
Già  nel lontano 2004, dalla stessa poltrona di Bussetti, la berlusconiana Letizia Moratti pubblicò addirittura una lettera aperta sul tema, schierandosi, manco a dirlo, dalla parte di Gesù bambino. E le cronache di quattro anni fa raccontano di un Matteo Salvini impegnato a recapitare statue dei pastorelli ad altezza quasi naturale in un istituto di Bergamo dove il preside aveva lasciato libertà  di scelta agli insegnanti. Adesso che Salvini comanda a Roma e un suo uomo si è insediato al ministero dell’Istruzione, l’annoso dibattito sugli addobbi natalizi, non proprio una questione centrale per il futuro del Paese, riassume alla perfezione la strategia del governo a trazione leghista.
Simboli e parole d’ordine servono a mobilitare gli elettori: il migrante, le Ong, l’euro.
Anche il presepe, nel suo piccolo, funziona a meraviglia quando si parla di istruzione e di valori da trasmettere ai giovani.
Intanto però, ben nascosto dal polverone della propaganda, c’è chi manovra per cambiare i connotati della scuola italiana.
Non è il peso piuma Bussetti, neofita assoluto della politica, già  professore di ginnastica e dirigente del provveditorato di Milano, catapultato nei palazzi romani per intercessione del suo amico Giancarlo Giorgetti, ora sottosegretario alla presidenza del Consiglio.
E neppure Lorenzo Fioramonti, il viceministro con targa Cinque Stelle che fin qui è riuscito a ottenere, quattro mesi dopo l’insediamento, la sola delega all’Università  e non quella per la Ricerca, che forse arriverà  prossimamente, ma forse anche no.
A tracciare la rotta, quindi, non sono il ministro nè il suo vice. I due, peraltro, vivono praticamente da separati in casa, con il secondo costretto ad apprendere dai giornali, anzi da Twitter, notizie come il siluramento del capo dell’Agenzia spaziale italiana, Roberto Battiston, deciso da Bussetti
La trama del potere, quello vero, porta altrove.
Leggi, regolamenti e progetti passano tutti dalla stanza di Giuseppe Chinè, 50 anni, capitano di lungo corso della burocrazia governativa, avvocato e consigliere di Stato, già  collaboratore di Antonio Di Pietro alle Infrastrutture, poi con Giulio Tremonti al ministero dell’Economia, dove è rimasto anche con Mario Monti e infine dal 2013 alla Salute al fianco di Beatrice Lorenzin.
A giugno, Chinè è atterrato all’Istruzione come capo di gabinetto di Bussetti e da settimane, secondo quanto rivelano fonti del dicastero, sta curando in prima persona un progetto della massima importanza: mettere ordine nella selva di norme che riguardano l’università  italiana per arrivare a un nuovo testo unico che contenga anche importanti novità  in materia di ordinamento degli atenei e status giuridico dei professori.
Sugli stessi temi è impegnato anche il leghista Giuseppe Valditara, che nel nuovo organigramma del dicastero è andato a occupare la posizione di capo dipartimento per la formazione superiore e la ricerca.
Docente di diritto romano, classe 1961, da sempre schierato a destra, Valditara nel 2010, quando era senatore berlusconiano, diede un contributo importante alla riforma universitaria varata dall’allora ministro Mariastella Gelmini.
Otto anni dopo, il professore (in aspettativa) con cattedra a Torino è sbarcato al ministero dell’Istruzione con l’ambizione di completare il lavoro avviato ai tempi dell’ultimo governo Berlusconi.
Vengono dai suoi uffici una serie di proposte destinate, con l’approvazione del ministro, a diventare presto emendamenti alla legge di bilancio in discussione in Parlamento. Massima autonomia alle università  e massima autonomia anche ai professori, a costo di metter mano al loro status giuridico fissato per legge.
Questo in estrema sintesi il programma di lavoro di Valditara, che non a caso, in uno degli emendamenti che ha già  sottoposto agli uffici di Bussetti vuol garantire ulteriore flessibilità  ai docenti nell’organizzazione del proprio lavoro.
In altre parole, se questa proposta diventerà  legge, i professori potrebbero contrattare con il rettore, o con il preside di facoltà , tempi e modalità  del loro impegno, con la possibilità , per esempio, di dedicarsi per un certo periodo alla sola ricerca.
Questo nuovo regime professionale aprirebbe la porta alla contrattazione individuale dello stipendio da parte dei professori e avrebbe come conseguenza la liberalizzazione pressochè completa delle attività  extra accademiche dei docenti, che potrebbero per esempio accettare consulenze e incarichi vari per conto di enti pubblici e aziende private.
Le norme oggi in vigore già  prevedono la possibilità  per i professori di lavorare fuori dall’università . Ci sono però limitazioni che verrebbero in gran parte a cadere se passasse l’emendamento studiato da Valditara.
In passato la violazione delle regole sulle consulenze esterne (articolo 6 comma 10 della legge Gelmini) ha portato a interventi della Corte dei conti con indagini della magistratura.
Ha fatto scalpore, nel maggio scorso, un’operazione della Guardia di finanza che ha messo sotto inchiesta 411 docenti delle facoltà  di ingegneria, architettura, economia e altre ancora di numerosi atenei italiani.
Al centro delle accuse era proprio il doppio lavoro dei cattedratici.
«Non capisco perchè, nel rispetto degli obblighi didattici, a un ingegnere che insegna in un politecnico non possa essere consentito di lavorare anche per un’azienda», dice Valditara. «Al limite una quota del compenso per la consulenza esterna potrebbe andare all’università », aggiunge il capo dipartimento del ministero.
In teoria, una riforma di questo tipo dovrebbe incontrare forti resistenze tra i Cinque Stelle, che in materia universitaria hanno posizioni molto distanti da quelle espresse nei progetti di emendamento ora all’attenzione di Bussetti.
«Il ministro ha fin qui dimostrato grande apertura su queste proposte», sostiene Valditara, che si è già  mosso anche in Parlamento. Il compito di sensibilizzare gli alleati di governo è stato affidato al senatore Mario Pittoni, responsabile scuola della Lega, nonchè presidente della commissione cultura di palazzo Madama. Vedremo se il pressing leghista riuscirà  a vincere le resistenze.
Il senatore Mario Pittoni ha scritto per il Carroccio la riforma che dovrebbe archiviare la Buona scuola. Ma nel curriculum, scritto a penna, non ha mai chiarito quale fosse il suo titolo di studio. E ora spiega: “Quello che c’è da sapere non si impara sui polverosi libri”
Intanto, tra riforme vere e presunte, la confusione sulla direzione di marcia è massima. A novembre Salvini, davanti a una platea di militanti, aveva promesso l’abolizione del valore legale della laurea, un vecchio pallino del Carroccio.
A poche ore di distanza è toccato a Bussetti garantire che non se ne parla, almeno per il momento. A ottobre invece è stato rapidamente corretto un comunicato notturno del Consiglio dei ministri, che annunciava la fine del test d’ingresso per Medicina.
Non è all’ordine del giorno, assicurò il ministro, al massimo aumenteranno i posti in facoltà . Poi ci sono state le polemiche sulla Storia nei programmi scolastici, sull’aumento di soli 14 euro al mese agli insegnanti, perfino sull’inatteso ritorno del grembiule, che Bussetti vedrebbe bene almeno fino alle Medie
Dichiarazioni a parte, che spesso lasciano il tempo che trovano, anche le nuove norme sfornate dal ministero hanno finito in qualche caso per aumentare la sensazione di caos.
L’esempio principe è forse lo stravolgimento dell’esame di maturità . Ai ragazzi di quinta superiore che da due anni si stavano preparando secondo il modello attuale, e ai loro poveri prof, la scossa è arrivata a ottobre con una norma infilata nel già  affollatissimo decreto milleproroghe. Non proprio la cornice migliore per introdurre una svolta di tale importanza.
Si cambia, quindi. E allora niente più test Invalsi, fino a quest’anno obbligatori per essere ammessi all’esame. Ma, soprattutto, niente più terza prova, mentre il secondo scritto verrà  articolato diversamente. Al liceo classico, per esempio, potremmo avere, insieme, un test di greco e uno di latino. Le circolari ministeriali che illustrano contenuti e modalità  di valutazione della nuova maturità  sono infine arrivate, ma professori e studenti, a grande maggioranza, restano perplessi di fronte a una riforma introdotta in gran fretta.
È solo l’inizio. Il governo ha in cantiere una raffica di novità , che messe insieme disegnano il percorso di una vera riforma del sistema scuola.
Il fatto è che questi interventi, invece di essere inseriti in un testo organico, sono andati a gonfiare il gran fiume degli emendamenti alla legge di bilancio per il 2019, che andrà  approvata entro la fine dell’anno.
Alcuni cambiamenti decisivi, come i nuovi percorsi di ingresso e di selezione per i docenti delle scuole medie e superiori, per esempio, passeranno soltanto dal capitolo intitolato “Misure di razionalizzazione della spesa pubblica” nel bilancio di Stato. Non sembra proprio il modo migliore di favorire il dibattito su temi di grande importanza, hanno fatto notare diversi parlamentari dell’opposizione durante l’audizione del ministro Bussetti alla commissione Cultura della Camera.
Alla voce tagli, possono essere iscritti gran parte dei provvedimenti del governo.
È il caso della riduzione a un solo anno, con conseguenti risparmi per milioni di euro, del tirocinio pratico e formativo degli insegnanti finora articolato su tre anni.
Ancora una volta, si sforbicia, anzichè investire sull’istruzione. Si riduce della metà  anche l’alternanza scuola-lavoro. Era un’attività  contestata da un’ ampia fetta di professori e studenti, come viene ricordato nel contratto di governo tra Lega e Cinque Stelle.
Adesso però, con meno ore a disposizione, diventerà  ancora più difficile migliorare la collaborazione con le aziende. E spuntano norme sulla scuola perfino nel cosiddetto decreto Genova, che stanzia 4,5 milioni di euro per la progettazione dei “poli per l’infanzia”, il nuovo sistema integrato di asili e materne a cui andranno oltre 300 milioni di euro di risorse. Sull’edilizia scolastica, altro capitolo di grande rilievo, Bussetti ha invece imboccato un sentiero a dir poco tortuoso.
È stata infatti cancellata la struttura tecnica al servizio di amministratori locali e presidi, che faceva capo alla presidenza del Consiglio. Una nuova “Centrale per la progettazione delle opere pubbliche” ne erediterà  risorse e progetti, ma ancora non si sa quando diventerà  davvero operativa. È il governo del cambiamento: si butta il vecchio. Il nuovo arriverà . Forse.

(da “L’Espresso”)

argomento: scuola | Commenta »

L’IMMIGRATO CHE OGNI GIORNO RIPULISCE CON SCOPA E PALETTA IL CENTRO STORICO DI TORRE DEL GRECO

Dicembre 13th, 2018 Riccardo Fucile

“SONO POVERO CON MOGLIE E TRE FIGLI, FACCIO LE PULIZIE DA VOLONTARIO, SE POTETE AIUTARMI ANCHE CON 50 CENTESIMI, GRAZIE”…IL WEB SI MOBILITA PER AIUTARLO

«Sono povero, straniero e senza lavoro nella tua città : chiedo solo un aiuto, ho moglie e tre figli. Grazie».
Un giovane immigrate ha ripulito gratis le strade del centro storico di Torre del Greco: armato di guanti, scope e palette, il ragazzo di origine africana ha tirato a lucido la zona tra corso Vittorio Emanuele e via Roma, rimuovendo tutti i rifiuti abbandonati dagli incivili.
In cambio chiede un aiuto: il suo appello, scritto in italiano maccheronico su un cartoncino, ha già  commosso la città .
«Faccio le pulizie da volontario – il messaggio dell’immigrato-spazzino – Sono povero, straniero, sono senza lavoro e non ho niente da fare nella tua città : chiedo solo un aiuto».
Ogni giorno il giovane straniero spazza le strade e chiede in cambio qualche spicciolo: «50 centesimi, ho moglie e 3 figli e dobbiamo vivere con questi soldi. Grazie».
In molti si stanno attivando per aiutarlo: «Cerca onestamente un impiego e vuole contribuire a mantenere pulita Torre del Greco, sarebbe bellissimo se qualcuno li assumesse. Se avete un lavoro per questo ragazzo, contattateci su Facebook».

(da “Il Mattino”)

argomento: radici e valori | Commenta »

REGIONE LIGURIA: IL GRUPPO M5S PERDE UN ALTRO CONSIGLIERE, VA CON TOTI

Dicembre 13th, 2018 Riccardo Fucile

SU SEI ELETTI SONO RIMASTI IN QUATTRO… PISANI GIUSTIFICA L’ADDIO: “NON C’E’ POSSIBILITA’ DI DISCUSSIONE”… SE N’E’ ACCORTO SOLO ADESSO?

«Nel Movimento non c’è possibilità  di discussione sulle posizioni con il livello nazionale e a cascata c’è una selezione “naturale” a livello locale, una deriva antidemocratica. L’M5S ha abbandonato completamente gli attivisti sul territorio», che «oggi sono visti come un “ostacolo” al governo. Ero arrivato a un punto di non ritorno. Ho scelto Liguria Popolare perchè è una forza che punta alla concretezza al dialogo e al territorio. Un progetto serio, cui ho aderito. Ma sulle mie battaglie manterrò le mie posizioni anche dentro la maggioranza»: così il consigliere regionale Gabriele Pisani ha spiegato questa mattina l’addio al Movimento 5 Stelle e, appunto, l’approdo al gruppo di Liguria Popolare (ex Ncd).
Nell’“accoglierlo”, il consigliere regionale Andrea Costa ha detto che «per Liguria Popolare è una giornata importante» e che «costituire un “gruppo” ci dà  maggiore responsabilità . Ncd non esiste più, il nostro gruppo si chiama Liguria Popolare, in due anni abbiamo costruito un percorso in questa regione e siamo presenti nei maggiori comuni»; ancora: «L’arrivo di Pisani dimostra che il nostro è un contenitore civico aperto a tutti».

(da “il Secolo XIX”)

argomento: Costume | Commenta »

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