Dicembre 20th, 2018 Riccardo Fucile
AD ACCOMPAGNARE IL FERETRO LE NOTE DELL’INNO ALLA GIOIA… ASSENTI I LEADER DEL SOVRANISMO PATACCA
Trento è listata a lutto nel giorno dei funerali di Antonio Megalizzi. 
La comunità , ancora incredula, si preparano a dare l’ultimo saluto al giovane giornalista radiofonico morto dopo essere stato ferito gravemente nell’attentato di Strasburgo dell’11 dicembre.
Il Duomo della città è gremito: un grande applauso ha accolto il feretro all’ingresso della chiesa.
È arrivato nel Duomo il presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Ad accoglierlo il sindaco di Trento, Alessandro Andreatta e il presidente della Provincia autonoma, Maurizio Fugatti.
Giunto anche il presidente del Consiglio Conte, subito dopo sono arrivati il ministro per i rapporti con il Parlamento, Riccardo Fraccaro, il sottosegretario Vincenzo Spadafora e il presidente del consiglio europeo, Antonio Tajani.
Le note dell’Inno alla Gioia, l’inno dell’Unione europea, le canzoni dei Coldplay e di Robbie Williams accompagneranno le esequie.
A cantare i brani preferiti di Antonio sarà una sua amica, Mia De Luca, arrivata dagli Stati Uniti per partecipare al funerale.
Sulle pareti del palazzo Pretorio, nella piazza centrale di Trento, è stata proiettata per tutta la notte la vignetta di Mauro Biani: ritrae il giovane giornalista di profilo, con il registratore in mano. L’immagine è accompagnata da poche parole, forse le più significative: “Antonio, l’europeo”.
(da agenzie)
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Dicembre 20th, 2018 Riccardo Fucile
L’AMAREZZA DI UN PICCOLO IMPRENDITORE MILANESE NEL SETTORE MODA: “MI DICEVANO: IL COLLOQUIO ALLE 10 DI MATTINA? E’ PRESTO, POSSIAMO FARE A MEZZOGIORNO?”
Ha offerto un lavoro da 1500 euro al mese, da 14 mensilità e a tempo indeterminato, senza riuscire a trovare un candidato adatto: questa è la storia raccontata da Francesco Casile, piccolo imprenditore milanese del settore moda che da tempo starebbe cercando una persona per far crescere la sua azienda.
Casile afferma di non aver trovato nessuno che sia in grado di soddisfare le sue esigenze, a causa anche della scarsa volontà dei suoi candidati.
Attualmente ha 6 dipendenti e ha parlato della sua ricerca di un ulteriore lavoratore a Stasera Italia, su Rete 4, dopo aver già presenziato a Porta a porta sulla Rai.
Qualche mese fa, l’imprenditore aveva inoltre inviato una lettera al Corriere della Sera, in cui ribadiva l’offerta di lavoro: “Offro 1500 euro netti al mese, l’orario lavorativo è dalle 9.30 alle 17 e il contratto è a tempo indeterminato”.
La posizione da ricoprire sarebbe quella di venditore, con conoscenza del settore moda e conoscenza minima della lingua inglese.
La paga offerta è buona eppure, ai microfoni di Rete 4, Casile sostiene che “mi è stato detto ‘per 1500 euro preferisco il reddito di cittadinanza’.
Lamentele anche sull’orario del colloquio da parte dei candidati. “Mi dicevano: ‘Il colloquio alle 10? È presto, possiamo fare a mezzogiorno?'”
Recentemente, è apparso in tv per raccontate la sua storia.
Adesso ha ricevuto oltre 4mila candidature (via mail, sms, Messenger e Linkedin). Spera questa volta di riuscire a trovare in candidato ideale.
(da “Huffingtonpost”)
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Dicembre 20th, 2018 Riccardo Fucile
LA CLAUSOLA DI SALVAGUARDIA IVA: A FINE 2019 IL GOVERNO DOVRA’ TROVARE 24 MILIARDI PER EVITARE L’AUMENTO DELL’IVA DI 4 PUNTI
Le parole magiche sono clausola di salvaguardia IVA: grazie al meccanismo che prevede
l’aumento dell’Imposta sul Valore Aggiunto il Governo dell’Avvocato del Popolo Giuseppe Conte ha ottenuto dall’Europa l’ok alla Manovra del Popolo.
Ma è importante soprattutto il prezzo che è costato l’accordo: il conto totale ammonta a 38 miliardi di euro.
Le variazioni alla manovra prevedono un risparmio di spesa di circa 38 miliardi spalmati sul prossimo triennio. I risparmi saranno pari a 10,2 miliardi nel 2019, a 12,2 miliardi nel 2020 e a 15,9 nel 2021.
Anche le stime di crescita del PIL sono state riviste al ribasso e le nuove previsioni di crescita ipotizzano un aumento della ricchezza dell’1% per il prossimo anno e dell’1,1% nei due anni successivi.
Per realizzare i risparmi di spesa previsti per quest’anno (2,7 miliardi dalle pensioni e 2 miliardi dal reddito di cittadinanza) verranno introdotte le «finestre» per il pensionamento e un tetto Isee e di 5.000 euro sul conto in banca per il reddito di cittadinanza.
Altri risparmi verranno dalla creazione di un fondo di accantonamento di 2 miliardi di euro e da un taglio di 2,2 miliardi agli investimenti. Queste misure permetteranno un risparmio complessivo di circa 8,9 miliardi.
Per arrivare alla correzione del saldo di bilancio di 10,2 miliardi è previsto un gettito di 0,5 miliardi di euro dall’introduzione della web tax, di 0,5 miliardi dalla tassa sui giochi e di 0,3miliardi dai tagli alle pensioni d’oro e agli incentivi alle imprese.
Nel 2020 dovranno aggiungersi altre misure, perchè la sforbiciata rispetto alla versione originale della manovra sale a 12,2 miliardi, e altre nel 2021, quando ne serviranno 15,9.
Oltre all’eventuale sterilizzazione dell’Iva che scatterà nel 2020, portando l’aliquota fino al 26,5% nel 2021. Ma non basta, perchè bisogna anche tagliare il debito: i 18 miliardi di dismissioni preventivate, obiettivo già molto ambizioso, diventano 19 per il prossimo anno.
A fine 2018 quindi la maggioranza di governo sa che dovrà in qualche modo reperire la cifra-monstre di 24 miliardi di euro per scongiurare gli aumenti dell’IVA e sterilizzare le clausole di salvaguardia.
L’alternativa è l’aumento dell’imposta più importante sui consumi, con conseguente (e probabilissimo) crollo dei settori dell’economia più esposti al problema.
Si parla di un aumento non di due, ma almeno di tre o quattro punti: è stato concordato infatti un rafforzamento delle clausole di salvaguardia che passano per il 2020 dalla attuale e prevista cifra di 13,7 miliardi a 23,1 miliardi e nel 2021 da 15,6 a 28,7 miliardi. O li troveremo o aumenterà l’Iva.
Spiega oggi Il Sole 24 Ore che a offrire i numeri precisi sono le tabelle allegate alla lettera a Bruxelles.
Rispetto alla versione di ottobre, l’Iva cresce di 9,41 miliardi nel 2020 e di 13,183 nel 2021.
Sommati alle clausole che erano ancora presenti nella vecchia manovra, significa che il tutto poggia su aumenti da 51,9 miliardi in due anni (22,9 il primo e 29 il secondo). Si tratta di un’incognita pesante sui saldi, di cui Bruxelles ha scelto di tenere conto a differenza del passato. Proprio la freddezza europea sulle clausole, fin qui bloccate dall’Italia, ne aveva evitato l’inserimento nel primo dossier mandato alla commissione. Ma la mossa si è poi rivelata indispensabile per far quadrare i conti almeno sulla carta.
(da “NextQuotidiano”)
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Dicembre 20th, 2018 Riccardo Fucile
IL GOVERNO DEL CAMBIAMENTO FA PAGARE IL PREZZO DEI SUOI ERRORI AI LAVORATORI
Slittano al novembre del 2019 le assunzioni della Pubblica Amministrazione.
La notizia, annunciata dal presidente del Consiglio Giuseppe Conte, viene sostanzialmente confermata dal ministro della Funzione Pubblica Giulia Bongiorno: «In relazione ai tempi necessari per concludere le procedure concorsuali che si avvieranno nel 2019, le assunzioni delle amministrazioni centrali partiranno dal 15 novembre 2019», dice il ministro, replicando alle critiche dei sindacati. Fp Cgil, Cisl Fp, Uil Fpl e Uil Pa denunciano infatti come il governo abbia fatto «molta propaganda sulle assunzioni nella Pubblica Amministrazione e ora, a dispetto di un Ddl che ha voluto chiamare “concretezza”, fa un passo indietro negando se stesso».
«La verità è che hanno sbagliato la manovra — contesta la segretaria della Fp Cgil Serena Sorrentino — e ora, dopo il richiamo dell’Europa, fanno pagare il prezzo dei loro errori ai lavoratori e ai cittadini».
Non vengono invece toccate le risorse stanziate per il rinnovo dei contratti pubblici e non cambia nemmeno la norma che ripristina a partire dal prossimo anno il turn over al 100 per cento nella pubblica amministrazione (ovvero la piena sostituzione dei lavoratori che lasciano il servizio per la pensione).
(da “NextQuotidiano”)
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Dicembre 20th, 2018 Riccardo Fucile
“CI PERDE LA STABILITA’ ECONOMICA ITALIANA”
Carlo Cottarelli, l’economista che ha sfiorato Palazzo Chigi nei giorni della crisi istituzionale, sulle
colonne della Stampa non vede l’Italia uscire certo tra i vincitori perchè “per i conti pubblici aumentano i pericoli”.
Magari non nel breve termine, ma “la legge di bilancio che esce non fa nulla nè per la crescita, nè per i conti pubblici”.
Si è partiti con Giovanni Tria che annunciava l’1,6% di deficit/Pil, il Governo che puntava al 2,4% e il compromesso trovato al 2%.
“Cose da mercato rionale” scrive Cottarelli, “solo che al mercato rionale ce la si sbriga in pochi minuti, non in mesi di negoziazione e incertezza”.
In questo contesto le parti possono rivendicare qualche risultato: “La Commissione può vantare di essere riuscita a ottenere misure aggiuntive per oltre 10 miliardi, e non sono poco, senza rinunciare alla possibilità di riaprire la questione a inizio marzo, quando i conti del 2018 saranno pubblicati. Il Governo può vantare di aver mantenuto le due principali misure promesse agli elettori: la controriforma delle pensioni e il reddito di cittadinanza. Gli stanziamenti iniziali sono stati ridotti: ci viene detto che hanno fatto meglio i calcoli e si sono accorti che servono meno soldi. Il fatto è di per sè preoccupante (avevano sbagliato i calcoli?), ma in realtà nessuno può verificare quanto la spiegazione data sia vera, perchè i dettagli di questi provvedimenti non erano mai stati annunciati”.
Cottarelli sa bene chi perde in tutta questa vicenda.
“Ci perde la stabilità economica italiana. La legge di bilancio rappresenta, ancora una volta, un prolungamento dello status quo […] Insomma il Governo del cambiamento non ha cambiato nulla, tranne forse cambiare idea sulla possibilità , per un Paese ad alto debito come il nostro, di usare la leva della spesa pubblica per sostenere il Pil. Il prolungamento dello status quo nei nostri conti pubblici aumenta però i rischi perchè riduce il tempo a disposizione prima che l’economia mondiale ed europea rallenti, prima che il sentimento sui mercati finanziari internazionali si indebolisca, prima che una qualunque spinta recessiva porti a una umento del rapporto tra il nostro debito pubblico e il Pil, e a una nuova crisi di fiducia. Ci perdono le prospettive di crescita dell’economia italiana”
(da agenzie)
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Dicembre 20th, 2018 Riccardo Fucile
LA FREGNACCIA DELLA COMMISSIONE CHE CI VOLEVA IMPORRE L’1,6% DEL RAPPORTO DEFICIT-PIL: L’AVEVA DETTO TRIA, NON LA UE
Deve essere difficile trovarsi improvvisamente a dover passare dalla parte dell’inflessibile Torquemada dei governi precedenti non eletti dal Popolo a quella dell’avvocato difensore del Cambiamento.
Fortunatamente Marco Travaglio è un uomo che adora le sfide e da quando si è insediato il governo presieduto dall’Avvocato del Popolo non eletto dal Popolo si sta dando un gran da fare per raccontarci le magnifiche sorti e progressive dell’inedita coalizione Lega-MoVimento 5 Stelle.
Ieri a Otto e Mezzo il direttore del Fatto Quotidiano aveva dinnanzi a sè un compito assai arduo: difendere la Manovra del Popolo che Conte, Di Maio e Salvini si sono fatti riscrivere dal Bruxelles. Come fare?
Le armi della fredda logica e dei numeri non erano senz’altro sufficienti. Serviva qualche fuoco d’artificio per abbagliare gli ascoltatori e illuminare realtà alternative, alternative facts, come li chiamano quelli troppo pudichi per parlare di fake news.
Ieri Travaglio ci ha spiegato quella che secondo lui è stata la genesi del famoso 2,04% nel rapporto tra deficit e Pil. Travaglio, che non usa più da tempo il termine inciucio, ieri ha detto in buona sostanza che i governi precedenti (quelli degli inciucisti non eletti dal popolo) si facevano scrivere le manovre da Bruxelles.
Per il governo del Cambiamento — che Travaglio definisce «plebiscitato dagli elettori» anche se gli elettori avevano votato per due coalizioni differenti con due programmi differenti — le cose sono diverse.
Il direttore del Fatto ha parlato di trattativa, accordo, compromesso ed infine successo. Perchè la Commissione «ci voleva impiccare all’1,6% di rapporto deficit/Pil» e aver ottenuto il 2,04% consente al governo di fare tante belle cose come il Reddito di Cittadinanza e Quota 100.
Farle poco e male perchè con 10 miliardi in meno e rinunciando a 6,5 miliardi di euro di spesa in deficit significa avere meno soldi.
E il governo dovrà trovare anche i 2,4 miliardi di euro per non far scattare le clausole di salvaguardia sull’IVA.
Ma tutta la storia della Commissione che ci voleva imporre un draconiano 1,6% diventa ancora più ridicola se leggiamo il Fatto Quotidiano di oggi.
L’articolo di Stefano Feltri pubblicato sul giornale diretto da Marco Travaglio ricorda chi era quello che voleva il rapporto defict/Pil al’1,6% (al punto di arrivare a minacciare le dimissioni): il ministro dell’Economia Giovanni Tria.
Ora noi non sappiamo se questa informazione, pubblicata sul giornale di Travaglio,sia attendibile per Travaglio.
Nel dubbio ci limitiamo a ricordare quello che disse lo stesso Travaglio a Otto e Mezzo a settembre commentando la “granitica posizione” del ministro dell’Economia sull’1,6%: «se Tria fa il resistente sul’1,6%, è perchè ha già messo in conto che il 2,2% o il 2,3% verrà per forza toccato».
Come tutta questa storia sia diventata un successo del governo contro la Commissione lo sanno solo Travaglio e Manlio Di Stefano (un altro che ieri raccontava della vittoria su tutta la linea).
Ma il mago dei numeri del Fatto Quotidiano ha detto anche altre cose interessanti a Otto e mezzo. Ad esempio che quello 0,04% in più rispetto al 2% “strappato” dai negoziatori italiani alla Commissione «sembrano decimali ma circa valgono una decina di miliardi mal contati, e non sono pochi».
Non è così perchè quei pochi decimali valgono circa 600 milioni di euro, in termini assoluti non sono pochi nemmeno loro, ma sono pochissimi se rapportati all’ambizioso programma di governo del Contratto.
Qualcuno in studio avrebbe potuto chiedere a Travaglio che fine hanno fatto i 75 miliardi di coperture promesse in campagna elettorale, o i 30 miliardi di tagli promessi il giorno prima del voto. Se qualche manina volesse farli saltare fuori ora sarebbe il momento adatto.
Travaglio poi è passato ad attaccare il commissario Moscovici, accusandolo di favoritismi nei confronti della Francia perchè a Macron sarà consentito di sforare il tetto del deficit. Ed è vero che la Francia ha sforato la regola del 3% per parecchie volte, così come lo hanno fatto l’Italia e altri stati che hanno aderito al patto di stabilità .
Ma non è vero, come ha detto Travaglio, che quando Moscovici era ministro dell’Economia a Parigi ha infranto le regole europee. Con Moscovici la Francia ha attuato un percorso per ridurre progressivamente il rapporto Deficit/Pil e riportarlo al di sotto del 3%.
Certo non si può passare da 5% al 2,9% con una sola manovra economica ma basta guardare i grafici per capire in che direzione stavano andando le leggi di bilancio francesi.
Una volta raccontate tutte queste versioni alternative della realtà era il momento per Travaglio di calare l’ascoltatore nella sua visione apocalittica del mondo.
Apocalisse dalla quale siamo stati salvati proprio grazie alla Manovra del Popolo. Secondo Travaglio «se la Commissione europea potesse sterminare tutti i pensionati e tutti i disoccupati, lo farebbe volentieri e ci promuoverebbe a pieni voti se lo facessimo».
Avete capito? Il rischio non solo era quello di poter fare l’1,6% (che voleva Tria, quindi il governo) ma addirittura quello di trovarsi a vivere in un mondo come quello raccontato in 2022: i sopravvissuti.
Curioso però che il più grande difensore del ruolo del Parlamento non abbia avuto nulla da dire su come il governo abbia fatto approvare alla Camera una legge di bilancio senza alcun valore.
Chissà che ne pensa il Presidente della Camera Fico.
(da “NextQuotidiano”)
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Dicembre 20th, 2018 Riccardo Fucile
LA SOCIETA’ E’ STATA SCIOLTA E MESSA IN LIQUIDAZIONE
Antonio Di Maio è indagato dalla procura di Nola per la vicenda dei rifiuti della Ardima trovati
nel terreno dei manufatti “fantasma”.
Lo scrive oggi Il Messaggero, segnalando che tutto parte dalla famosa ispezione dei vigili di Mariglianella sul terreno dopo i servizi di Filippo Roma delle Iene:
Un fascicolo nel corso del quale è indagato lo stesso Antonio Di Maio, secondo quanto emerge da decreto di sequestro firmato qualche giorno fa dal gip Critelli del Tribunale di Nola.
Più in particolare, Antonio Di Maio risulta iscritto nel registro degli indagati per «deposito incontrollato di rifiuti», sempre a proposito di quanto trovato nella tenuta di Mariglianella (comune vicino Napoli) riconducibile al genitore del vicepremier.
Non ci sono al momento riferimenti a ipotesi di abusi edilizi, in relazione al presunto ampliamento di un’antica dimora contadina all’interno della tenuta di casa Di Maio, nè ci sono altre ipotesi formalizzate dai pm. Stando a quanto emerso, la storia dei presunti abusi edilizi raccontata dagli organi di stampa è rimasta legata a vicende di natura amministrativa, come appare evidente da un dato:nessun organo di polizia giudiziaria ha avanzato alcuna richiesta di sequestro della masseria dei Di Maio.
Difeso dal penalista Saverio Campana, ora Antonio Di Maio attende le prescrizioni dell’Arpac, in vista della rimozione del materiale di risulta, con tanto di ammenda pecuniaria da versare:
Intanto, oltre alle vicende penali, i Di Maio si sono dedicati all’attività imprenditoriale.
Alle 12,20 del 4 dicembre, a Napoli, nello studio del Notaio Oreste Coppola, presenti Giuseppe Di Maio,in qualità di amministratore unico e legale rappresentante della società Ardima srl, oltre agli altri due soci (e fratelli) Rosalba e Luigi Di Maio (soci al 50%a testa) si è svolta l’assemblea «per lo scioglimento anticipato della società e messa in liquidazione»
Giuseppe Di Maio «espone le ragioni per le quali risulta conveniente e opportuno sciogliere anticipatamente la società e porla in liquidazione», si legge nel verbale. «In particolare la prolungata inattività rende consigliabile procedere allo scioglimento anticipato». L’assise si conclude alle 12,45.
(da “NextQuotidiano”)
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Dicembre 20th, 2018 Riccardo Fucile
L’ELOGIO DEL PLURALISMO E IL CONTE NEGOZIATORE
C’è tutta l’antica sapienza democristiana nel passaggio in cui Sergio Mattarella, nel tradizionale discorso alle Alte Cariche, presenta la resa del governo come una sua scelta consapevole di responsabilità , e, perchè no, il successo politico anche del Colle come una vittoria di tutti, non di una parte che prevale su un’altra: “Ho valutato molto positivamente la scelta del governo di avviare un dialogo costruttivo con la Commissione europea — che ha agito con spirito collaborativo — sulla manovra di bilancio per giungere a soluzione condivise”.
Se la bestia sovranista è stata addomesticata, non c’è ragione — politica e di stile — per risvegliarla. Perchè, in fondo, conta il risultato.
Raggiunto senza ricorrere al repertorio di strappi, moniti e reprimende, con la granitica convinzione che esacerbare il conflitto con un pubblico braccio di ferro, avrebbe sortito l’effetto opposto.
Le immagini, si sa, in questi casi rendono più delle parole. E basterebbe una sequenza di istantanee dei volti al ricevimento al Quirinale per dare la misura di un clima dimesso e di un equilibro cambiato.
Di quelle che ci sono, come Luigi Di Maio, visibilmente provato, degli assenti come Salvini, corso a Milano per partecipare alla recita di Natale della figlia, ottima ragione per sottrarre il suo volto al giorno della resa, di quelli come Giancarlo Giorgetti, particolarmente a suo agio con i vecchi amici del centrodestra in grande spolvero, che si abbandona a considerazioni su quanto la strada a questo punto si faccia impervia e difficile.
Finalmente sorridente, dopo settimane di tensione, voci di dimissioni, numeri nervosi, il ministro Tria parla più con Gianni Letta che con i suoi colleghi di governo.
Fotografie che cozzano con la retorica degli impegni rispettati, di una manovra che non è una resa nonostante gli oltre dieci miliardi di tagli, che resta ancora sub judice dell’Ue, disseminata di balzelli e falcidiata dei capitoli di spesa sulle due misure simbolo, reddito di cittadinanza e quota cento.
Al ricevimento al Quirinale va in scena la celebrazione sobria non solo del “metodo Mattarella”, ma di un cambio di fase del “governo sovranista”, rimasto ingabbiato e costretto a fare i conti con il set di regole italiane ed europee sui cui aveva promesso sfracelli.
E costretto a misurarsi con la reazione dei mercati allegramente sottovalutata finchè i dati di un’imminente recessione la rivolta del “partito del Pil” — artigiani, commercianti, partite Iva, base sociale della Lega nelle urne – non hanno smontato manovra ed esuberanza sovranista.
Perchè poi la chiave politica è tutta qui, nel giorno di un finale “paradossale”, col premier che rinvia di un’ora il suo discorso al Senato per attendere — cose mai viste — che i contenuti della manovra vengano svelati da Moscovici e Dombrovskis, i quali annunciano anche che l’esame non è ancora finito.
E cioè che, a questo punto, sarà complicato considerare l’accaduto una parentesi, dopo il quale riprendere tutto come prima: l’Europa matrigna, le perfide burocrazie, quelli che a Bruxelles voglio imporre le loro scelte ai governi nazionali.
E se in questa vicenda c’è un prima e un dopo, il discorso di Mattarella è un auspicio che il dopo che non sia come prima e che la brusca scoperta del principio di realtà sulla realtà dei conti diventi una consapevolezza democratica più ampia.
È questo il senso dell’elogio del pluralismo, parola ripetuta ben sei volte.
Pluralismo inteso come parti sociali da ascoltare, libertà di stampa da tutelare, Parlamento da rispettare, assetto istituzionale da non stravolgere (come potrebbe avvenire, ad esempio, con la riforma Fraccaro che stravolge il processo legislativo), pluralismo come presa d’atto della complessità della società e dell’articolazione dello Stato democratico (vai alla voce: autorità di garanzia), insomma come cultura del limite nell’esercizio del potere, perchè governare non significa essere o sentirsi padroni del paese.
È un discorso di valori di valori e di principi, che ha un carattere generale, ma dentro il quale, come con la manovra, c’è anche un investimento politico che riguarda la figura del premier, circondato al Quirinale da una selva di giornalisti e fotografi come qualche mese accadde a Salvini e Di Maio, il giorno del giuramento del governo gialloverde.
Perchè è vero che si è trovato ad essere un protagonista quasi per caso, e per esplicita cessione di sovranità da parte dei due vicepremier, nel momento in cui andava gestita la più grossa rogna di governo, dopo i primi “favolosi” cinque mesi vissuti spericolatamente.
Ma è anche vero che, nella fase in cui è stato chiamato a gestire la ritirata, la guida subliminale ha giocato in uno spazio reale, anche con una certa ambizione, spazio dilatatosi anche grazie all’appannamento della leadership altrui, nel senso di Di Maio. Trovandosi ad essere uno dei perni della strategia della “limitazione del danno”, messa in campo da Mattarella.
Certo, nelle condizioni date, e nell’ambito di un percorso molto tattico. Ma comunque come se fosse davvero il premier.
E come se lo fosse davvero rimarrà , anche nelle turbolenze annunciate della campagna elettorale, il principale interlocutore per limitare i danni futuri.
(da “Huffingtonpost”)
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