Marzo 22nd, 2025 Riccardo Fucile
MARTUSCIELLO, NON ANCORA INDAGATO, È COINVOLTO NEL CHINA-GATE CHE STA TERREMOTANDO IL PARLAMENTO EUROPEO: LA SUA ASSISTENTE, LUCIA SIMEONE, ACCUSATA DI CORRUZIONE, È STATA ARRESTATA PER AVER RICEVUTO UN BONIFICO DA MILLE EURO DAI LOBBISTI DI HUAWEI – LO STESSO MARTUSCIELLO, CHE A BRUXELLES HA REDATTO “EMENDAMENTI FAVOREVOLI” AL COLOSSO CINESE, AVREBBE RICEVUTO QUATTRO BONIFICI DI 3MILA, 1.250, 1.250, 1.200 EURO – L’INTERCETTAZIONE DEL LOBBISTA ITALO-BELGA VALERIO OTTATI: “NOI SPESSO OLTREPASSIAMO IL LIMITE. PAGHIAMO PER GLI EMENDAMENTI”
«Noi spesso oltrepassiamo il limite. Paghiamo per gli emendamenti»: tarda mattinata del 17 settembre 2024, il lobbista italo-belga Valerio Ottati, dal 2019 responsabile per gli affari pubblici europei di Huawei dopo due legislature come assistente parlamentare a Strasburgo, si lascia sfuggire questa confidenza mentre, a bordo di una Volkswagen Tiguan, parla di affari con un collega polacco.
Adesso la conversazione è agli atti dell’inchiesta della Procura federale belga che ipotizza un «patto corruttivo» all’interno delle istituzioni europee per favorire il gigante cinese delle telecomunicazioni nella complessa partita sulla tecnologia 5G. Il colloquio è citato nel mandato di arresto che ha portato in carcere Luciana Simeone, la 48enne segretaria dell’eurodeputato Fulvio Martusciello, capodelegazione di Forza Italia, giunto alla terza legislatura con un bottino personale di quasi 100mila preferenze.
Gli investigatori collegano le parole di Ottati non solo agli altri elementi al centro dell’inchiesta, ma «anche alla redazione da parte dell’onorevole Martusciello di emendamenti legislativi favorevoli a Huawei».
Simeone è sospettata di aver ricevuto, personalmente o per distribuirla a terzi, una parte della presunta tangente di poco meno di 46mila euro che sarebbe stata pagata dai lobbisti vicini a Huawei per la lettera del 10 febbraio 2021, firmata da otto eurodeputati fra i quali Martusciello, diretta a tre commissari europei ed avente ad oggetto la implementazione della tecnologia 5G nella Ue.
La provvista sarebbe stata ricavata attraverso due fatture, rispettivamente del 7 gennaio e del 15 febbraio 2021, per l’importo di 18.450 e 27.500 euro, formalmente intestate a consulenze ma ritenute fittizie, inviate a due società (beneficiarie tra il 2021 e il 2023 di versamenti da parte di Huawei) dal portoghese Nuno Miguel Benoliel de Carvalho Wahnon Martins, ex collaboratore di Martusciello.
La lettera sarebbe stata materialmente redatta da Wahnon e Ottati: il primo avrebbe creato il file, il secondo lo avrebbe modificato per l’ultima volta. Dal conto corrente di Wahnon Martins sul quale era stata accreditata la fattura da 27.500 euro risultano un bonifico di mille euro del 21 febbraio 2021 a Luciana Simeone e quattro bonifici a favore di Martusciello tra il 26 febbraio 2021 e il 10 giugno rispettivamente di 3mila, 1.250, 1.250, 1.200 euro.
(da La Repubblica)
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Marzo 22nd, 2025 Riccardo Fucile
L’ESPONENTE DI FORZA ITALIA VOLEVA CANDIDARSI ALLE REGIONALI
Ho già firmato la mia candidatura come “Martusciello Fulvio detto Fulvio”. Meloni
arriva seconda». Aveva un sorriso sornione, il frontman di Forza Italia in Campania, alla vigilia delle ultime elezioni Europee. Sentiva che quell’appuntamento sarebbe diventato il punto di svolta di una carriera politica ormai trentennale e non si sbagliava: dopo il voto, con le quasi 98mila preferenze racimolate nella circoscrizione Sud, Martusciello si guadagnerà non solo l’inevitabile soprannome di “Mister Centomila” ma anche il trampolino di lancio verso il sogno di una vita: la presidenza della Regione Campania.
Una candidatura partita da lontano, costruita con pazienza e promossa dal leader del partito in persona, Antonio Tajani, in video collegamento con il congresso provinciale in corso a Salerno: «In Campania con la guida di Fulvio Martusciello, che si sta dimostrando veramente un leader della vostra Regione, credo che potremo ottenere degli ottimi risultati. Fulvio è per noi il miglior candidato possibile, poi vedremo cosa accadrà».
Era solo pochi giorni fa, il 16 marzo. Ma sembra passato un secolo. In quelle stesse ore, nella banca dati Schengen, veniva inserito dalla Procura federale belga il mandato di arresto europeo nei confronti di Lucia Simeone, segretaria tuttofare e assistente parlamentare di Martusciello, già dal 2022 capodelegazione azzurro a Strasburgo e considerato l’uomo forse più vicino al ministro degli Esteri, nonché
successore di Berlusconi alla guida di Forza Italia.
Cinquantasette anni da compiere a maggio, dirigente della Banca d’Italia, uomo dal carattere brillante ed estroverso, capace di intrecciare relazioni e di coltivarle negli anni, Martusciello ha traghettato il partito campano oltre la palude degli scandali che, agli inizi degli anni Duemila, avevano accompagnato la leadership di Nicola Cosentino e Luigi Cesaro, entrambi travolti dagli scandali giudiziari e dalle accuse di collusioni con la camorra. Ma anche quando erano altri ad avere le redini di Forza Italia a Napoli, Martusciello ha sempre conservato il rapporto privilegiato con Silvio Berlusconi stretto sin dagli albori di FI. Quando l’uomo di Arcore lancia la corsa per Palazzo Chigi, nel 1994, c’è anche Fulvio a sostenerlo, sia pure in posizione più defilata: al tempo il Martusciello in prima linea è il fratello maggiore Antonio, primo coordinatore regionale del partito in Campania, che viene eletto parlamentare, diventa viceministro e nel 2001 sfiderà senza successo Rosa Russo Jervolino come sindaco di Napoli.
Ma già nel 1995, il più giovane dei Martusciello comincia a farsi largo con l’elezione in consiglio regionale, assemblea nella quale resterà per quasi vent’anni, con una parentesi come assessore alle attività produttive, tra il 2013 e il 2014, nella giunta di centrodestra guidata da Stefano Caldoro. Nel 2014, mentre Antonio ha ormai lasciato la politica attiva, Fulvio sbarca a Bruxelles e dall’Europarlamento consolida progressivamente la sua influenza a Roma come in Campania. Mattone dopo mattone, si guadagna la rielezione, incrementa i consensi e nel 2022 ottiene il prestigioso riconoscimento come capodelegazione. Nel frattempo a Napoli il partito è nelle sue mani e il rapporto con Tajani è divenuto sempre più saldo. Nel 2024, il vicepremier chiude la campagna elettorale proprio a Napoli, feudo di Fulvio e garanzia di un cospicuo bottino di preferenze.Il bilancio delle Europee mette Martusciello nelle condizioni di guardare da una posizione di forza al prossimo snodo, le Regionali del 2025. Il resto è storia recentissima. Nel risiko del centrodestra, tramontate precocemente le ambizioni di Gennaro Sangiuliano, costretto a dimettersi da ministro della Cultura sull’onda del caso Boccia, restano sul tavolo i nomi del vice ministro degli Esteri Edmondo Cirielli per FdI e di un riluttante ministro dell’Interno Matteo Piantedosi in quota Lega. “Mister Centomila” appare oggettivamente lanciatissimo. Una scalata prepotente che ora, trent’anni dopo e a pochi metri dal traguardo, il caso 5G Gate rischia di interrompere.
(da agenzie)
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Marzo 22nd, 2025 Riccardo Fucile
TRUMP E’ LA NEGAZIONE DI UNA SOCIETA’ DEMOCRATICA
Niente è più distopico, niente più destabilizzante, che immaginare un’America non più democratica, dunque non più americana. Capisco chi dice, fiducioso, “non succederà mai”: lo dice perché gli risulta incredibile e insopportabile l’idea.
Generazioni di europei sono cresciute con la certezza che l’America, per quanto contraddittoria, per quanto violenta, per quanto “gendarme del mondo”, fosse libera. Un luogo vasto e disponibile agli uomini, aperto al futuro, allo spirito di avventura, alla libertà di parola.
L’America di Trump è invece arcigna, brutale, chiusa, sopraffattrice. Taglia i fondi a qualunque ente sgradito, censura le università, azzoppa il welfare, punisce i disobbedienti, ringhia ai deboli e ai diversi, fino all’inaudito proclama del suo presidente che definisce «illegali» gli organi di informazione che lo criticano. Illegali!
Con incredibile flemma, ancora si discute, in America e nel mondo, se la democrazia americana sia in pericolo. Non solo lo è, ma in alcuni suoi fondamenti (la libertà di opinione, la libertà di ricerca, la libertà di non riconoscersi nella “famiglia tradizionale” e nella religione tradizionale) è già adesso sotto schiaffo.
Trump è una pistola alla tempia della democrazia americana, è l’assalto al Parlamento, è l’asservimento dell’istruzione al conformismo religioso, è l’odio per i deboli, è il suprematismo bianco al potere: che cosa serve, ancora, per prenderne atto?
Riguardatevi l’ultima scena di Easy Rider. Con i due farmer che incrociano i due hippy sui loro chopper e risolvono la questione con due colpi di fucile. È solo un film, ma nell’ultimo paio di mesi mi torna in testa quasi ogni giorno.
(da repubblica.it)
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Marzo 22nd, 2025 Riccardo Fucile
CALANO I PREZZI DEI VOLI PER GLI USA…. IL CASO DEL PROFESSORE FRANCESE CHE AVEVA SUL CELLULARE POST CRITICI SU TRUMP
Cittadini fermati al confine, incatenati, detenuti per due o tre settimane e poi rilasciati
perché rei di aver violato le normative di accesso agli Stati Uniti, come scrive Il Corriere della Sera in un pezzo di Leonard Barbieri. Oppure, come Repubblica stamane, ci sono professori universitari fermati, a cui viene controllato il cellulare e trovati messaggi «di odio verso Trump» – sono rispediti in patria: è successo per un docente francese, rispedito nel suo Paese di provenienza per via dei suoi post contro il presidente.
La rigida gestione americana dei confini, promessa elettorale del presidente Donald Trump, inizia a pesare sul turismo e sugli spostamenti oltreoceano. Tanto da spingere il Ministero degli Esteri tedesco a cambiare le linee guida e le indicazioni per i viaggiatori diretti verso gli Stati Uniti. O motivando l’intervento diretto del ministro dell’Istruzione Superiore e della Ricerca francese, Philippe Baptiste, che ha giudicato la situazione «deplorevole».
Il professore francese cacciato per «messaggi di terrorismo contro Trump»
La storia più eclatante è proprio quest’ultima e risale allo scorso 9 marzo. Un noto professore francese, studioso del Centro nazionale di ricerca scientifica (Cnrs) e impegnato in attività spaziali, sarebbe infatti stato bloccato alla dogana in Texas, dove di lì a poco avrebbe dovuto prendere parte a una conferenza a Houston. Gli agenti americani lo hanno perquisito e hanno chiesto di controllare il suo cellulare, nel quale avrebbero ravvisato la presenza di «messaggi di odio verso Trump, qualificabili come terrorismo». A quel punto, lo hanno fatto risalire sul primo aereo diretto verso la Francia. Il caso ha scosso Parigi fino a far muovere il ministro dell’Istruzione superiore, che pur riconoscendo il diritto degli americano di rispedire indietro chiunque volessero, ha comunque rimarcato l’importanza della «libertà di espressione, ricerca e attività accademica». Bollando, dunque, come «deplorevole» il rimpatrio di un professore che aveva solamente «espresso un’opinione personale sulla politica dell’amministrazione riguardo agli studi scientifici».
L’allerta di Berlino: «Anche un leggero superamento della validità del visto porta a detenzione»
Anche Berlino ha dovuto adeguarsi alle nuove politiche americane. Il sito del Ministero degli Esteri, ora, cita tra le raccomandazioni di viaggio un elemento nuovo: «Le false dichiarazioni sul motivo del soggiorno o anche un leggero superamento della validità del visto possono portare all’arresto, alla detenzione e all’espulsione». Sono moltissimi, infatti, i cittadini tedeschi (e in generale europei) a essere stati detenuti brevemente nei centri di permanenza o respinti alla dogana. Molti hanno raccontato di essere stati trasportati al centro di deportazione «con una catena attorno allo stomaco, le manette e i ceppi alle gambe». Una 28enne inglese sarebbe stata tenuta per tre settimane perché, arrivata in Canada, era stata rispedita brevemente negli Stati Uniti per compilare alcuni fogli per il visto. Qui, nello spazio di pochi minuti, è stata ammanettata.
L’impatto sul turismo: perdita di 64 miliardi di dollari
E il turismo? Secondo tutte le compagnie aeree non c’è nessun impatto concreto: «Non notiamo alcun calo significativo della domanda di viaggio verso gli Usa», ha
detto il ceo di Air France-Klm Ben Smith. Ma le testimonianze di viaggi programmati e poi cancellati iniziano ad accumularsi. Le tariffe aeree nelle ultime tre settimane sono di molto inferiori alla media rispetto all’anno scorso e non subiscono il classico rialzo di prezzo nei giorni precedenti alla partenza. Secondo Tourism Economics i viaggi verso gli Stati Uniti caleranno del 5% quest’anno, causando una perdita di 64 miliardi di dollari per il settore turistico. Dall’Europa si registrano diminuzioni a tappeto dei viaggi verso l’altro continente: -9,5% dall’Italia, -6% dalla Francia, -7% dalla Germania a fronte di un -1,7% dall’intero Vecchio Continente.
(da Open)
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Marzo 22nd, 2025 Riccardo Fucile
“L’ESECUTIVO NON È MAI CADUTO PERCHÉ ESISTONO OPPOSIZIONI, MA NON UN’ALTERNATIVA DI GOVERNO” … “GIORGIA MELONI SI DOVREBBE RENDERE CONTO CHE TUTTI VANNO A WASHINGTON E LEI NO PERCHÉ NON C’È PIÙ BISOGNO DELL’ITALIA. RISCHIAMO DI ESSEREARLECCHINO SERVO DI DUE PADRONI”
Professor Prodi, ricomponiamo il puzzle: Strasburgo, 12 marzo, il Parlamento europeo approva la risoluzione sul piano di riarmo, con l’Italia al voto in ordine sparso. Lei che cosa avrebbe fatto?
«Avrei votato sì. Anche se si poteva cambiare nome fin dall’inizio. Era chiaro che si sarebbe trattato di un progetto di collaborazione di lungo periodo tra i Paesi europei».
La nuova formulazione utilizzata da Ursula von der Leyen, «Readiness 2030», ossia pronti nel 2030, la soddisfa?
«Mi ha fatto un po’ sorridere la dichiarazione di essere pronti a cooperare nel 2030. E arrivati a quella data che cosa succede? Non solo è una data lontana, ma manca totalmente l’indicazione di una volontà precisa sulla comune difesa. Sono passi ancora troppo prudenti. Una maggiore cooperazione senza contenuti non basta».
Il ministro Crosetto ha sostenuto che la difesa comune è una mezza utopia perché […per sbloccarla servirebbe un voto all’unanimità del Consiglio europeo.
«Ma di che cosa stiamo parlando? Il voto all’unanimità si può saltare, basta volerlo. E con l’euro che cosa abbiamo fatto? E se Orbán lo preferisce si faccia il suo esercito con i suoi pennacchi».
Suggerisce quindi un’Europa a due velocità sulla difesa?
«Certo, si parte con chi condivide il progetto. Poi chi vuole segue».
Il piano europeo, per come è stato congegnato, non rischia di far esplodere i debiti nazionali? La Germania si è mossa in autonomia attivando il suo «bazooka» e togliendo il freno agli investimenti. La Francia e la Polonia sono intenzionate a spendere, ma molti Paesi restano alla finestra.
«La questione del debito pubblico è diversa da Paese a Paese. È chiaro che la Germania nel 2030 avrà un esercito più forte di quello francese, perché ha un bilancio della difesa che è più del doppio. E quindi, come sempre ripeto, la questione è un’altra: Parigi dovrebbe condividere il diritto di veto e l’arma nucleare. È questo il problema vero. Solo così la stessa Francia rafforzerebbe la sua posizione. Purtroppo, invece, la democrazia lavora solo sul breve periodo».
I tedeschi si sono mossi con una velocità impressionante.
«Il ragionamento di Berlino è limpido. Prima si sentiva garantita dall’ombrello americano e sapeva che il peso del suo passato era condiviso da tutta l’opinione pubblica. Ora c’è stata una scossa alle fondamenta, lo scenario è mutato. Il presente e il futuro sono diversi dal passato. Guardiamo anche alla Gran Bretagna che aveva lasciato l’Europa per le sue nostalgie imperiali e perché l’antico legame con Washington le garantiva un marchio di diversità rispetto a noi. Adesso agli americani di loro non interessa più nulla. Gli inglesi stanno scoprendo che l’Unione europea non è un tiranno, ma un protettore. Penso che entro 15 anni rientreranno nella
comune casa di Bruxelles».
Lei ci crede nel processo di pace gestito da Putin e Trump?
«Non so come Trump abbia messo buono Zelensky, ma quel che è certo è che non si possono permettere di fallire. Sarà un cammino lungo e porterà obbligatoriamente a una conclusione».
Una volta definiti i contorni della pace serviranno truppe sul campo per difendere lo status quo?
«È prematuro parlarne e comunque sembra che ci si orienti a limitare il coinvolgimento di truppe di pace appartenenti solo a Paesi neutrali, escludendo quindi l’Europa. Una posizione difficilmente condivisibile. Inglesi e francesi dicono che sono disposti subito a inviare soldati perché tanto sanno che non lo dovranno fare».
Dopodiché Putin continuerà ad essere una minaccia?
«Sì se siamo divisi, no se siamo uniti. Se avessimo avuto la difesa comune, l’Ucraina non sarebbe stata invasa».
L’Italia è frammentata a destra e a sinistra, sia sul piano di difesa, sia sugli aiuti a Kiev. Perché?
«A destra e a sinistra ci sono radici storiche profonde che spiegano questa frantumazione. Giorgia Meloni politicamente parlando non nasce certo dalla Camera dei Comuni, ma affonda le sue radici in un ambiente di radicalismo di estrema destra. E anche a sinistra si sente l’eco di radicalismi altrettanto forti. È il ritorno degli ideologismi che sta rovinando anche l’America di Trump. Dottrina contro saggezza. Questa destra incapace vive perché la sinistra non è saggia. Se lo fosse non avrebbe indebolito la propria coalizione».
L’Europa è più figlia del Manifesto di Ventotene così duramente attaccato in Parlamento dalla premier Giorgia Meloni o dell’azione di De Gasperi?
«È una distinzione che non ha senso. Gli autori del Manifesto non erano a Ventotene in vacanza, ma perché là deportati e confinati dal fascismo. Che cosa potevano pensare in quel momento? Alla Magna Carta? Alle sottigliezze del bicameralismo?
Erano alle prese con il dramma del presente e hanno tratteggiato un sogno per il futuro. De Gasperi si è invece mosso a guerra finita, con realismo politico. È impressionante il gioco che fa Meloni e appare chiaro quanto sia pro Europa per possibile convenienza, ma non nell’anima».
La presidente del Consiglio sostiene che non va separata l’Europa dagli Stati Uniti.
«Meloni si dovrebbe rendere conto che tutti vanno a Washington e lei no perché non c’è più bisogno dell’Italia. Così rischiamo di essere Arlecchino servo di due padroni. Chirac mi diceva sempre: non c’è Europa senza l’Italia. Purtroppo non è più così. Il futuro cancelliere tedesco Merz si è fatto sfuggire che, a sostegno del tandem franco tedesco, c’è la Polonia e non più l’Italia. Questo è un nostro dramma nazionale».
Che cosa bisogna fare di fronte ai dazi di Trump?
«Vogliamo forse dire: fai pure? Non possiamo restare a guardare. Trump parla sempre di deficit americano nella bilancia commerciale con l’Europa. Questo è vero se parliamo di merci. Me se aggiungiamo anche i flussi di denari che derivano dai servizi, soprattutto dei big data, siamo noi in leggero passivo. E se poi trattenessimo, con l’unità dei mercati finanziari, i 300 miliardi di risparmi europei investiti in fondi americani, allora recupereremmo anche parte delle risorse che ci servono per la difesa».
Nel Pd, dopo il disastro del voto in Europa sul riarmo, con la linea della segretaria Schlein che ha rischiato di finire in minoranza, si è riaffacciata la parola congresso.
«Io non entro nel dibattito interno del partito. Ma dico che è urgente costruire un’alleanza che vinca alle prossime elezioni, un’alleanza progressista».
Poiché questa alleanza dovrebbe essere fatta con il Movimento 5 Stelle, non sembrano esserci i presupposti, al momento.
«È per questo che il governo non è caduto, nonostante lo stato in cui si trova. Perché esistono opposizioni, ma non un’alternativa di governo”
(da il Corriere della Sera)
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Marzo 22nd, 2025 Riccardo Fucile
I POSSIBILI QUATTRO LIVELLI DI INTERPOSIZIONE: I CASCHI BLU DELL’ONU (NON EUROPEI), NELLA ZONA DEMILITARIZZATA; LE FORZE UCRAINE; I “VOLENTEROSI” LUNGO IL CONFINE OCCIDENTALE, E INFINE IL BACKSTOP USA (A CUI TRUMP SI OPPONE)
“Con tutto il rispetto, l’Onu non ci proteggerà dall’occupazione o dal desiderio di Putin
di tornare. Non vediamo l’Onu come un’alternativa a un contingente o a garanzie di sicurezza”.
È quanto ha affermato il presidente ucraino Volodymyr Zelensky in una conferenza stampa con il presidente ceco Petr Pavel, in cui gli è stato chiesto un commento sulla possibilità di una missione di peacekeeping in Ucraina sotto la guida dell’Onu
“L’Onu non può essere un’alternativa alle garanzie di sicurezza, perché l’Onu non avrà alcun mandato per proteggere l’Ucraina se Putin si rivolgerà di nuovo a noi con la guerra”, ha aggiunto Zelensky, come riporta Rbc-Ukraine.
Da un lato il piano di riarmo dell’Unione europea, ribattezzato Readiness 2030, e dall’altro il sostegno militare all’Ucraina in vista di un cessate il fuoco. Sono i dossier al centro della riunione ieri tra i vertici delle istituzioni Ue e dei cosiddetti Paesi «like-minded», ovvero che la pensano allo stesso modo.
Nella riunione è stata ribadita la posizione dell’Ue di sostegno all’Ucraina e sottolineato che «la pace non dovrebbe premiare l’aggressore e che la pressione sulla Russia dovrebbe essere intensificata», spiega una nota.
Inoltre è stata «elogiata» l’iniziativa di Francia e Regno Unito di formare una coalizione di volonterosi volta a definire il sostegno all’esercito ucraino e le garanzie di sicurezza. La Multinational Force Ukraine , che dovrebbe essere composta da circa 20 mila uomini, servirebbe per consolidare il cessate il fuoco ma è insufficiente per difendere l’intero confine ucraino.
Dunque è allo studio un meccanismo che prevederebbe il coinvolgimento delle Nazioni Unite e degli Stati Uniti, costruito su quattro livelli di interposizione. I caschi blu dell’Onu, provenienti da Paesi non europei — riferisce l’ Ansa — verrebbero schierati nella zona demilitarizzata per osservare il rispetto della tregua. La seconda linea sarebbe costituita dalle forze ucraine. La terza dal contingente dei volenterosi, che potrebbero essere dislocati lungo il confine occidentale ucraino. Il quarto sarebbe il backstop Usa, ma finora Trump ha sempre dichiarato di non essere disponibile a fornire alcun supporto militare. Il piano avrebbe l’obiettivo di convincerlo.
(da agenzie)
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Marzo 22nd, 2025 Riccardo Fucile
SAREBBE UN AVVERTIMENTO PER IL PAESE PIU VICINO ALL’UCRAINA: IL PREMIER BRITANNICO, KEIR STARMER, È IL PALADINO DELLA RESISTENZA DI KIEV, E IERI IN INGHILTERRA C’È STATO IL VERTICE MILITARE DEI “VOLENTEROSI” A SOSTEGNO DEL PIANO DI DIFESA DEL PAESE INVASO DAI RUSSI
Nella peggiore delle ipotesi è un attentato. Un’azione di disturbo. Spie russe. Intimidazione. Tutti lo pensano, molti lo sussurrano, i giornali più compassati (Guardian, Times, Telegraph) riportano per il momento solo la notizia che sta indagando l’antiterrorismo
I tabloid, quelli più letti e che più leggono la pancia del popolo (vedi il Daily Mail)
parlano di «Putin fingerprint» e si domandano: c’è lo zampino di Putin dietro il grande incendio che ha causato il caos nel cieli britannici e del mondo?
Le suggestioni ci stano tutte. Il premier britannico Keir Starmer si è fatto paladino europeo della resistenza di Kiev, proprio ieri in Inghilterra si è tenuto il vertice militare dei “volenterosi” per mettere a punto il piano di difesa dei cieli e mari ucraini. Quale migliore beffa che attaccare l’amico del tuo nemico in casa propria, colpire proprio i suoi, di cieli?
Un avvertimento. Una provocazione. Suggestioni diciamo, ma che quando si parla di Russia e Inghilterra ci stanno tutte. Risalendo a ritroso nel tempo si può partire dai Cinque di Cambridge, il quintetto di insospettabili spie britanniche al servizio dell’Unione Sovietica, passando per Ian Fleming e il suo agente con licenza di uccidere, e per Graham Greene e John Le Carré.
Questo mistero è materiale che si aggiunge alla lunga serie di avvelenamenti per polonio, alle morti misteriose di oligarchi e oppositori del regine putiniano. Insomma, Londra e l’Inghilterra si confermano luoghi ideali per lavorare di fantasia e il tetragono palazzo dell’MI5 sulle rive del Tamigi, proprio dall’altra sponda rispetto alla City, aiuta a fomentare le storie e nutrire l’immaginazione.
Rimanendo alla realtà, la Bbc ieri ha parlato molto di «critical national infrastructure» e di Npsa. I primi sono gli obiettivi sensibili, cioè «strutture, sistemi, siti, informazioni, persone, reti e processi necessari al funzionamento di un Paese e da cui dipende la vita quotidiana».
L’altra è l’agenzia governativa che dovrebbe garantirne la sicurezza (da attacchi terroristici o minacce informatiche), e dipende dall’MI5.
Il caos di ieri è stato causato da un singolo incendio in una sottostazione elettrica. Che sia intenzionale o no, rimane la grande domanda: come è possibile che non ci sia un piano B per proteggere una parte così vitale dell’infrastruttura britannica? Mistero.
(da La Stampa)
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Marzo 22nd, 2025 Riccardo Fucile
DOPO QUELLA SMENTITA A CAGLIARI, L’INDAGINE SUL TITOLO DI STUDIO CONSEGUITO DALLA RESPONSABILE DEL WELFARE DEL GOVERNO MELONI… CON MOLTE SORPRESE
Una laurea conseguita all’univesità privata Link Campus di Roma. Triennale in
Economia Aziendale nel 2012 e Magistrale in Gestione Aziendale nel 2016. Ma con una serie di stranezze. Come i due esami dati in un giorno e durante il week end. O la mancata certificazione dell’Anagrafe degli Studenti presso il ministero dell’Istruzione.
Ma almeno, spiega oggi Il Fatto Quotidiano, pagata poco. La ministra del Welfare Marina Elvira Calderone finisce nei guai per il titolo di studio. Per la seconda volta: Wikipedia le attribuiva infatti una laurea all’università di Cagliari che però l’ateneo ha smentito. E nel 2015, durante il suo corso di studi alla Link, suo marito Rosario De Luca sedeva nel cda dell’università.
La strana laurea della ministra Calderone
Calderone ha un diploma in ragioneria. Nel 2016, a 51 anni, ha preso il titolo alla Link, ex Libera Università di Malta.
Thomas Mackinson ha controllato il suo statino degli esami. In più occasioni ne dava due al giorno e perfino di domenica, quando l’università era chiusa. Il suo portavoce ha scritto al quotidiano confermando i due titoli. Alla richiesta di mostrare libretti d’esame e diplomi, la ministra però si oppose: «Non è solita ostentare i pieni voti». Calderone Marina Elvira risulta iscritta alla triennale della Link dall’1 novembre 2011, Ovvero dal giorno in cui le venivano convalidati due esami che derivavano da una precedente iscrizione all’università maltese. L’Ans poi dice che Calderone non ha conseguito il diploma della triennale.
Il titolo di studio all’estero
Ci sono due esami convalidati nella banca dati della Link: Economia Aziendale (25/30) e Ragioneria Generale ed Applicata (26/30). « Tra il 2011 e il 2012 l’università aveva avviato l’iter per il riconoscimento dei titoli in Italia. Molti studenti hanno sfruttato il cambio di status per far valere esami attestati con documenti cartacei non tracciabili, anziché digitali in PDF e firmati digitalmente dai docenti, gli unici legalmente validi e non alterabili», dice una fonte interna alla Link. Il direttore (dal 2020) Roberto Russo però non ne sa nulla: « Io non c’ero, ho solo il racconto di chi ha una memoria storica di quel periodo di transizione, che aveva creato problemi nella convalida di esami e titoli e nelle progressioni di carriera».
Il marito
Nel 2015 il marito Rosario De Luca sedeva nel Cda proprio della Link. Mentre lei, da presidente del Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro, aveva aperto le porte agli studenti con convenzioni e borse di studio. E due anni dopo la laurea l’Ente previdenziale dei consulenti del Lavoro (Enpacl) darà 15 milioni di euro al fondo per la ristrutturazione degli immobili dell’ateneo. Dal 2010 per legge i consulenti del lavoro devono essere laureati. Calderone dà 11 esami in quattro anni. Il primo febbraio 2013 tocca “Modelli di governance e gestione delle organizzazioni complesse”. Lo stesso giorno anche “Diritto della concorrenza e regolamentazione dei mercati”. A giugno 2014 ne dà tre in tre settimane. Due addirittura nello stesso giorno. Il primo giugno supera “Economia dell’Innovazione” e “Teoria delle decisioni e knowledge management”.
110 e lode
Anche altri esami vengono dati di domenica. Il 26 luglio 2016 Marina Elvira si laurea, a pieni voti, con 110 e lode. L’ultimo punto sono i costi.
Secondo l’anagrafe dei contributi del ministero per la magistrale ha pagato solo il costo del bollo (1 euro), più altri 3 per la contabilità della Link. Il biennio costa circa 10 mila euro. A lei è stato però applicato uno sconto su tasse e rette pari al 50%. Nonostante questo, risulta abbia pagato 500 euro di iscrizione e una sola rata da 850. Le altre sei, per un totale di 5.100 euro, risultano ancora oggi “da pagare” e “scadute”.
(da Open)
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Marzo 22nd, 2025 Riccardo Fucile
TRUMP E’ UN’IDEA DI POTERE CHE NON CONOSCE PIU’ IL SENSO DEL LIMITE… LE ELITE CHE HANNO PERSO PESO E IL MANDATO POPOLARE DIVENTATO LO STRUMENTO DI UNA DEMAGOGIA SMISURATA…RILEGGERE ORTEGA Y GASSET E PENSARE ALL’EUROPA
Penso a Trump numero 2, uno che in due mesi di regno incontrastato può riabilitare gli assalitori del Congresso, una folla golpista elevata al rango di “prigionieri politici”; riabilitare Putin e i suoi progetti di urto blindato con l’Europa, di devastazione dell’Ucraina, e i suoi mezzi al veleno nella lotta contro il dissenso di minoranza; uno che in due mesi può sconvolgere l’economia mondiale perseguendo in forma erratica e bassamente profetica (l’età dell’oro, Make America Great Again) il riequilibrio protezionista della bilancia commerciale, in sé un obiettivo legittimo; uno che in due mesi trasforma la sacrosanta insofferenza per gli automatismi ideologici delle élite woke nella caccia violenta al Deep State cosiddetto, nella sfida spaccona all’establishment europeo e americano, nell’alleanza con le destre impresentabili, lunatiche, intrise di sottocultura völkisch e con punte di radice neonazista, tedesche o britanniche; uno che in due mesi distrugge il mitico rispetto americano per le decisioni dei giudici e per il ruolo insostituibile della stampa indipendente, minacciando la libertà civile e sequestrando per sé, per il suo ego, gli immensi poteri dell’esecutivo in un sistema presidenzialista che nella sua idea di potere non conosce più il senso del limite e della sua divisione, dei controlli costituzionali. Bisogna fidarsi della ragione, dell’istinto, del gusto e perfino di certi amabili pregiudizi nel giudicare le pulsioni di un periodo o di un’epoca che si stenta a capire, che ci allontana da solide certezze e da concetti ben definiti (e lasciamo stare i “valori” di Serra o di Veltroni e di altri celebratori di feticci, come il bollito di successo di Rai 1).
Istinto, ragione personale, gusto, pregiudizi d’accordo. Però i libri, i buoni libri, aiutano a dare un senso compiuto a quanto di astratto, di intellettualistico, di volitivo si cela dietro il nostro rigetto di un fenomeno che sta avvolgendo il mondo in quella che ci sembra una cappa di irrazionalismo politico, di pericoloso vitalismo senza regole e criteri. Ogni volta che accendo la Cnn o la Fox o la Bbc o leggo un giornale pro o contro il trumpismo, ogni volta che esamino i fatti che si squadernano davanti ai miei occhi, raccontati con furia fanatica e faziosa o con cura analitica dalle diverse testate, estraggo da quel che vedo due giudizi.
Le élite hanno perso peso, prestigio, legittimazione e sono diventate la caricatura di sé stesse, vivono in un mondo separato dalla vita del corpo grosso del popolo, un mondo irreale di “valori” senza basi nel consenso democratico e nella volontà popolare come si esprime nei numeri e nella funzione dell’uomo medio, del cittadino comune, della sua mentalità; il mandato popolare, dall’altra parte, è una fonte di
legittimità senza la quale la democrazia non esiste proprio, ma è diventato lo strumento di una demagogia smisurata, che distrugge la divisione dei poteri, la trama liberale essenziale a una democrazia effettiva che non può vivere dell’esclusivismo volatile, imprevedibile, incendiario del capo e di un mandato imperativo della maggioranza elettorale, brandito come una clava e impiegato distruttivamente a erodere le fondamenta di un sistema costituzionale di pesi e contrappesi.
Bene. “La rebelión de las masas” del filosofo spagnolo José Ortega y Gasset è stato pubblicato (erano articoli scritti a partire dal 1927) nel 1930. Sette anni dopo l’avvento del fascismo italiano, tre anni prima della Machtergreifung hitleriana, nel pieno della crisi delle democrazie europee, dalla Repubblica di Weimar alla Terza Repubblica francese, non escluse le tensioni della democrazia britannica, per non parlare di quel che stava per succedere in Spagna con la guerra civile.
Un vecchio saggio storico eccellente, ma proprio eccellente, di Maurizio Serra, dedicato agli anni Trenta europei e in particolare al fenomeno ideologico artistico e politico degli “esteti armati”, mi ha riproposto con estrema vividezza la diagnosi di Ortega sull’Europa delle democrazie in crisi, che sembra l’archetipo storico di quanto sta accadendo in America con Trump e il movimento Maga al potere, e che si prolunga tendenzialmente in fenomeni paralleli o convergenti, per adesso ancora minoritari, sul nostro suolo europeo.
Ortega era contro il bolscevismo e il fascismo, che considerava primitivi e barbari. Era spaventato da quel senso smarrito della storia e del suo significato umanistico circolante nell’Europa di quel tempo, il ricatto della gioventù, come lo chiamava (giovinezza, giovinezza, primavera di bellezza), il divorzio tra cultura e vita.
Ma percepiva l’impossibilità di una mera difesa statica, rigida, dell’impianto liberale della vecchia Europa che gli anni Trenta rischiarono di spazzare via (e per questo, in tempi successivi di dogmatismo liberal, fu considerato a torto un pensatore reazionario tout court).
Scrive Maurizio Serra (pagina 37 dell’edizione francese) che secondo Ortega niente sarebbe stato possibile fare di buono e di efficace contro la dissoluzione democratica “se la rifondazione delle élite non fosse stata accompagnata da un modello di aggregazione delle masse (che erano, ndr) il fenomeno sociale più importante del XX secolo. La sola possibilità di sopravvivenza della cultura umanista passava per il dialogo con le masse, allontanate dalle sollecitazioni dei nuovi miti”.
Giuliano Ferrara
argomento: Politica | Commenta »