Marzo 31st, 2025 Riccardo Fucile
CONDANNATI ANCHE GLI ALTRI OTTO EURODEPUTATI, UNA FRODE DA 2,9 MILIONI DI EURO ATTRAVERSO CONTRATTI FITTIZI CON PROVE SCHIACCIANTI… I GIUDICI HANNO APPLICATO LA LEGGE, NON SERVE FARE LE VITTIME QUANDO SI E’ CARNEFICI
Marine Le Pen e otto eurodeputati sono stati condannati di appropriazione indebita di fondi pubblici. Lo rende noto il tribunale di Parigi dove oggi – lunedì 31 marzo – si è svolto il processo sugli assistenti degli eurodeputati del Rassemblement National al Parlamento europeo di Strasburgo.
La leader di estrema destra è stata condanna a quattro anni, di cui due senza condizionale con possibilità di braccialetto elettronico, e all’ineleggibilità «con effetto immediato»: non potrà, dunque, candidarsi alle Presidenziali del 2027.
Per Le Pen anche una multa di 100mila euro.
Lunedì mattina, prima della decisione dei giudici, la leader dell’estrema destra francese, consapevole dell’importanza della sentenza per il partito, ha evocato per la prima volta la possibilità che sia il suo «delfino» Jordan Bardella il candidato del Rn per le prossime presidenziali. «Jordan ha la capacità di essere presidente della Repubblica», ha detto la capogruppo parlamentare del partito.
I giudici: «2,9 milioni di euro sottratti al Parlamento Ue»
Il caso era emerso già nel 2014, quando il Parlamento europeo aveva segnalato dei sospetti impieghi fittizi da parte del Front National (ora Rassemblement). Le Pen è accusata di aver messo le mani illecitamente su fondi tramite finanziamenti di assistenti parlamentari europei, che in realtà tra il 2004 e il 2016 lavoravano per il partito in Francia e non a Bruxelles o Strasburgo. Secondo il tribunale di Parigi, l
leader del Rassemblement National avrebbe fatto pagare al Parlamento europeo stipendi per 2,9 milioni di euro a persone che non lavoravano nell’emiciclo dell’Unione europea. In particolare, la cifra indebita contestata a Marine Le Pen sarebbe di 474mila euro. «Le Pen è al centro di questo sistema, dal 2009, con autorità»: è quanto dichiarato dalla presidente del tribunale di Parigi, Benedicte de Perthuis, pronunciando le sentenze. Prima del termine della lettura della sentenza, Marine Le Pen è uscita dal tribunale. Secondo il Guardian, si sarebbe recata alla sede centrale del partito dove incontrerà Jordan Bardella.
Il rischio dell’ineleggibilità e il successore Bardella
In poche parole, anche se Le Pen dovesse presentare ricorso in appello, la condanna sarà comunque in effetto senza attendere la condanna definitiva. I nove europarlamentari, tra cui Marine Le Pen, e i dodici assistenti parlamentari oggi dichiarati colpevoli al tribunale di Parigi hanno firmato dei «contratti fittizi», nel quadro di un vero e proprio «sistema» di appropriazione indebita all’interno del Rassemblement National: è quanto dichiarato dalla presidente del tribunale, Bénédicte de Perthuis, nel giorno delle sentenza a Parigi. «E’ stato accertato che tutte queste persone lavoravano in realtà per il partito, che il loro deputato (di riferimento) non aveva affidato loro alcun compito» e che «passavano da un deputato all’altro», ha precisato la magistrata, aggiungendo: «Non si trattava di mutualizzare il lavoro degli assistenti quanto piuttosto di mutualizzare le risorse dei deputati». De Perthuis ha poi avvertito: «Che le cose siano chiare: nessuno viene processato per aver fatto della politica, non è il tema. La questione è sapere se i contratti sono stati eseguiti o meno».
(da agenzie)
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Marzo 31st, 2025 Riccardo Fucile
DIFENDONO LA TRUFFATRICE CHE SI E’ FREGATA I SOLDI DEI CONTRIBUENTI ANCHE VIKTOR ORBAN CHE ESPRIME SUBITO SOLIDARIETÀ E MATTEO SALVINI CHE DELIRA DI “DICHIARAZIONE DI GUERRA” DI BRUXELLES… UNA VOLTA LE DESTRE (QUELLE VERE) VOLEVANO I DELINQUENTI IN GALERA
La condanna all’ineleggibilità di Marine Le Pen è una ”dimostrazione di come in
Europa vengano violate le norme democratiche”. Lo ha dichiarato il portavoce del Cremino Dmitry Peskov in un briefing. In ogni caso, ha precisato Peskov, ”la Russia non ha mai interferito negli affari interni della Francia e non ha intenzione di farlo ora”
“Le nostre osservazioni nelle capitali europee indicano che non esitano assolutamente ad andare oltre i confini della democrazia durante il processo politico”: così il portavoce di Vladimir Putin, Dmitri Peskov, ha commentato il processo a Marine Le Pen.
Lo riporta l’agenzia Interfax, secondo cui Peskov ha dichiarato che Mosca “non vuole interferire negli affari interni della Francia e non lo ha mai fatto”, ma ha dichiarato che, a suo parere, “le norme democratiche vengono violate” per quanto riguarda Marine Le Pen e le elezioni presidenziali in Romania.
Il primo ministro ungherese, Viktor Orban, ha espresso solidarietà alla leader del Rassemblement National (Rn), Marine Le Pen, giudicata colpevole di appropriazione indebita di fondi pubblici. “Je suis Marine!” ha scritto su X il primo ministro, riecheggiando lo slogan ‘Je suis Charlie’ utilizzato per esprimere solidarietà al settimanale satirico francese Charlie Hebdo dopo l’attentato terroristico del 2015. Il partito di Orban, Fidesz milita insieme al Rn nel gruppo dei Patrioti al Parlamento europeo.
”Chi ha paura del giudizio degli elettori, spesso si fa rassicurare dal giudizio dei tribunali. A Parigi hanno condannato Marine Le Pen e vorrebbero escluderla dalla vita politica. Un brutto film che stiamo vedendo anche in altri Paesi come la Romania.
Quella contro Marine Le Pen è una dichiarazione di guerra da parte di Bruxelles, in un momento in cui le pulsioni belliche di Von der Leyen e Macron sono spaventose. Non ci facciamo intimidire, non ci fermiamo: avanti tutta amica mia!”. Così Matteo Salvini, leader della Lega e vicepremier italiano.
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Marzo 31st, 2025 Riccardo Fucile
DUE DECRETI DI PIGNORAMENTO SCOPERTI DA “DOMANI” SVELANO LA STORIA SEGRETA DEI CREDITORI DEL MINISTRO DELLA DIFESA…LA CASA IN VIA MARGUTTA E I CONTI ALL’HOTEL DE RUSSIE DI ROMA
«Vorrei che qualcuno si prendesse la briga di confrontare i redditi dichiarati nei decenni da esponenti politici autorevoli e non, da burocrati e anche da magistrati, con il patrimonio mobiliare e immobiliare accumulato. Si cominci pure dal mio».
Il 9 marzo scorso, il ministro della Difesa Guido Crosetto ha rilasciato una nuova intervista al Corriere della Sera. Temi affrontati: guerra, pace, origini politiche e imprenditoriali, la magistratura, pure la vera storia della foto iconica di lui che solleva sulle sue braccia Giorgia Meloni nei giorni della fondazione di Fratelli d’Italia. Il colloquio serve anche a celebrare l’esordio da scrittore del ministro, con l’uscita del suo libro “Storie di un ragazzo di provincia”.
Ma è quel passaggio che colpisce più di altri. Quando, cioè, alla fine dell’intervista, Crosetto invita a verificare l’entità dei patrimoni dei politici, a cominciare dal suo. Come dire: fatemi pure le pulci, non ho nulla da nascondere.
Domani ha così raccolto l’invito e ha indagato. E ha scoperto un capitolo sconosciuto della vita da debitore dell’attuale capo della Difesa italiana.
Se la destra e i suoi media attaccano sistematicamente i poveracci che occupano abusivamente appartamenti e chi ha fatto della battaglia per il diritto alla casa una ragione politica (Ilaria Salis), è un’altra casa a rischiare di portare altri imbarazzi al ministro, come già avvenuto per l’appartamento di Carmine Saladino, il suo amico imprenditore della cybersicurezza che lo ha ospitato gratis – come raccontato dal Fatto Quotidiano – per qualche mese. Ma almeno in quel caso non c’erano contenziosi, era solo una cortesia tra amici, a differenza delle storie che Domani è in grado di raccontare.
Sono vicende di affitti mai pagati, dimore da sogno nel cuore della Capitale, di debiti (“buffi”, dicono a Roma) lasciati in lussuosi alberghi a 5 stelle e appartamenti di privati per un totale di 100mila euro, saliti con gli interessi a oltre 200mila.
Che non si tratti di mere questioni private è un’ovvietà per un ministro della Repubblica. Le contestazioni dei creditori incrociano la sua carriera politica e imprenditoriale, dalla fondazione di FdI alla presidenza dell’associazione confindustriale degli armamenti, l’Aiad, di cui Crosetto è stato al vertice fino alla nomina a ministro.
Sollevando peraltro dubbi sull’opportunità di accettare l’incarico visto il potenziale conflitto di interessi: le aziende affiliate all’Aiad, che lo avevano ingaggiato come consulente ben pagato come scoperto da Domani, sono allo stesso tempo clienti d’oro del dicastero che ora guida.
Il pignoramento
Partiamo dall’inizio delle vicende. Il battesimo del movimento politico, creato assieme a Giorgia Meloni e Ignazio La Russa, risale al 28 dicembre 2012. Appena tre mesi più tardi, esattamente il 27 marzo 2013, a Crosetto viene notificato un decreto ingiuntivo per il mancato pagamento di un debito da 42mila euro verso un ex ingegnere delle Ferrovie dello stato e sua moglie. Si tratta dei proprietari dell’appartamento a Roma, nella cornice mozzafiato di via Margutta, vicino a piazza di Spagna: 130 metri quadri divisi in quattro vani, al tempo affittato da Crosetto. A quel decreto è seguito, un anno più tardi, l’ipoteca giudiziale di una porzione di un immobile intestato al ministro nella sua provincia di origine, Cuneo.
Il valore del pignoramento è però montato di parecchio aumentato in quel lasso temporale: tra interessi, spese, tasse, costi legali e «canoni successivi fino al rilascio (22 maggio 2014)» la cifra è diventata di 160mila euro. L’ipoteca iscritta è stata cancellata solo due anni più tardi, nel settembre 2016, come si legge nell’atto catastale.
Nel frattempo Crosetto aveva assunto il ruolo di grande capo dei lobbisti delle industrie degli armamenti con annesse consulenze milionarie. Solo nel 2016, dunque, sana la posizione e quindi elimina il vincolo giudiziario sull’abitazione cuneese. Avremmo voluto sapere di più su l’origine del debito: forse il proprietario non aveva rispettato le condizioni contrattuali e così il fondatore di Fratelli d’Italia ha deciso che non gli avrebbe più versato le mensilità? O, semplicemente, Crosetto non ha potuto versare i canoni previsti per altri motivi? Né il creditore, né il suo legale hanno voluto rispondere alle nostre domande.
«Di questa faccende non parlo, la prego di non fare altre domande», è l’invito con tono preoccupato del vecchio padrone di casa di Crosetto. «Io e lei non ci siamo mai sentiti, d’accordo?», aggiunge per poi chiosare, prima di riattaccare: «Se parla di me la riterrò responsabile». Proviamo a chiedere del perché tanto mistero e timore attorno a un decreto ingiuntivo, in una vicenda in cui è parte lesa. Ma la nostra domanda resta senza risposta.
Stesso ermetismo mostrato dall’avvocato dell’ex ingegnere: «Sono tenuta al segreto», taglia corto nonostante le facciamo notare che il decreto di pignoramento non è coperto da nessuna classificazione particolare. Non resta che ipotizzare: forse Crosetto è giunto a un accordo di riservatezza dopo la cancellazione e il pagamento del debito? E se così fosse, perché segretare una lite per affitti non versati?
«Siete delinquenti, diffamatori», è la prima replica del ministro che non intende rispondere nel merito. Tuttavia, Crosetto, ci ha chiesto di inserire una dichiarazione: «Io non rispondo alle domande di giornalisti che ho denunciato per atti gravissimi nei confronti miei, della mia famiglia e che sono tuttora indagati dalla procura di Roma. Persone che interpretano il giornalismo attraverso la commissione di atti illegali. C’è un limite che spero verrà sanzionato dalla giustizia». Domani ha inviato comunque le domande anche all’ufficio stampa, che ha replicato: «No comment, no domande, no nulla».
Per la cronaca, il ministro ha fatto un esposto per cercare la fonte delle inchieste sui suoi compensi milionari: per questo motivo tre giornalisti (Tizian, Trocchia e Vergine) sono ancora indagati a piazzale Clodio.
Hotel de Russie
I dubbi sulla casa di via Margutta restano. Non sono i soli però. Il tempo di chiudere la parentesi burrascosa in casa del professionista, ed ecco arrivare una seconda «ipoteca giudiziale» per 60mila euro sulla medesima porzione di abitazione di cui è proprietario in Piemonte: questa volta il documento è datato 21 aprile 2016, è «derivante da una sentenza di condanna» e la parte lesa è la società Hotel di Russia Spa, che gestiva l’albergo de Russie, in via del Babuino, struttura amata da Picasso nei suoi viaggi romani.
Il domicilio dorato a un passo da piazza di Spagna è nell’antologia dei primi ritratti del «gigante di Marene», dal paese in provincia di Cuneo da cui proviene. Alloggiava nell’albergo di lusso anche nei primi anni da deputato. La scelta sfarzosa suscitava curiosità in alcuni e critiche da altri. Lui al cronista del Corriere spiegava così la decisione: «Primo: sono uno che fuma molto e, quindi, poiché credo di avere i giorni contati, voglio vivere decentemente. Secondo: i soldi li ho di mio, e quelli che spendo non sono i soldi della politica».
La rivendicazione del diritto al lusso la ritroviamo in un articolo del 2014: ora sappiamo che in quell’anno aveva ricevuto da poco il primo decreto ingiuntivo per affitti non pagati dai proprietari di casa di via Margutta, che è a due passi dalla storica insegna dell’hotel De Russie. Anche qui, certificano i documenti che pubblichiamo, i soggiorni di Crosetto hanno avuto un esito contabile burrascoso, con la contestazione dei debiti accumulati.
Quando ha ricevuto questo secondo pignoramento, l’attuale ministro era saldamente al comando di Aiad, nonché socio da cinque anni in aziende con sede legale nella capitale assieme ai fratelli Mangione, con trascorsi giudiziari movimentati seppure sempre usciti indenni, assieme al padre, dalle inchieste sulla criminalità organizzata che hanno toccato mammasantissima di camorra e banda della Magliana a metà anni Novanta.
Crosetto è ancora oggi in società con i Mangione. Nello stesso periodo delle notifiche dei decreti ingiuntivi era anche azionista di Agriscambi, dichiarata fallita nel 2021 con Tfr da pagare ai dipendenti. Insomma tra le consulenze del settore armamenti e l’attività da imprenditore, non si può certo dire che a Crosetto mancassero le possibilità di guadagno. Eppure si è ritrovato a fronteggiare la seconda ipoteca
giudiziale in seguito a una sentenza di condanna, come recita l’atto registrato in conservatoria: vuol dire, cioè, che è stato riconosciuto il danno subito dalla struttura alberghiera.
Dopo il procedimento, Crosetto ha chiuso anche questa pratica e ha ottenuto la cancellazione tra il 10 marzo e il 5 giugno 2017. Domani ha chiesto informazioni al legale che aveva seguito la pratica contro Crosetto per conto dell’hotel de Russie. Anche lui, come tutti gli altri, ha risposto con un secco no comment: «Sono questioni coperte da riservatezza», ha tagliato corto.
Nel trambusto dei creditori che bussavano alla sua porta, arriva così il 2018 e l’elezione in parlamento con Fratelli d’Italia. Si dimetterà, tuttavia, poco dopo per mantenere il suo ruolo di presidente Aiad. Una scelta per mettere a tacere le polemiche sull’incompatibilità del doppio ruolo.
Alla fine aveva optato per quello più remunerativo, cioè presidente della lobby degli armamenti. Il prestigioso ruolo gli ha permesso di accumulare laute consulenze da colossi del settore, Leonardo, Orizzonti sistemi navali, Elettronica Spa, Sio Spa: compensi che negli anni hanno portato nelle casse private di Crosetto oltre 2 milioni di euro. Di certo la tendenza a non pagare l’affitto è emersa anche in un altro caso, svelato dal Fatto Quotidiano ormai più di un anno fa. Appena nominato ministro Crosetto è andato a vivere nell’appartamento di un suo caro amico imprenditore della cybersicurezza, Carmine Saladino, in affari con la pubblica amministrazione e soprattutto con la Difesa. Qui non è nato alcun contenzioso per lo stretto legame tra i due: di sicuro è va a vivere da Saladino dopo anni di liti e affitti non pagati in altre case.
«Ma perché avrei dovuto iniziare a pagare l’affitto di una casa in cui neanche abitavo visto che c’erano lavori?», ha detto sempre nella stessa intervista del 9 marzo al Corriere. Secondo il Fatto però la sua versione è fragile. L’odore del conflitto di interessi è forte. Uno dei tanti, ai quali si aggiungono debiti, decreti ingiuntivi, ipoteche cancellate e testimoni reticenti. Sono “storie di un ragazzo di provincia”, che mai leggerete nel libro pubblicato dal ministro che non pagava affitti.
(da editorialedomani.it)
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Marzo 31st, 2025 Riccardo Fucile
COLPA DEL SOTTOSEGRETARIO MELONIANO CHE, DOPO LE DIMISSIONI DI GIOVANNI RUSSO, HA ANNUNCIATO COME SUCCESSORE LA FACENTE FUNZIONE LINA DI DOMENICO. PECCATO CHE SI SIA DIMENTICATO DI AVVERTIRE PRIMA IL CAPO DELLO STATO, A CUI SPETTA FORMALMENTE LA SCELTA… DA QUI LO STALLO PER UNA QUESTIONE DI FORMA, DIVENTATA ANCHE DI SOSTANZA: DELMASTRO PENSA CHE LE CARCERI SIANO ROBA SUA
Altare della Patria, martedì pomeriggio festa della polizia penitenziaria. Lo scenario,
come ogni anno, è quello delle occasioni solenni: c’è il ministro della Difesa, Guido Crosetto. E quello della Giustizia, Carlo Nordio. Il corpo schierato. La diretta della Rai.
Il programma prevede la premiazione di tre agenti che si sono distinti nel corso dell’anno. E in tutti e tre i casi lo speaker pronuncia la stessa frase: «A premiare, il sottosegretario Andrea Delmastro». «Il punto è questo: i riflettori devono essere tutti i suoi».
Una fonte di governo racconta e spiega così il perché in Italia sta accadendo una vicenda senza precedenti nella storia del Paese: da tre mesi, dal 27 dicembre scorso, il Dap, il Dipartimento di amministrazione penitenziaria, e quindi anche la polizia penitenziaria, sono senza guida. E lo sono in uno dei momenti più neri della storia delle nostre carceri: il record di suicidi, le celle che scoppiano, l’allarme sul boom dei cellulari ai detenuti.
Da quando Giovanni Russo, il magistrato scelto dal governo Meloni per guidare le carceri italiane, lasciò l’incarico all’improvviso ma non a sorpresa, nessuno ha occupato ancora quel posto. E questo perché il ministero della Giustizia e in particolare il sottosegretario Delmastro, hanno solo un nome: la facente funzione Lina Di Domenico.
E il Quirinale, invece, a cui spetta formalmente la scelta (è il presidente della Repubblica, anche a capo delle forze armate, a doverla firmare) non procede perché la vicenda è diventata un pasticcio. Subito dopo le dimissioni di Russo, via Arenula aveva infatti fatto filtrare ai giornali il nome di Di Domenico con la certezza dell’indicativo: sarà lei il nuovo capo.
Peccato che nessuno aveva avvisato o si era confrontato con il Quirinale. Da qui lo stallo per una questione di forma, evidentemente. Ma che è diventata da subito anche di sostanza. Il sottosegretario come racconta il dettaglio, piccolo ma significativo, delle premiazioni davanti alle telecamere nel giorno della festa del corpo – ritiene di essere il vero capo del dipartimento.
Russo è andato via per questo: i rapporti erano diventati pessimi, ancor di più dopo la deposizione del magistrato davanti ai giudici romani sul caso Cospito, testimonianza che si è poi rivelata centrale per la condanna. Di Domenico viene raccontata da tutti come persona valida e rispettabile.
Nonostante i rapporti non idilliaci con tutti i sindacati e le uscite infelici – come «l’intima gioia nel sapere che non lasciamo respirare chi sta dietro il vetro oscurato di questa auto» nella presentazione delle nuove vetture – che hanno sollevato polemiche, le carceri sono roba sua. Tanto che in questi mesi non ha mai fatto passi indietro.
Tutto questo mentre la situazione nelle nostre carceri è tragica. Il 2024 è stato l’anno record per numero di suicidi: 90 morti, mai così male. Il 2025 non è iniziato meglio: 20 i suicidi in tre mesi, con una situazione di sovraffollamento sempre peggiore. «Mancano ottomila agenti» denuncia il segretario della UilPa, Gennarino De Fazio
C’è poi l’emergenza criminale. Come hanno avuto modo di denunciare i procuratori delle distrettuali antimafia, clamoroso il caso dei cellulari. «Chi è in carcere – ha detto tra gli altri il procuratore di Napoli, Nicola Gratteri – ha un filo diretto con l’esterno come se niente fosse. Abbiamo proposto diverse soluzioni per fermare il fenomeno, a partire da una banalissima schermatura per le sezioni di alta sicurezza, ma nessuno se ne occupa». Anche perché, chi dovrebbe, per il momento non c’è.
(da La Repubblica)
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Marzo 31st, 2025 Riccardo Fucile
L’APPELLO E’ RIVOLTO A FORZA ITALIA, +EUROPA E UN PEZZO DEL PD: UN CARTELLO POLITICO DA METTERE IN GIOCO GIA’ ALLE PROSSIME REGIONALI … RISULTATO? FORZA ITALIA TACE, +EUROPA CON RICCARDO MAGI LO BACCHETTA INVITANDOLO A “NON APPLAUDIRE TROPPO LA MELONI” … CHIUSURA NETTA ANCHE DAI RIFORMISTI DEM
Carlo Calenda chiama a raccolta i ‘volenterosi italiani’, cioè quelli che, sottolinea all’acme del suo intervento di chiusura al congresso di Azione, “sono a favore di una Nato Europea”. Non Matteo Salvini e Giuseppe Conte che, da “populisti”, “sono la stessa cosa” e direbbero di no. E non Matteo Renzi, che è contro il piano von der Leyen dopo aver subito una “forte mutazione genetica”. Non Elly Schlein, che è per l’Europa, ma non per il riarmo. E né Giorgia Meloni, “che è per il riarmo, ma non per l’Europa”.
L’appello di Calenda si rivolge a un preciso arco parlamentare che immagina possa andare dal suo partito a FI, passando per +Europa, fino ad un pezzo del Pd. E che lui punta a far diventare determinante. Anche in vista delle prossime regionali. Giovanni Donzelli, infatti, già ipotizza alleanze con Calenda per le Marche. Ma questo gruppo che qualcuno definisce ‘Ursula 2.0′ perché richiama quella che si creò in Ue per eleggere von der Leyen, non sembra scaldare, almeno per ora, i cuori dei chiamati in causa.
Tace Forza Italia, mentre +Europa con Riccardo Magi invita a puntare gli occhi sulle divisioni della maggioranza più che su quelle dell’opposizione e ad evitare di applaudire troppo la Meloni vista la situazione del Paese. E una chiusura arriva anche dai riformisti Dem nominati da Calenda uno ad uno dal palco. A cominciare da Paolo Gentiloni, che lui farebbe “premier domattina”.
Una predilezione che sintetizza così: “Dove sta Calenda? Sta con Gentiloni”. Ma poi cita anche Pina Picierno, che ha aperto le assise di Azione e Giorgio Gori, insieme a Dario Nardella e Filippo Sensi, di cui cita anche i ripetuti post sui social a favore del sostegno di Starmer o Sanchez al piano Ursula. L’invito è quello, non tanto a “entrare in Azione”, ma “a costruire qualcosa” che “possa staccarsi” dal Pd per poter dialogare.
“E’ fatto così, gli si vuole bene lo stesso”, commenta ironico Sensi postando il video nel quale il leader di Azione lo chiama in causa. A chiudere ufficialmente la porta è però il senatore Alessandro Alfieri coordinatore di Energia popolare che assicura: “I riformisti del Pd continueranno a battersi con determinazione per un Pd plurale e con cultura di governo. Facendo esattamente “il contrario di chi ci vorrebbe divisi”.
Più in generale, nel partito di Schlein si sottolinea come Calenda riproponga di fatto un progetto già visto che non ha portato ai risultati sperati. In ogni caso, il congresso di Azione rimette in qualche modo sotto i riflettori le posizioni diversificate tra i Dem, soprattutto sul fronte della politica estera. E questo, mentre si avvicinano scadenze cruciali come la piazza del 5 aprile contro il riarmo di Giuseppe Conte e il voto a Montecitorio, nella seconda settimana di aprile, delle mozioni contro il piano di riarmo Ue presentate da M5S, Avs e Azione.
Tutte prove di compattezza per i Dem che potrebbero finire con l’accelerare un processo di chiarimento sul quale la segretaria continua riflettere. Mentre non manca chi, nella maggioranza Dem, insiste sulla possibilità che ci si arrivi per via congressuale entro l’inizio dell’anno prossimo. Tornando al congresso di Azione, da Calenda non mancano stoccate a Matteo Renzi che “ora è contro il piano di riarmo europeo” e dunque, osserva, “se si fosse fatta una lista insieme per le europee poi si sarebbe detto: ‘Abbiamo dato un passaggio a Renzi, e poi…?'”.
“I volenterosi? – ribatte il leader Iv – sono un’operazione importante”, ma “a livello internazionale”. “Quanto alle prossime elezioni – incalza – se non cambia la legge
elettorale e secondo me non cambia, da una parte ci sono Meloni e Salvini e dall’altra il centrosinistra. E noi stiamo col centrosinistra”. “La legge elettorale è la stessa che aveva fatto nascere il Terzo polo che lui ha distrutto”, replica Calenda che gli lancia un augurio ironico: “Buona strada a lui, con Landini, Conte, Bonelli e Fratoianni”. Anche questi ultimi, comunque, criticano l’idea dei ‘volenterosi’. Tra tutti il commento di Bonelli: “Così facendo farà governare Meloni per 20 anni”.
(da agenzie)
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Marzo 31st, 2025 Riccardo Fucile
POLIZIA E VIGILI DEL FUOCO INDAGANO SULLE CAUSE: È POSSIBILE CHE SI TRATTI DI UNO DEI TANTI ATTI VANDALICI PER PROTESTARE CONTRO IL MILIARDARIO KETAMINICO MUSK – NEGLI USA UN UOMO HA LANCIATO DELLE MOLOTOV CONTRO LE VETRINE DI UNO SHOWROOM TESLA, IN OLANDA I NEGOZI SONO STATI VANDALIZZATI CON DELLE BOMBOLETTE SPRAY
Notte di fuoco a Roma per un maxi incendio che si è sviluppato in una concessionaria
Tesla in via Serracapriola, nella zona di Torre Angela. Distrutte 17 vetture. Poco dopo le 4 del mattino di oggi, lunedì 31 marzo, il sistema dall’allarme ha allertato i vigili del fuoco accorsi con le squadre della 10/A di La Rustica, la 21/A di Frascati,
due autobotti, il carro autoprotettori, il funzionario di guardia e il capo turno provinciale.
L’alta colonna di fiamme e fumo ha reso subito difficile l’intervento. L’incendio ha completamente avvolto la concessionaria Tesla, dove sono andate a fuoco le 17 auto. Nessuna persona è rimasta ferita o intossicata. Tuttavia le fiamme hanno interessato parzialmente la struttura in cui erano parcheggiate le auto.
L’odore acre di lamiere bruciate e pneumatici “mangiati” dal fuoco, inoltre, ha invaso l’area circostanze. Sul posto le volanti della polizia di Stato e le pattuglie del distretto Casilino. Si indaga per risalire alle cause. Al momento nessuna pista è esclusa.
(da agenzie)
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Marzo 31st, 2025 Riccardo Fucile
QUALI INFORMAZIONI RISERVATE CONSEGNEREMMO A MUSK
Nelle foto e nei video del fronte ucraino capita di scorgere, mimetizzato nella radura o montato su mezzi di terra e di mare, un grosso piatto bianco. Più dei mitragliatori, dei missili e dei carri armati, quell’oggetto di forma tonda o rettangolare è stato in grado di orientare le sorti della guerra fra Kiev e Mosca.
Sono i terminali di Starlink, grandi modem che consentono alla Terra di comunicare con la rete di satelliti spaziali di Elon Musk. «Probabilmente aveva ben chiaro sin dall’inizio – spiega Roberto Battiston, ex direttore dell’Agenzia spaziale italiana – che i clienti più redditizi di Starlink sarebbero diventati i governi».
Gli Stati Uniti, certo, ma in prospettiva anche i Paesi alleati, fra cui l’Italia. Infatti una proposta di contratto da 1,5 miliardi è da mesi sul tavolo di Palazzo Chigi e, se accettata, aprirebbe a Starlink l’accesso al mercato europeo delle telecomunicazioni militari.
E dire che Starlink nasceva dieci anni fa con uno scopo civile, quasi umanitario: «Ricostruire internet nello spazio» per garantire copertura in caso di catastrofi e connettere le aree più remote del pianeta, dove è impossibile o antieconomico posare i cavi delle reti di telecomunicazione tradizionali. Il piano di Musk prevede di piazzare 12 mila satelliti in orbita bassa, a circa 500 chilometri dalla Terra. Da quella altitudine è possibile fornire una connessione molto più veloce e potente rispetto ai
tradizionali satelliti geostazionari che si trovano a 36 mila chilometri dal pianeta e sono utilizzati principalmente per osservare la terra e le comunicazioni militari o in aree critiche. La vicinanza riduce i tempi di trasmissione dei dati (25 millisecondi contro oltre 600) e consente di trasportarne una maggior quantità. La prossimità all’atmosfera ne accelera però anche il deterioramento, accorciando a 3-5 anni la vita utile dei satelliti in orbita bassa contro i 15 dei geostazionari. L’altro svantaggio è che questi minisatelliti compiono un giro del pianeta in 90 minuti e coprono aree piccole: una rete efficiente e capillare esige perciò di costruire un fitto reticolato di «antenne spaziali» in grado di passarsi continuamente il testimone della connessione in una determinata zona.
Trump ha nominato alla guida della Nasa un socio di SpaceX, Jared Isacmaan, consegnando di fatto a Musk le chiavi dell’agenzia aeronautica più importante e ricca del mondo.
Riduzione dei costi e aiuto governativo
La sopravvivenza, anche economica, delle costellazioni come Starlink dipende quindi dalla capacità di collocare satelliti in serie e a prezzi contenuti. In questa specialità Musk è diventato pressoché monopolista, anche grazie ai 22 miliardi di contratti accordati dal governo americano alla sua startup SpaceX. Fondata nel 2002 con l’obiettivo di colonizzare Marte, l’azienda è riuscita a ridurre almeno del 40% il costo dei trasporti spaziali usando razzi che portano su fino a 60 satelliti a lancio, riutilizzabili 10/15 volte, e sfruttando le basi della Nasa in Florida e California. Il «Doge» sta così trasformando lo spazio da affare di Stato in affare privato. Su gentile concessione dell’amministrazione Trump che ha nominato alla guida della Nasa un socio di SpaceX, Jared Isacmaan, consegnando di fatto a Musk le chiavi dell’agenzia aeronautica più importante e ricca del mondo.
La legge del Far West
Nel giro di sei anni e con un investimento stimato di 10 miliardi, SpaceX è riuscita a collocare 7.122 satelliti per conto della sua controllata Starlink, e intende aumentarne il numero a 42 mila. Al ritmo di 200 nuovi satelliti al mese si sta affrettando a occupare le frequenze di una grossa porzione dell’orbita bassa, zona dove vige la regola del «chi primo arriva, meglio alloggia». Oggi Starlink è disponibile in 125 Paesi e conta 4,6 milioni di abbonati, di cui circa 50 mila in Italia. Il numero dei clienti avrà certamente una forte crescita nei mercati emergenti dove le infrastrutture di rete a terra sono scarse o inesistenti. Ma trasformare questi abbonamenti in profitti non sarà facile perché le aree più remote e meno servite del mondo sono spesso anche le più povere. Per questo, ancora prima di SpaceX, alcune aziende europee hanno scartato l’idea di una mega-costellazione. Musk ha invece intuito che il vero utente di
Starlink sarebbero stati i governi, che non badano a spese.
La prova del fuoco in Ucraina
I primi contratti pubblici arrivano nel 2020 dalla Difesa statunitense con l’affidamento di un appalto da 143 milioni per approntare un sistema spaziale di rilevazione dei missili, e nel 2021 con una commessa da 1,8 miliardi per costruire una costellazione di 125 satelliti-spia. Nasce così Starshield, una divisione top secret dedicata ai servizi militari e di intelligence. La prova del fuoco arriva nel febbraio del 2022, quando un cyber-attacco russo mette fuori combattimento il sistema satellitare ucraino, preparando l’invasione da parte di Mosca. La rete di Musk subentra velocemente permettendo ai battaglioni di Kiev di pilotare da remoto i droni da scagliare contro i blindati russi o contro la flotta di Mosca nel Mar Nero. La costellazione nata per azzerare il divario digitale, d’un tratto, si rivela tremendamente efficace per accorciare il divario militare. E l’interesse per Starshield schizza alle stelle.
Uso militare: il vero business
Secondo la società di business intelligence Quilty Space, i contratti governativi hanno rappresentato il 28% dei 7,8 miliardi di ricavi di Starlink nel 2024 e quest’anno dovrebbero fruttare incassi per oltre tre miliardi. Una crescita enorme rispetto ai 169 milioni del 2023. Starlink figura anche fra le aziende selezionate dal Pentagono per la fornitura di connessione satellitare in bassa orbita alle forze armate americane, un programma del valore di 13 miliardi. Forte del suo ruolo para-governativo, Musk sta promuovendo Starlink e Starshield anche fuori dagli Usa, premendo sui governi alleati. All’Italia ha proposto un accordo quinquennale da 1,5 miliardi per la fornitura di connessione ad alta velocità e di terminali per le comunicazioni strategiche delle ambasciate e le forze armate in missione all’estero. Il negoziato è sul tavolo. Del resto, la legge italiana sullo Spazio approvata poche settimane fa alla Camera richiede di costituire «una riserva di capacità trasmissiva via satellite nazionale» utilizzando anche costellazioni in orbita bassa, purché gestite «da soggetti appartenenti all’Ue o all’Alleanza atlantica». Una porta aperta agli Usa, cioè a Musk. Ma occorre davvero spalancarla? In attesa che i 27 Stati Ue decidano di fare sistema, vediamo di cosa dispone oggi il nostro Paese.
Di quali sistemi dispone l’Italia
In orbita bassa l’Italia dispone già di satelliti-spia e di una costellazione per l’osservazione della Terra di cinque satelliti. Questa capacità sarà rafforzata con un investimento da 900 milioni su altri 18 satelliti militari, il cui lancio è previsto fra il 2027 e 2028. Sempre in orbita bassa c’è la costellazione Oneweb, di proprietà di Eutelsat, azienda partecipata dai governi francese e britannico, dal gruppo indiano
Bharti e dal fondo sovrano cinese Cic. Oneweb conta 654 satelliti, un decimo di Starlink, e a 1200 km dalla Terra, al doppio della distanza. È quindi meno capillare e meno potente. I 264 satelliti della costellazione europea Iris2 non saranno poi operativi prima del 2030. Per le comunicazioni strategiche, oggi le forze armate e le ambasciate possono utilizzare il Sicral – Sistema Italiano per Comunicazioni Riservate e Allarmi – che quest’anno sarà potenziato con un nuovo satellite. Il Sicral si trova però in orbita geostazionaria e, quindi, offre una connessione lenta per operare in scenari di guerra digitalizzati che richiedono di inviare video e altri pacchetti di dati «pesanti». Da qui l’interesse della Difesa per Starlink.
Chi accede ai dati riservati?
Per gli utenti dei suoi servizi, però, il predominio spaziale di Musk comporta la dipendenza non solo dagli umori volubili dell’uomo più ricco del mondo, ma anche del governo americano. Il Trattato sull’esplorazione e utilizzo dello spazio extraatmosferico del 1967 firmato da Russia, Usa e Uk ha infatti aperto ai privati, ma ha stabilito che le loro attività devono essere autorizzate e sottoposte a sorveglianza da parte dello Stato responsabile: i clienti di Starlink sono perciò di fatto clienti degli Stati Uniti. Qualche mese fa, durante una conferenza, è stato domandato alla presidente di SpaceX, Gwynne Shotwell, se la crescente importanza di Starlink in guerra espone la costellazione a un rischio di nazionalizzazione: «Se il governo americano chiede, come sempre, otterrà da noi ciò di cui ha bisogno» ha risposto Shotwell. Come a dire, non serve il controllo diretto degli Usa per assicurare la collaborazione di Starlink con la Casa Bianca.
Il grande rischio
L’Italia non è un Paese belligerante e, oggi, le nostre esigenze sono coperte. Ma se decidessimo di utilizzare i satelliti di Musk, chi garantisce la protezione delle comunicazioni riservate delle nostre ambasciate e forze armate che transitano sulle sue infrastrutture? O delle informazioni che riguardano le nostre strategie energetiche? La domanda è più che mai urgente visto il disprezzo manifestato da presidente, vicepresidente e segretario della Difesa Usa verso gli europei. Secondo il ministro della Difesa, Guido Crosetto, l’Italia è in grado di proteggere i suoi dati strategici con tecnologie proprietarie di cifratura. Forse è solo una illusione. La legge federale Cloud Act, voluta da Trump nel 2018, consente alle autorità americane di acquisire i dati dalle aziende tecnologiche e di telecomunicazione statunitensi, ovunque queste informazioni si trovino, anche nello spazio. E il Pentagono, che già in passato ha attuato programmi di sorveglianza di massa nei confronti degli alleati, dispone di un’unità, la National Security Agency, specializzata proprio nella decrittazione.
Francesco Bertolino e Milena Gabanelli
(da corriere.it)
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Marzo 31st, 2025 Riccardo Fucile
E SE FOSSE STATO USATO PER UN ATTENTATO? I PATRIDIOTI INCAPACI DI TUTELARE LA SICUREZZA DEGLI ITALIANI… E’ DOVUTA INTERVENIRE LA PROCURA DI MILANO PER INDAGARE SUL PROBABILE SPIONAGGIO MILITARE RUSSO… NON SIA MAI CHE ABBATTIAMO UN DRONE RUSSO, POI PUTIN S’NCAZZA E TRUMP CI TOGLIE IL SALUTO
Nelle scorse ore il sistema di sicurezza del Joint Research Centre di Ispra (Varese) ha
segnalato che un drone di sospetta fabbricazione russa avrebbe raccolto informazioni sensibili in un’area altamente sorvegliata
Il pool antiterrorismo a procura di Milano sta indagando sul drone di sospetta origine russa che nell’ultimo mese avrebbe sorvolato e spiato la zona del Joint Research Centre (Jrc) della Commissione europea a Ispra, sul lago Maggiore in provincia di Varese.
Secondo quanto riporta Ansa, citando fonti vicine alla procura diretta di Marcello Viola, il fascicolo d’inchiesta verrà aperto ufficialmente domani per fare chiarezza su come il velivolo possa aver sorvolato una zona attentamente sorvegliata dove coesistono il centro di ricerca europeo e alcuni stabilimenti di Leonardo, società italiana a controllo pubblico attiva nei settori della difesa, dell’aerospazio e della sicurezza. In particolare, al Jrc sono in corso in questo periodo ricerche in merito agli aspetti relativi alla sicurezza dei droni.
La segnalazione del potenziale spionaggio è arrivata dal Centro comune di ricerca europeo, che ha usato un proprio sistema di rilevamento sperimentare di velivoli sconosciuti.
Solo a marzo sarebbero stati cinque i passaggi del drone che hanno fatto scattare l’allarme. L’avvistamento sarebbe tenuto in alta considerazione sotto il profilo della sicurezza nazionale. Si sarebbe trattato infatti di un modello di drone di fabbricazione russa, che spesso viene equipaggiato con telecamere e strumenti capaci di riprendere un obiettivo a ottima risoluzione e anche con scarsa luce. Il drone in questione sarebbe anche capace di perlustrazioni notturne e di mappature tridimensionali, secondo il Corriere.
Il Jrc sul Lago Maggiore
L’area su cui ha sorvolato il drone russo per ben cinque volte è densa di obiettivi particolarmente sensibili. C’è il Jrc, terzo campus di ricerca più grande dell’Ue dopo quello di Bruxelles e Lussemburgo. Qui da 65 anni lavorano ricercatori in settori che vano dallo spazio al nucleare. A pochi chilometri ci sono importanti stabilimenti di Leonardo. In particolare a 12 chilometri c’è la Leonardo helicopters training academy di Sesto Calende. E poco più distante, a Vergiate, c’è la Divisione elicotteri, dove si progettano e producono velivoli civili e militari. Nel raggio di circa 40 chilometri ci sono gli altri centri strategici di Samarate, Somma Lombardo e poi Vengono superiore, dove c’è la Aircraft division. Ma se il drone russo abbia o meno sorvolato anche questi luoghi non c’è ancora conferma, come spiega il Corriere.
I precedenti
Di tentativi di spionaggio russo in Italia, o presunti tali, soprattutto negli ultimi anni non sono mancati. Tra i casi sospetti più recenti c’è stato quello di due imprenditori milanesi titolari di un’azienda di servizi tecnologici. I due erano stati accusati di «corruzione del cittadino da parte dello straniero», aggravata dalla finalità di terrorismo ed eversione. I due sarebbero stati pagati in criptovalulte per riprendere luoghi sensibili di Milano e Roma, usando una telecamere a bordo della loro auto.
(da agenzie)
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Marzo 31st, 2025 Riccardo Fucile
LA RUSSIA HA CREATO INFRASTRUTTURE E REPARTI SPECIALIZZATI: 13 AEROPORTI MILITARI, 10 STAZIONI RADAR, 20 DISTACCAMENTI DELLE GUARDIE DI FRONTIERA, CHE DIPENDONO DAI SERVIZI SEGRETI DELL’FSB … IN CORSA C’E’ ANCHE IL CANADA E IL TRIO NORVEGIA, FINLANDIA E DANIMARCA
Un quadrimotore Airbus A400 dell’aviazione francese atterra sulla neve nel profondo nord del Canada e sbarca una squadra di incursori: così due settimane fa Parigi ha voluto dimostrare la capacità di intervenire in questo deserto bianco, con temperature di trenta gradi sottozero. Una missione diventata il simbolo della nuova sfida per il controllo dell’Artico: una partita tutti contro tutti.
All’epoca della Guerra Fredda, il Polo Nord era il teatro di un confronto serrato tra Nato e Urss. Dal 2018 il ritorno delle ambizioni di potenza russe e il riscaldamento globale – che sta sciogliendo la calotta polare, in modo da rendere possibile lo sfruttamento di risorse minerarie e di inedite rotte navali – ha riaperto la competizione per il Grande Nord. Mosca ha costruito infrastrutture e creato reparti specializzati, apparendo subito in vantaggio.
La rete di presidio intorno al circolo polare è arrivata a contare 13 aeroporti militari; 10 stazioni radar; 20 distaccamenti delle guardie di frontiera, che dipendono dal servizio segreto Fsb. L’insediamento di Donald Trump, che vuole impadronirsi della Groenlandia e sogna di mettere le mani sul Canada, ha spezzato ogni paradigma e aperto nella Nato spaccature pericolose come le crepe estive nella banchisa polare.
L’“entente cordiale” della Casa Bianca con il Cremlino su questo fronte sta spaventando tante cancellerie occidentali: gli antagonisti non sono più soltanto i russi, ma rischiano di diventarlo pure gli americani.
Il Canada è il primo Paese chiamato a prendere decisioni drastiche, pianificando un riarmo che lo renda autonomo dagli States. Il nuovo governo liberale vuole radar a lungo raggio per proteggere i cieli senza dipendere dalla rete Norad del Pentagono; pensa a sottomarini d’attacco europei per tenere i nemici lontani dalle coste e studia di rinunciare all’acquisto dei Lockheed F-35 per puntare sull’Eurofighter o sul Rafale francese.
Macron ha subito teso la mano all’antica colonia: ha lanciato un programma per investire 11 miliardi in ricerche nell’Artico. Non solo. Il presidente ha mandato uno dei suoi sottomarini nucleari – il Tourville sulla costa della Nuova Scotia, a meno di 300 chilometri dalla frontiera con gli Usa, facendolo emergere in superficie in modo che il messaggio fosse chiaro a chiunque: ogni battello ha quindici missili con testata atomica multipla. L’altra novità è il “trio vichingo”.
Ai tempi dell’Unione Sovietica, la Nato ha sempre affidato alla Norvegia il compito di “custode dell’Artico”: con l’adesione di Stoccolma e Helsinki si è formato uno schieramento affiatato e determinato, che dispone della maggiore esperienza e dei migliori equipaggiamenti per combattere in ambiente artico. […]
Pure i danesi – che hanno la sovranità sulla Groenlandia – stanno tornando ad armarsi: nel 2004 avevano mandato in pensione tutti i sottomarini, adesso ci stanno pensando di riformare la flotta subacquea.
I “vichinghi” contano sul sostegno dei britannici, che da sette anni hanno affidato ai Royal Marines la missione polare. La prima prova del blocco scandinavo potrebbero essere le isole Svalbard, su cui da due settimane si è aperta una crisi diplomatica tra Russia e Norvegia.
I ghiacciai di Svalbard Polo Nord
Non bisogna infine dimenticare che pure l’Italia ha una robusta tradizione polare: negli anni Settanta i piani Nato prevedevano che gli alpini della Taurinense venissero rischierati in Norvegia. Dallo scorso anno il capo di Stato maggiore dell’Esercito, Carmine Masiello, ha dato impulso all’addestramento artico, perché permette di testare persone e mezzi nelle condizioni di massima difficoltà.
Un contingente di 400 alpini si è addestrato nel 2024 nell’area di Maze, la più a nord in assoluto nella storia italiana, e poche settimane fa c’è stata un’esercitazione sulle Dolomiti a duemila metri: 1.300 militari si sono confrontati con uno “scenario” identico a quello polare, con termometro sotto i meno venti, e hanno testato tutti gli strumenti, incluse le trasmissioni via satellite: lì la curvatura terrestre rende le comunicazioni molto difficile
(da agenzie)
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