Aprile 8th, 2025 Riccardo Fucile
IL BULLO DEI GIARDINETTI NON FA PAURA A PECHINO: “NON CI MINACCI”… E POI ATTACCA VANCE. “E’ UN IGNORANTE”
L’escalation di dazi e contro tariffe tra Washington e Pechino rischia di non arrestarsi più. La miccia innescata da Trump il 2 aprile scorso, con l’imposizione di barriere doganali del 34% alle merci dalla Cina, da aggiungere alle misure del 20% già in vigore, ha spinto i rivali commerciali ad applicare identici contro-dazi al 54%.
Nel lunedì nero delle borse del 7 aprile, il presidente americano ha minacciato Pechino: “Tolga le sue tariffe o ne metteremo delle nuove”. Ma la mossa non sembra aver scosso più di tanto i cinesi.
Dazi, la risposta della Cina
“La Cina non accetterà mai le minacce americane sui dazi ed è pronta a combattere a oltranza”. Così ha replicato un portavoce del ministero cinese del Commercio alle dichiarazioni della Casa Bianca. Trump ha promesso che se la Cina non farà un passo indietro, è pronto ad aggiungere un ulteriore 50% alle merci importate negli Stati Uniti, portando i dazi oltre il 100% del valore del prodotto. “Se gli Stati Uniti insisteranno su questa strada, la Cina li combatterà a oltranza – ha chiosato il portavoce – in una guerra commerciale non ci sono vincitori”
È questa la posizione dell’esecutivo cinese, rilanciata anche dal ministero degli Esteri. “Il protezionismo non porta a nulla. I cinesi non creano problemi, ma non ne hanno paura. Pressioni, minacce e ricatti non sono il modo giusto di trattare con la Cina”, sono state le parole del portavoce Lin Jian.
Oltre agli scambi “diplomatici”, ci sono gli impegni ribaditi dalle autorità del cosiddetto “national team” di investitori, istituzioni ed enti pubblici che intervengono nei momenti di stress dell’economia.
Il fondo sovrano Central Huijin ha assicurato di avere ampia liquidità e tutta l’intenzione di ottemperare al suo ruolo di stabilizzatore di mercato. E la Banca centrale cinese (Pboc) ha aggiunto che supporterà le necessità di liquidità del fondo. Il governo avrebbe anche iniziato una serie di colloqui con le grandi compagnie private del Paese per coordinare una strategia di negoziazione in questo delicato momento
Cina, il portavoce del ministro: “Vance è un ignorante”
Parole “ignoranti e maleducate”, quelle del vice presidente americano sulla Cina. Così Lin JIan ha definito le dichiarazioni di JD Vance in una intervista su Fox News nella quale per giustificare i dazi ha detto che gli Stati Uniti stanno “prendendo in prestito denaro dai contadini cinesi per acquistare cose realizzate dai contadini cinesi”. “È sorprendente e triste sentire parole così ignoranti e scortesi da questo vicepresidente”, ha commentato il portavoce del ministero degli Esteri.
(da agenzie)
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Aprile 8th, 2025 Riccardo Fucile
GLI AVVOCATI: PREOCCUPAZIONE PER L’INASPRIRSI DELLA PRASSI DI INTERVENTO DELLE FORZE DI POLIZIA”
Gli attivisti di Extinction Rebellion (XR), supportati dai loro legali, hanno annunciato
di aver denunciato le questure di Roma e Brescia per «perquisizioni degradanti e arbitrarie, sequestro di persona e violenza privata».
Nello specifico, le denunce fanno riferimento a due episodi.
Il primo è un sit-in di novembre 2024 in Piazza del Viminale a Roma quando 75 persone sono state prelevate e portate all’Ufficio Immigrazione della Questura. Qui, denuncia XR, «sono state rinchiuse per 10 ore».
L’altro episodio riguarda una manifestazione a gennaio 2025 alla Leonardo spa di Brescia, in cui «17 persone erano state portate in Questura per 8 ore e alcune di loro sono state fatte spogliare integralmente per eseguire degli squat».
Lo scorso luglio, gli attivisti avevano già denunciato la questura di Bologna «per aver messo in atto contro manifestanti pacifici misure coercitive e umilianti non previste dalla normale procedura e violando i loro diritti fondamentali».
La denuncia degli avvocati
«Come giuristi esprimiamo preoccupazione per l’inasprirsi delle prassi di intervento delle forze di polizia di fronte alle manifestazioni di dissenso, anche quando queste siano realizzate con modalità del tutto pacifiche e nonviolente», dichiarano gli avvocati di Extinction Rebellion in una nota. Si tratta di una torsione del sistema in una direzione repressiva e volta a scoraggiare la libera manifestazione del pensiero, diritto fondamentale tutelato dalla nostra Costituzione. Torsione in linea, inoltre, con
le recenti e gravi involuzioni autoritarie e antidemocratiche del decreto legge appena approvato. Il riferimento è al dl Sicurezza, approvato giovedì sera in consiglio dei Ministri.
(da agenzie)
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Aprile 8th, 2025 Riccardo Fucile
“TRUMP ORA È POLITICAMENTE UN MORTO CHE CAMMINA. E LA CINA FIUTA LA SUA DEBOLEZZA. NON SI È LIMITATA A IMPORRE I SUOI CONTRO-DAZI AL 34%. HA ALLARGATO IL SISTEMA DI PAGAMENTI INTERNAZIONALI IMPERNIATO SULLO YUAN DIGITALE
Siamo arrivati qua perché esistono, naturalmente, almeno due Americhe: la prima convinta di avere poco a che fare e molto da perdere con la globalizzazione; la seconda invece strettamente legata ad essa per la propria crescente ricchezza di questi anni.
La prima è l’America che ha subito sulla propria pelle i costi di oltre quarant’anni di crescenti deficit commerciali, soprattutto nei prodotti manufatturieri. L’economista Richard Koo del Nomura Research Institute ha mostrato nel workshop Teha Cernobbio dei giorni scorsi come, dal 1980 al 2023, gli Stati Uniti abbiano accumulato un rosso negli scambi di beni con l’estero pari a oltre il 150% del loro prodotto interno lordo
Messi uno sull’altro, quei disavanzi commerciali valgono qualcosa come 42 mila miliardi in dollari di oggi. Fuori dalle cifre iperboliche, queste sono le delocalizzazioni verso la Cina e verso il Messico degli impianti dell’acciaio o dell’auto, la deindustrializzazione della Rust Belt e di un’infinità di altre aree produttive, la perdita di dignità di coloro che non hanno un diploma di college. In altri termini, come ormai noto, questi sono gli elettori di Trump.
Sono il 38% degli americani che non possiedono azioni quotate alla Borsa di New York e non hanno altro che debiti: sulla casa, sulla carta di credito o per aver mandato il figlio al college. Sono coloro che fanno sì che per le famiglie negli Stati Uniti il costo sugli interessi sui debiti siano pari al 10% del reddito disponibile, secondo il fondo d’investimento Citadel. Ogni dieci dollari in tasca, uno va a pagare solo gli interessi sui debiti contratti per andare avanti.
A questa parte dell’America non importa se gli indici di Wall Street crollano a causa dei dazi, perché comunque non possiede azioni di Amazon, Microsoft, Tesla o di qualunque altra società. Questa America indebitata e senza risparmi apprezza invece un altro aspetto finanziario legato a Trump: da quando è tornato lui alla Casa Bianca il costo dei loro debiti è sceso, perché è sceso il rendimento dei titoli del Tesoro Usa; questo sembrava avviato al 5% sulle scadenze decennali quando Trump si preparava alla cerimonia di giuramento a gennaio scorso, ma ora è sotto al 4%.
Quel che sfugge, è che questo calo del costo del debito non è dovuto al risanamento dei conti. È dovuto al clima recessivo instauratosi nel Paese. Così, ciò che ha fatto Trump alzando un muro sul resto del mondo sembra essere fatto su misura per questo ceto tagliato fuori da anche solo un minimo spicchio di compartecipazione in Wall Street.
Trump sta cercando di spingere le imprese industriali di tutto il mondo a rilocarsi negli Stati Uniti pur di evitare i dazi; sta cercando di ridurre i deficit commerciali e di ridare un lavoro dignitoso a chi lo aveva perduto. Vedremo meglio sotto che non è il modo giusto, ma questo 38% di americani diseredati apprezzano perché chi di loro ha votato, lo ha fatto per quello.
Chi ha quote a Wall Street
Poi c’è l’altra America: il 62% della popolazione che detiene azioni quotate a Wall Street. Sono 162 milioni di americani. Dal giorno del giuramento di Trump, secondo i miei calcoli, queste persone hanno perso in media 47.500 dollari di risparmi per ciascuna a causa dei crolli delle borse
Questo vale anche per le molte decine di milioni di americani che sono esposti agli indici azionari solo perché i loro fondi pensione sono in gran parte investiti su di essi. Va detto che le medie in questo caso sono insignificanti, perché il 93% di quelle azioni quotate a Wall Street e detenute da investitori in America (per un valore di circa 48 mila miliardi di dollari ai suoi massimi) si trova fra le mani di appena un decimo della popolazione.
La restante metà circa dei residenti degli Stati Uniti, che hanno con investimenti in borsa, controlla in tutto appena il 7% di quei 48 mila miliardi di dollari.
Da notare che questa America con azioni nei conti di risparmio – soprattutto il 10% più ricco – a differenza dei diseredati non ha subito alcun danno dai deficit commerciali sui beni: la deindustrializzazione non li riguarda perché loro sono medici, avvocati, persone di finanza, tecnologia o università.
Al contrario loro hanno tratto vantaggio dal crescente surplus degli Stati Uniti nei servizi digitali con il resto del mondo (arrivato a 128 miliardi di euro con la zona euro nel 2023). Queste persone infatti hanno azioni di Amazon, Nvidia, Microsoft, Facebook-Meta o Google-Alphabet o magari lavorano per quei colossi, che in parte importante realizzano i loro fatturati all’estero.
Non stupisce che queste due Americhe – quella con debiti in banca e quella con azioni di Wall Street – vedano il resto del mondo in maniera totalmente diversa. Alla prima America non interessa, alla seconda sì.
In sostanza in America coesistono due mondi diversi, con percezioni opposte. Nell’alzare il muro dei dazi, Trump ha voluto fare gli interessi della parte più debole: le vittime e non i vincenti della globalizzazione.
L’obiettivo industriale
Non può funzionare. Fallirà perché una recessione targata Trump è quasi inevitabile, se il presidente non fa marcia indietro. Perché quasi inevitabile? Perché la prima America – la più povera – sarà duramente colpita dall’inflazione sui beni importati e resi più cari dai dazi, dunque taglierà i suoi consumi. Anche la seconda America che è investita a Wall Street verrà colpita dall’inflazione, ma intanto lo è già da un crollo medio della sua ricchezza patrimoniale – appunto – di 47.500 dollari a testa fino a questo momento; di conseguenza, anche la seconda America stringerà sicuramente la cinghia.
Ma i consumi rappresentano ben oltre due terzi dell’economia americana. Una loro recessione non può che portare diritti dritti una recessione americana a tutto tondo, oltre che a una pessima notizia per il resto del mondo: il consumatore americano, da solo, fa girare quasi un quinto dell’intera economia internazionale. Dunque le borse cadrebbero ancora, aggravando l’effetto recessivo.
Scommessa contro il tycoon
Tutto questo mi fa pensare che Trump in questo momento sia politicamente un morto che cammina, anche se magari non lo sa. Non si può certo darlo per perso, perché ha già dimostrato di sapersi inventare ben altre resurrezioni. Ma altri Paesi hanno fiutato la sua debolezza e stanno scommettendo su di essa. Il Canada di Mark Carney, malgrado i grandi rischi, ha preso la strada della massima intransigenza nelle ritorsioni e ne sta già ricavando già dei risultati.
E la Cina, che ormai vende da tempo la grandissima parte dei suoi prodotti fuori dagli Stati Uniti, non si è limitata a imporre i suoi contro-dazi al 34%. Giovedì scorso la banca centrale di Pechino ha annunciato all’improvviso che allarga il suo sistema di pagamenti internazionali imperniato sullo yuan digitale ai dieci Paesi dell’Asean
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Aprile 8th, 2025 Riccardo Fucile
IL SENATORE TED CRUZ AMMETTE QUELLO CHE IN MOLTI TEMONO: “ALLE MIDTERM 2026 RISCHIAMO UN BAGNO DI SANGUE” – AL CONGRESSO I REPUBBLICANI SI ALLEANO CON I DEMOCRATICI PER “COMMISSARIARE” TRUMP SULLE POLITICHE COMMERCIALI – CRESCE IL PRESSING PER LE DIMISSIONI DEL SEGRETARIO AL TESORO, SCOTT BESSENT, CHE PER ORA RESISTE
«Si vedono le prime crepe del sostegno a Donald Trump», confessa uno stratega di
fede repubblicana. La settimana dei dazi a mezzo mondo va in archivio con una serie di segnali che la Casa Bianca – continua la fonte – farebbe bene a monitorare.
Martedì il candidato vicino ai repubblicani per la Corte suprema del Wisconsin è stato sconfitto nelle elezioni per il rinnovo di un seggio; quindi, Cory Booker, senatore democratico del New Jersey, ha parlato per 25 ore di fila generando attenzione e alimentando l’idea che una strada all’opposizione a Trump diversa è possibile; poi i cortei di sabato.
Le manifestazioni,1300 piazze, 600mila aderenti ufficiali (la CNN parla di «milioni» però), contro le politiche di Trump sono un indicatore di un sentimento che, benché non maggioritario nel Paese, offre elementi di risveglio.
La spia di un’America che oscilla fra rabbia, preoccupazione e scetticismo si è accesa anche fra i ranghi repubblicani. La presa di The Donald sul Grand Old Party è granitica, ma dalle maglie qualcuno sfugge e con una maggioranza al Congresso esigue basta poco per mandare in fibrillazione l’agenda.
Al Congresso la furia “pro dazi” dell’Amministrazione con invocazione dell’emergenza nazionale per imporre le tariffe, non è piaciuta. Sette repubblicani si sono schierati con i democratici a sostegno del Trade Review Act per riportare sotto controllo di Capitol Hill il grosso delle politiche commerciali. Altri repubblicani, come Grassley e Paul, hanno appoggiato una risoluzione per togliere i balzelli a Canada e Messico.
L’opposizione alle tariffe viene inoltre da altri settori conservatori: in Florida la New Civil Liberties Alliance ha presentato una causa contro l’Amministrazione per le modalità di imposizione delle tariffe alla Cina il 1° febbraio attraverso l’International Emergency Economic Powers Act.
La rivista National Review, bastione della galassia tradizionale conservatrice, parla di «attacco alla prosperità degli Usa». «Che succede? Non ci piace più vivere nel Paese
più ricco al mondo?», la provocazione consegnata in un articolo.
L’Amministrazione però tira dritto. Ieri i big del team economico hanno presenziato ai talk show domenicali e ribadito i concetti chiave. Kevin Hassett, che guida il Consiglio economico, ha rivelato di contatti con 50 Paesi che chiedono di intavolare negoziati e ha sminuito il contraccolpo sui consumatori americani.
Dai pesi massimi Scott Bessent (segretario al Tesoro) e Howard Lutnick (titolare del Commercio) la conferma che i dazi resteranno. Bessent: «Non aspettatevi degli accordi, sono cose (i dazi, ndr) che non si negoziano in giorni o settimane». Ha anche dato risposta al mondo di Wall Street che ha visto dileguarsi oltre 5mila miliardi di dollari in 48 ore: «È un aggiustamento del mercato, non significa stiamo andando verso la recessione» le sue parole alla NBC.
(da agenzie)
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