Aprile 10th, 2025 Riccardo Fucile
L’EX CAPITANO DELLA ROMA HA PRESO PARTE A UNO SKETCH IMBARAZZANTE IN CUI HA DETTO 6 PAROLE, I MEDIA UCRAINI LO HANNO FATTO A PEZZI: “DISONORE E VERGOGNA”
Dopo tante polemiche, alla fine Francesco Totti ha presenziato martedì a Mosca come ospite d’onore molto ben pagato (si è parlato di una cifra a sei zeri) all’International RB Award, l’evento annuale organizzato dal principale portale russo di scommesse sportive.
Totti è salito sul palco in uno scenario completamente kitsch ispirato all’antica Roma, ha detto una sola battuta in italiano come da copione (non capendo assolutamente nulla di quello che dicevano tutti gli altri in russo), si è intascato il bonifico e se n’è tornato a casa. Si è lasciato dietro numerose interviste coi media locali in cui si è trovato a rispondere a domande improbabili tipo “ma sai che Carrera in Russia è una leggenda?” oppure cosa pensasse di un calciatore russo che come lui si era scattato un selfie dopo un gol segnato. “Ma lui ha perso…”, ha risposto il Pupone, barcamenandosi come meglio poteva su argomenti per lo più russocentrici, con domande sui vari Alenichev e Miranchuk, incontrando anche l’ex nazionale Aleksandr Mostovoj nel contesto grottesco
La due giorni moscovita dell’ex capitano romanista è stata vissuta come un oltraggio dai media ucraini, che lo hanno fatto a pezzi. “Totti si è disonorato arrivando a Mosca: la vergogna del giorno”, “Totti è arrivato comunque in Russia ed è riuscito a macchiarsi la reputazione”, “Totti ha commesso un atto vergognoso, al suo compagno
Dovbyk questo non piacerà”.
“Totti è arrivato nel Paese aggressore”: sono questi alcuni dei titoli con cui in Ucraina è stata raccontato il viaggio del campione del mondo di Berlino, accusato di essersi venduto per soldi al regime di Putin, facendosi usare come testimonial in un evento il cui slogan – sparato ovunque – recitava “L’Imperatore sta andando alla terza Roma”, alludendo al concetto di Mosca come “terza Roma”, come veniva definita la capitale russa tra il XV e il XVII secolo dopo la caduta di Costantinopoli (“la seconda Roma”) nel 1453. Uno slogan imperialistico – cavalcato per primo dallo zar Ivan il Grande – che si può leggere anche in chiave attuale, alla luce dell’invasione russa dell’Ucraina del 2022 e della guerra che fa tuttora tante vittime ogni giorno.
In Ucraina non hanno dubbi sulla lettura dell’intera vicenda e sul ruolo consapevole avuto da Totti. Ci va già durissimo l’ex attaccante della Dinamo Kiev e della nazionale Artem Milevskyi: “Non voglio crederci, questa notizia non mi fa sentire bene… Non capisco proprio perché Totti vada in Russia quando tutta l’Italia, tutta l’Europa, tifa per l’Ucraina, tifa per noi. È stato pagato al 100%… ma non ha soldi? Non ha guadagnato molto in carriera?”.
Tutte cose che Totti forse non avrà neanche visto, mentre nell’immediata vigilia della cerimonia di premiazione svoltasi al Moscow Gymnastics Palace si preparava a recitare al meglio la sua parte. Francesco si è seduto in platea assieme agli organizzatori dell’evento e poi è salito sul palco nel finale, come si addice all’ospite d’onore, scortato da due ali di gladiatori, col Colosseo sullo sfondo. §
In precedenza c’erano state due ore di spettacolo, in cui le varie premiazioni dedicate a sport, scommesse e media si erano alternate a intermezzi, siparietti e sketch surreali per non dire assurdi.
(da agenzie)
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Aprile 10th, 2025 Riccardo Fucile
“QUALCUNO STAVA VENDENDO LA CARTA SOVRANA DELL’AMERICA, IL CUI COSTO DEL DEBITO SALIVA. POTEVANO ESSERE FONDI A CACCIA DI DENARO DOPO LE PERDITE DI BORSA. O POTEVA ESSERE IL VIRUS DELLA SFIDUCIA VERSO L’IMMENSO DEBITO AMERICANO E VERSO UNA MONETA DI RISERVA MONDIALE NELLE MANI DI TRUMP. E POTEVA ANCHE ESSERE LA CINA… XI CONTA SUL FATTO CHE LA SOCIETÀ AMERICANA NON SIA CAPACE DI AFFRONTARE COESA UNA RECESSIONE PRODOTTA DALLE TENSIONI GEOPOLITICHE; MA SA CHE I CINESI ACCETTEREBBERO I SACRIFICI, IN NOME DELL’ONORE DELLA NAZIONE”
Dopo 18 mila miliardi di dollari di valore azionario spazzato via dal suo ingresso alla
Casa Bianca, dopo 14.500 miliardi volatilizzati dalle borse mondiali solo nei cinque giorni lavorativi dall’annuncio dei dazi «reciproci» — perdite medie per oltre 50 mila dollari per ogni americano sul risparmio in azioni — Donald Trump tenta la prima marcia indietro. Quando ne ha dato l’annuncio lui stesso ieri, la capitalizzazione di mercato sparita nelle prime undici settimane della sua presidenza era simile al prodotto lordo della Cina: la prima (di gran lunga) economia al mondo per volumi di produzione
Avrà pesato il rischio concreto di una recessione americana autoinflitta e targata Trump. Ma dev’essere stata un’occhiata più ampia alla situazione, a far capire al presidente che non poteva tenere. Stavolta c’era un’anomalia in più a segnalare alla Casa Bianca che «non ha le carte». Di solito nelle tempeste gli investitori comprano prodotti americani quali beni rifugio sicuri: i titoli del Tesoro e dunque il dollaro. Entrambi tradizionalmente salgono di valore e scendono dunque in modo speculare i costi del crescente debito del governo americano.
In questa crisi, stranamente, accadeva al contrario. E poteva anche essere un sintomo della debolezza finanziaria dalla quale gli Stati Uniti stanno dichiarando la loro «guerra economica» al resto del mondo, nella definizione dell’investitore Warren Buffett
Dal Liberation Day dei dazi alla parziale ritirata di ieri, il dollaro aveva già perso il 2% sulla media delle altre principali valute: un’immensità, per il valore più liquido al mondo.
Quanto ai titoli di Stato Usa a dieci anni, i loro rendimenti si sono impennati da meno del 4% a un picco di quasi il 4,5%. Qualcuno stava vendendo pesantemente la carta sovrana dell’America, il cui costo del debito saliva. Potevano essere fondi a caccia di denaro dopo le perdite di borsa. O poteva essere la prima, minima comparsa del virus della sfiducia verso l’immenso debito americano e verso una moneta di riserva mondiale nelle mani di Donald Trump: quello status del biglietto verde non è più semplicemente scontato per il futuro.
E poteva anche essere, in parte, la Cina. Il debito pubblico americano detenuto nelle riserve di Pechino è sceso da 1.300 miliardi nel 2013 a 761 agli ultimi dati; la sua quota è più che dimezzata. Ora la banca centrale cinese sta limitando i rinnovi dei titoli Usa in scadenza e semmai indica agli operatori di accumulare oro.
Le misure della Casa Bianca di ieri puntano a isolare la Cina. Ma Xi Jinping dev’essersi convinto che ha le leve per piegare Trump e non solo grazie al debito Usa ancora nelle sue mani o per le potenziali ritorsioni contro gli impianti di Tesla e della Apple nella Repubblica popolare. C’è anche altro: Trump vuole smaniosamente il controllo (tramite capitalisti amici) della rete americana della cinese TikTok, a fini di propaganda politica, ma il negoziato per la sua vendita è bloccato.
E ora Xi è anche pronto a rinunciare a quel 14,6% di export della Cina che va negli Stati Uniti pur di segnare un punto nella rivalità fra potenze. Conta sul fatto che la società americana oggi non sia capace di affrontare coesa una recessione prodotta dalle tensioni geopolitiche; ma sa che i cinesi accetterebbero questo ed altri sacrifici, in nome dell’onore della nazione.
Federico Fubini
per il “Corriere della Sera”
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Aprile 10th, 2025 Riccardo Fucile
IL CONDUTTORE RADIO DI DESTRA JOE ROGAN, PATRONO DEI MASCHI BIANCHI SENZA LAUREA, CHE HA CRITICATO IL TYCOON SULLE TARIFFE AL CANADA; DAVE PORTNOY, INFLUENCER DALLA TRIBUNA ONLINE “SGABELLO DEL BAR”, NATA PER PARLARE DI SPORT E SCOMMESSE E FINITA IN POLITICA, CHE URLA DI “AVER PERSO TRA 7 E 15 MILIONI IN CRIPTOVALUTE”; LO YOUTUBER CON 7 MILIONI DI FOLLOWERS BEN SHAPIRO, A DENUNCIARE “TARIFFE MAL PENSATE CHE MAI CI ARRICCHIRANNO”
A persuadere Donald Trump alla resa, precaria, provvisoria, limitata ma pur sempre resa, non sono i soloni dei mercati, le telefonate imploranti degli elettori, i sermoni dell’ex ministro del Tesoro Summers, i moniti del governatore Powell e neppure i fondi del costernato Wall Street Journal («Guerra cretina sui dazi… abbiamo perso il Canada alleato fedele… i mercati rovinati… impossibile ricostruire la manifattura Usa, non abbiamo operai né ingegneri, la spesa al supermercato raddoppierà entra Natale »), con i Quattro Cavalieri dell’Apocalisse economica nei titoli: «Inflazione, recessione, disoccupazione, protezionismo!».
Contro la gente comune, che fino al novembre del 2027 — cioè alle elezioni di midterm — non tornerà alle urne, contro i patrizi delle borse, contro i “Pundit”, i commentatori famosi, Trump avrebbe tenuto duro, con la grinta sfrontata appresa dal suo mentore Roy Cohn.
Ma, invisibili ai media d’Europa, sono scesi in campo i compagni di strada che venera, il conduttore radio di destra Joe Rogan, patrono dei maschi bianchi senza laurea, che lo critica sulle tariffe al Canada; Dave Portnoy, influencer dalla tribuna online “Sgabello del bar”, nata per parlare di sport e scommesse e finita in politica, che urla di «aver perso tra 7 e 15 milioni in criptovalute»; lo youtuber con 7 milioni di followers Ben Shapiro, a denunciare «tariffe mal pensate che mai ci arricchiranno».
Sono i fratelli trumpiani del “Bromance”, comunità macho del pensiero chiuso, economia chiusa, anima chiusa, a far alzare bandiera bianca a Trump.
Troppo tardi. I mercati si aggiusteranno, i governi tratteranno, i guru muteranno narrativa, ma Xi Jinping, duro formatosi da deportato nei campi di rieducazione di Mao, gli amici del Pacifico e dell’Atlantico, i Paesi terzi, hanno mangiato la foglia, Trump è imprevedibile ma indeciso, capace di citare il cannibale Hannibal Lecter ma incapace di portarci alle promesse tregue da Gaza a Kiev, nemico friabile e alleato inaffidabile.
La mano va dunque a Pechino che aprirà in ogni continente un’offensiva economica, militare e diplomatica per rispondere, a modo suo, all’irrituale domanda del deputato Horsford del Nevada, regno del gioco d’azzardo a Las Vegas: «Chi c… governa qua?».
(da La Repubblica)
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Aprile 10th, 2025 Riccardo Fucile
PER ESEMPIO: NEGLI OSPEDALI DI GERMANIA OPERANO 14MILA MEDICI SIRIANI E IL 30% DEGLI INFERMIERI È DI ORIGINE STRANIERA… NEI PANIFICI SI ASSUMONO RAGAZZI DAL VIETNAM
È sempre più difficile a Berlino comprare pane appena sfornato, e trovare qualche
specialità regionale, che di solito come in Italia sono le più gustose. In Germania si dovrebbero trovare circa 300 tipi di pane, regionali ma in vendita in tutto il paese, ora se ne trovano al massimo una mezza dozzina, quelle che convengono alla grande distribuzione.
La situazione è peggiorata per il covid e la guerra in Ucraina. Durante la crisi energetica, il ministro all’Economia, il verde Robert Habeck, aiutò la grande industria. E i panettieri? gli chiesero alla Tv. A causa del costo dell’energia elettrica, un panino sarebbe costato perfino otto euro. Rischiano di chiudere, avvertirono il ministro. Riapriranno dopo, rispose Habeck. Non gliel’hanno perdonata, anche per battute del genere i verdi hanno perso le ultime elezioni.
I forni che chiudevano non avrebbero più ritrovato il personale, i dipendenti si sarebbero cercata un’altra occupazione. Ed è quasi impossibile trovare giovani disposti a fare i panettieri.
Martin Dries è il proprietario di una panetteria, che ha compiuto un secolo, a Rüdelsheim, cittadina di 10mila abitanti sul Reno. Herr Martin ha 350 dipendenti, 80 addetti ai forni, e fornisce 271 filiali in Assia. Già adesso due terzi dei suoi lavoratori sono di origine straniera, giunti da 35 paesi. Molti sono polacchi o di altri paesi dell’Europa Orientale, ma da alcuni anni non arrivano più.
I pochi tedeschi sono quasi in età da pensione. Le panetterie in Germania, grandi e piccole, sono 14.200, ma una ventina d’anni fa erano 20mila. A Berlino sono 537. Danno lavoro a 246mila dipendenti, e hanno un bilancio di 17 miliardi e 330 milioni di euro all’anno, è uno dei settori più importanti dell’economia nazionale. Nel 2024, avrebbero avuto bisogno di poco meno di 10mila apprendisti, e molte aziende non sono riuscite ad assumere nemmeno un giovane. «Avrei dovuto chiudere tra pochi anni per mancanza di personale», dichiara Dries.
Ma ha avuto un’idea: andare direttamente all’estero a cercare i giovani. Li ha trovati in Vietnam. I primi panettieri giungeranno tra maggio e giugno, 14 ragazzi tra i 18 e i 25 anni. E già adesso da mesi studiano il tedesco. Per tre anni in Germania seguiranno il corso da apprendisti. Dries ha già trovato e affittato gli appartamenti per ospitarli, e comprato una piccola casa.
I vietnamiti riceveranno subito mille euro al mese, e avranno una settimana extra di vacanze per tornare a casa. «Dovranno rispettare i principi della mia azienda di famiglia, dice Dries, puntualità, affidabilità, e impegno, ma non ho dubbi». I giovani tedeschi hanno dimenticato le antiche virtù dei padri o, meglio, dei nonni. Il problema più importante durante la campagna elettorale è stato l´immigrazione incontrollata.
L’Afd, partito dell’estrema destra vorrebbe chiudere le frontiere, ma neanche gli estremisti vogliono espellere tutti gli stranieri. Gli ospedali non possono rinunciare ai quattromila medici siriani, e il trenta per cento degli infermieri è di origine straniera. Il nuovo Cancelliere Friedrich Merz vuole espellere chi non è disposto a lavorare.
Mancano 300mila apprendisti, non solo i panettieri, e non si trovano.
(da agenzie)
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Aprile 10th, 2025 Riccardo Fucile
SI TRATTA DEL 25ESIMO CALO CONSECUTIVO… L’ISTAT CERTIFICA CHE “LA LUNGA FASE DI FLESSIONE PROSEGUE E LA DINAMICA TENDENZIALE È NEGATIVA PER TUTTI I PRINCIPALI RAGGRUPPAMENTI DI INDUSTRIE, CON L’ECCEZIONE DELL’ENERGIA”
A febbraio 2025 si stima che l’indice destagionalizzato della produzione industriale diminuisca dello 0,9% rispetto a gennaio. Su base annua, al netto degli effetti di calendario, l’indice generale diminuisce del 2,7% (i giorni lavorativi di calendario sono stati 20 contro i 21 di febbraio 2024).
Lo indica l’Istat, aggiungendo che “in termini tendenziali, prosegue la lunga fase di flessione. La dinamica tendenziale è negativa per tutti i principali raggruppamenti di industrie, con l’eccezione dell’energia”. E’ il 25esimo calo consecutivo su base annua.
L’indice destagionalizzato, indica l’Istat, aumenta su base mensile solo per l’energia (+4,0%); mentre si osservano flessioni per i beni strumentali (-3,3%), i beni intermedi (-2,0%) e i beni di consumo (-1,9%). Su base annua, si registra una crescita esclusivamente per l’energia (+7,6%); al contrario, diminuzioni contraddistinguono i beni strumentali (-9,8%), i beni intermedi (-4,6%) e i beni di consumo (-2,0%).
I soli settori di attività economica che presentano incrementi tendenziali sono la fornitura di energia elettrica, gas, vapore ed aria (+19,4%), l’industria del legno, della carta e stampa (+3,4%) e le industrie alimentari, bevande e tabacco (+1,6%). Nei rimanenti comparti, le flessioni più ampie si rilevano ancora nella fabbricazione di mezzi di trasporto (-14,1%), nelle industrie tessili, abbigliamento, pelli e accessori (-12,9%) e nella fabbricazione di coke e prodotti petroliferi raffinati (-12,0%).
(da agenzie)
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Aprile 10th, 2025 Riccardo Fucile
DOPO LA SPUTTANESCION IN MONDOVISIONE DEL CALIGOLA DI MAR-A-LAGO, CHE HA DOVUTO RINCULARE DOPO AVER PARLATO DI LEADER CHE LO CHIAMANO PER “BACIARGLI IL CULO”, CHE VA A FARE LA PREMIER A WASHINGTON?
Per Giorgia Meloni non poteva esserci una notizia a sorpresa migliore di questa.
Il «sollievo» che filtra, in serata, da Palazzo Chigi è quasi un grido di gioia che scompiglia piani e strategie. La premier viene raggiunta dall’annuncio della sospensione, per novanta giorni, dei dazi americani mentre si sta recando al Quirinale, alla cena di gala in onore di re Carlo III e della regina Camilla.
Meloni non nasconde quanto questo epilogo, seppur momentaneo, le tolga un peso dallo stomaco, in vista della missione a Washington del 17 aprile. E nessuno – né i suoi consiglieri né i ministri – fino a poche ore prima era in grado di prevedere la giravolta di Donald Trump. L’umoralità e il tatticismo esasperato del presidente americano rendono difficile capire cosa farà l’indomani.
Ognuno, nella maggioranza, interpreta a proprio favore la mossa del presidente americano. Matteo Salvini che per settimane aveva addirittura vantato come «un’opportunità» le tariffe Usa, ieri sera è stato quasi costretto a una dichiarazione dal sapore omeopatico: «La frenata sui dazi era l’auspicio di Elon Musk quando è intervenuto al congresso della Lega, sabato scorso. È un segnale importante da guardare con attenzione».
Secondo un’indiscrezione non smentita, ma neanche confermata ufficialmente, ci sarebbe stato un contatto diretto tra Meloni e Trump, tra lunedì e martedì. Ovviamente non era aria di dare per vera questa voce nel giorno in cui il tycoon si fa beffe dei «leader di tutto il mondo che mi chiamano e mi baciano il culo, perché
vogliono trattare sui dazi».
Una frase che si commenta da sola e che aveva complicato di molto la preparazione della visita alla Casa Bianca di Meloni, che fino a ieri era previsto avvenisse in una data non felicissima, appena 48 ore dopo dall’entrata in vigore del primo elenco di controdazi dell’Unione europea, a loro volta congelati.
Se l’annuncio di Trump non fosse arrivato, la giornata di ieri sarebbe stata scritta in un tutt’altro modo, con le opposizioni che hanno cavalcato per ore quella brutta frase del leader Usa e con le accuse, arrivate dalla Francia, di offrire una sponda al repubblicano per spaccare l’Ue.
Meloni già non era stata felicitata dal fatto che da Bruxelles avessero lasciato filtrare che la premier italiana non aveva mai ricevuto un mandato della Commissione per trattare con Trump. Un aspetto che, a sentire i suoi consiglieri, lei vorrebbe precisare meglio: «Sarà un bilaterale, parleremo di investimenti, di Ucraina, certamente di dazi. Ma non vado in rappresentanza dell’Europa».
Un cortocircuito che si è amplificato quando il ministro francese dell’Industria e dell’energia Marc Ferracci, rispondendo su Meloni, ha messo in risalto il «rischio» di cadere nella strategia trumpiana di «dividere gli europei» mentre al contrario – ha sostenuto – «dobbiamo restare uniti, perché l’Europa è forte solo se è unita». Frasi che hanno fatto scivolare Roma e Parigi sulla soglia di un incidente diplomatico, scongiurato solo dalla smentita arrivata dall’Eliseo.
Di sicuro a Trump Meloni offrirà come patto negoziale la possibilità di lavorare per far saltare il Green Deal, le norme Ue per la transizione ecologica ed energetica che stanno favorendo le auto elettriche cinesi, e che limiterebbero le aziende americane, mentre il presidente Usa vuole che gli europei comprino più gas a stelle e strisce e a un prezzo più elevato.
(da La Stampa)
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Aprile 10th, 2025 Riccardo Fucile
DUE NAVI OGGI PER TRASFERIRE 40 MIGRANTI DALL’ITALIA QUANDO POTEVANO RESTARE IN ITALIA: EVVIVA LA PROPAGANDA DI REGIME
Il governo Meloni ci riprova. I primi trasferimenti dei migranti dall’Italia nella struttura di Gjader in Albania, convertita da un decreto dell’esecutivo in Centro di
permanenza per il rimpatrio (Cpr), sono attesi per domani 10 aprile. Una prima nave con a bordo 15 persone, partita da Brindisi, in Puglia – fanno sapere fonti portuali albanesi – dovrebbe raggiungere il porto di Shengjin nel pomeriggio, verso le 15. Mentre in serata è attesa la seconda imbarcazione, con altri 25 migranti. Una quarantina in tutto, pari all’attuale capienza del Cpr.
Per mesi le strutture, inizialmente pensate come centri per i richiedenti asilo, provenienti da paesi sicuri e salvati in mare a cui poteva essere applicata una procedura accelerata, sono rimaste inattive. In tre diverse occasioni, i giudici romani hanno infatti sospeso il trattenimento dei migranti e rinviato la questione alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, ostacolando di fatto i piani del governo.
Per questo motivo, il 28 marzo il consiglio dei ministri ha approvato un decreto per salvare il protocollo siglato con Edi Rama e cambiare la destinazione d’uso delle strutture, come centri di detenzione amministrativa per i migranti irregolari.
In Albania arriveranno, dunque, persone che hanno già ricevuto un decreto di espulsione in Italia e aspettano di essere rimpatriate.
I posti all’interno del Cpr di Gjader da 48 dovrebbero diventare 140, aveva fatto sapere il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi. Non è, invece, chiaro quale sarà la destinazione del centro di Shengjin, inizialmente pensato come hotspot per le procedure di identificazione.
La denuncia delle associazioni
Nel frattempo, le associazioni che si occupano di diritto dell’immigrazione hanno sollevato diverse criticità. ActionAid ha chiesto di «non procedere» alla conversione del decreto-legge, «perseguire l’obiettivo del completo abbandono del progetto dei centri» e mettere in discussione «il ricorso sistematico alla detenzione amministrativa per le persone migranti e riaprire un confronto pubblico e parlamentare sulle politiche migratorie, fondato su trasparenza, accountability e rispetto dei diritti umani». Raccomandazioni espresse da Francesco Ferri di ActionAid durante l’audizione in Commissione Affari Costituzionali nell’ambito dell’esame del disegno di legge di conversione del decreto sulle “Disposizioni urgenti per il contrasto dell’immigrazione irregolare”.
«Dal punto di vista costituzionale – precisa -, la decretazione d’urgenza non appare giustificata né dalla necessità né dall’urgenza» perché «non si rileva alcuna emergenza tale da giustificare un intervento straordinario in relazione ai Cpr: quelli attualmente operativi in Italia funzionano spesso al di sotto della loro capienza, pari dal 2017 in poi al 52% della capienza».
Ad oggi, in Italia, sono aperte e funzionanti solo 10 Cpr su 12 attivi. Nel 2023 – slegge nel report “Trattenuti” di ActionAid – dai centri sono stati rimpatriati solamente il 10% delle persone colpite da un provvedimento di espulsione, cioè su 28.347 persone “solo” 2.987. Il totale dei rimpatri è di 4.267.
(da agenzie)
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Aprile 10th, 2025 Riccardo Fucile
“QUESTA E’ UN’ENORME FALLA NELLA SICUREZZA NAZIONALE”: GIORGIO MULE’, VICEPRESIDENTE DELLA CAMERA METTE IL DITO NELLA PIAGA: “E’ UN FALLIMENTO TOTALE DA PARTE DI TUTTO IL SISTEMA, BASTI PENSARE CHE E’ SUFFICIENTE UN’UTENZA PER INSTALLARE UN TROJAN E ASCOLTARE PREMIER E MINISTRI”
Secondo Mulè «c’è un enorme falla nella sicurezza nazionale. C’è un’attività preventiva
che evidentemente non è stata fatta. Sulla cybersicurezza noi continuiamo a reagire in maniera solo repressiva e non anche preventiva. Vi sembra normale che l’Agenzia lo debba scoprire da un signore che ricava dei dati online, e non sul dark web? Non mi risulta che dopo 72 ore sia stata messa una pezza. Stamattina (ieri, ndr) mi sono abbonato a questo sito con la possibilità di vedere tutti i numeri di telefono pure io. Sono ancora tutti lì. L’autorità delegata ai Servizi segreti (il sottosegretario Alfredo Mantovano, ndr) e i ministri competenti dovranno intervenire per verificare come mettere una pezza a questa esfiltrazione di dati e andare fino in fondo».
Infine, sulla richiesta di dimissioni per il direttore dell’Acn Bruno Frattasi: «Vorrei che il sistema sia messo in condizione di agire in questi casi: se chi guida l’Acn non è in grado si può anche cambiare. Ma il tema non è l’uomo quanto il fallimento totale del sistema di sicurezza e ora bisogna muoversi con senso di responsabilità».
(da agenzie)
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Aprile 10th, 2025 Riccardo Fucile
“COMPRO LO SHAMPOO MIGLIORE E POI NON RIESCO A TOGLIERLO”
Immigrazione, dazi, economia globale. Tra le centinaia di ordini escutivi firmati dal presidente americano Donald Trump ce n’è uno che gli sta particolarmente a cuore: lui la chiama «la guerra delle docce». Nessuna immagine strana, nessuna metafora o riferimento velato.
«Mi piace fare una bella doccia per prendermi cura dei bellissimi capelli», ha ripetuto più volte dalla sua poltrona nello Studio Ovale mentre mercoledì 9 aprile, penna in mano, firmava il documento. «Ma perché si bagnino devo stare sotto l’acqua per un quarto d’ora. Esce di goccia in goccia in goccia… è ridicolo».
E così, tra le tante – tantissime – cose che il tycoon critica all’amministrazione Biden c’è anche quella di aver limitato la pressione dei soffioni delle docce. Da cui il titolo dell’ordine esecutivo: «Annullare la guerra della sinistra alla pressione dell’acqua».
La matematica di Trump e il calcolo sul consumo di acqua
La decisione, prima di Barack Obama e poi riconfermata nel 2021 da Joe Biden, mirava a risparmiare il consumo di acqua nelle abitazioni americane. Per la seconda volta, dopo un primo tentativo nel 2020, Donald Trump si è apertamente schierato contro questa misura, che ieri ha dato ordine di revocare al segretario all’Energia Chris Wright. «E se la gente vuole una doccia a basso flusso?», ha chiesto un collaboratore al tycoon. La risposta è stata una semplice risata: «Non la vogliono, nessuno la vuole». La teoria di Trump è molto semplice: riducendo la pressione dell’acqua, aumenta il tempo che una persona è costretta a stare in doccia. Dunque, se la matematica della Casa Bianca non è un’opinione, tanto vale aprire i rubinetti senza limiti. «Fai la doccia, ti lavi le mani, qualsiasi cosa tu faccia, comprese le lavastoviglie da cui non esce acqua… Finisci per lavarti le mani per il quintuplo del tempo, alla fine usi la stessa acqua».
La guerra iniziata nel 2020: «Compro lo shampoo migliore, e poi non riesco a toglierlo»
Al di là del concetto della doccia, però, è evidente la volontà del tycoon di ribaltare tutti i parametri fissati nelle amministrazioni democratiche prima di lui, da Obama a Biden. E il suo progetto politico è di sovvertire il presunto eccesso di regolamentazione messo in atto dagli altri inquilini della Casa Bianca: «Soffocano
l’economia, incastrano i funzionari e comprimono la libertà personale». Una sorta di “liberi tutti” che, per quanto riguarda la pressione idrica nelle tubature, Trump sostiene dal 2020.
«I miei capelli devono essere perfetti, perfetti», diceva durante la sua prima presidenza, quando aveva aumentato il limite di acqua al minuto per i soffioni a 9,5 litri. E nel 2024, durante la campagna elettorale, aveva ribadito la sua posizione: «Voglio che questa bella testa sia insaponata. Voglio che sia insaponata in modo meraviglioso. Prendo lo shampoo migliore che si possa comprare e la spargo dappertutto. Poi apro l’acqua e la dannata acqua gocciola… non riesco a togliere la roba dai capelli. È una cosa orribile».
(da agenzie)
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