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DIREZIONE PD, APERTURA CON BLUFF: RENZI PROMETTE MODIFICA ITALICUM, MA SOLO DOPO IL REFERENDUM

CUPERLO: “ACCORDO PRIMA, SE VOTO NO PER COERENZA MI DIMETTO DA DEPUTATO”

In cauda, venenum. Ovvero la finta apertura sulla legge elettorale: “Il Pd è pronto a fare una discussione seria. Ovviamente non possiamo farla durante la campagna referendaria, ma non c’è dubbio che possiamo iscrivere all’ordine del giorno della commissione la discussione nel merito fin dalle settimane successive al referendum. La delegazione è composta dal vicesegretario, i due capigruppo, il presidente e un’esponente della minoranza”.
Alle sei di pomeriggio la separazione tra Renzi e la minoranza, consumata sui giornali, viene, diciamo così, formalizzata in direzione.
Perchè promettere una commissione che discuta di legge elettorale dopo il voto sul referendum significa non “aprire” una trattativa vera.
In parecchi, in una pausa della direzione, ricordano che quando il premier la volle aprire davvero incontrò in fretta personalmente tutti i partiti, poi ci mise la fiducia. Così se parla dopo il referendum, quando cambierà  il mondo.
E se vince il no è materia del prossimo governo. Insomma, il discorso di Renzi serve a lasciare politicamente le cose come stanno e — questo il vero obiettivo – a scaricare “mediaticamente” sulla sinistra l’immagine di chi “vuole far saltare tutto”.
Non a cercare l’unità , la mediazione, il punto d’incontro: “Per tenere unito il Pd — dice in uno dei passaggi più significativi — non possiamo bloccare il paese”.
Tutto il discorso è un attacco, duro e provocatorio, verso la minoranza, sin dalla prima frase: “Questa è la direzione numero 31 dal gennaio 2014, abbiamo scelto democrazia interna e non caminetti tra i big o presunti tali. Gli impegni con gli iscritti valgono più dei mal di pancia dei leader, noi parliamo qui”.
Poche battute, in giacca e cravatta — non scamiciato come al solito in direzione – il body language del premier è rigido, proprio di chi sente un ruolo messo in discussione.
Ogni argomento è buono per criticare quel pezzo del suo partito, nei cui confronti l’insofferenza è ormai antropologica.
Ecco quando parla di immigrazione “Avessimo dedicato ai risultati sull’immigrazione un decimo dei tweet che dedichiamo alla nostra discussione interna, questo partito sarebbe più orgoglioso e più ricco”.
Poi il passaggio sull’economia: “Ridicole le polemiche su stime Pil e governo”. E ancora: “Si è aperto un dibattito sui bonus, di cui qualcuno si vergogna e non ricorda i malus degli anni scorsi su legge finanziaria”.
L’elenco è lunghissimo: “Sulle banche sono pronto con un dibattito all’americana sulla storia degli ultimi venti anni e sugli interventi del governo per cambiare le cose sbagliate”, “le polemiche che si sentono se voli a bassa quota”.
In ultimo, la legge elettorale, “l’alibi” — così lo chiama — che vuole togliere: “Noi vogliamo smontare tutti gli alibi. Ci è stato detto “aprite sulla legge”, noi apriamo e loro “chiedete scusa per la fiducia”. Siamo alle allucinazioni”.
Dunque l’idea di una commissione, dopo il referendum. E, sempre per stanare la minoranza, aprire il confronto sulla proposta Fornaro per l’elezione dei senatori.
Insomma, una finta apertura che rivela disvela la profonda separazione tra i due Pd.
Il premier, ormai, pensa che legge elettorale e riforme non c’entrano nulla nel merito, ma che l’obiettivo di Bersani e D’Alema sia: o far vincere il no e riprendersi il partito; oppure se vince il sì preparare una scissione.
In un clima da resa dei conti dalle parti della minoranza si dà  una lettura uguale e contraria: “Non ha mai voluto aprire una trattativa serie sulla legge elettorale sennò invece di fare chiacchiere l’avrebbe presentata in Parlamento. E lì aperto il confronto”. In direzione parlano in pochi.
Tra i due Pd l’incomunicabilità  è totale
“Vedi Matteo, hai sbagliato a paralizzare l’Italia sul referendum. Se lo perdi ma anche se vinci, perchè camminerai sulle macerie del centrosinistra e andrai alla testa di un paese diviso”. Gianni Cuperlo scarica le conseguenze drammatiche anche su di sè. Alla fine della riunione la Direzione Pd ha approvato la relazione del segretario Matteo Renzi all’unanimità  ma senza il voto degli esponenti della minoranza.
“Senza accordo sulla legge elettorale prima del voto, mi spingerai a votare no al referendum e il giorno dopo io presenterò le dimissioni da deputato”.
Parole pesanti, quelle di Cuperlo, che replicano alla “apertura” fatta dal segretario sulla legge elettorale.
Cuperlo apprezza la disponibilità  ad adottare il testo per l’elezione diretta dei senatori ma il passo fatto sull’Italicum è ancora troppo piccolo. I tempi sono dirimenti. Insomma se “le parole non diventano azione” tutto precipita.
Da Cuperlo tono pacato come sempre ma senza infingimenti specie su due rimproveri. Di metodo contro Matteo Orfini, reo di arroganza non per il carattere ma per il suo ruolo: “Il presidente del partito nel giorno dell’assoluzione di Ignazio Marino avrebbe dovuto mostrare solidarietà  e vicinanza, non scrivere su Twitter che era stato cacciato per incapacità ”. Questione di stile.
La seconda critica è per l’accusa imbracciata dal segretario verso la minoranza dell’alibi della legge elettorale. “Vedi Matteo, nessuno pretende l’abiura dell’Italicum ma il Pd deve avere una sua proposta e il cambio non è un alibi da spazzare ma una convinzione”
Quell’incrocio tra iper maggioritario e sistema monocamerale non può funzionare – avverte il leader della sinistra – serve maggiore cautela anche per le convinzioni, l’alibi è di chi cerca di farla franca”.
L’aria è pesante, gli interventi di Zampa e Boccia a cercare in tutti modi di evitare la frattura non allontanano la parola che tutti vorrebbero evitare e proteggere quel filo che non può esser spezzato che porta alla strada della scissione.
Perciò spetta al segretario “farsi carico di evitarlo e fare tutto il possibile per tenere unito il partito su una riforma che deve essere di tutti”.
Appelli di Gentiloni e Orlando leader dei giovani turchi che insiste nella correzione dell’Italicum ma anche sul Sì, perchè se vince il No “la vittoria se la intesteranno certamente i populisti”.
Il contentino del “comitato di studio” con la presenza della minoranza, non piace a Roberto Speranza per cui è una “proposta insufficiente” ma che al contrario di Cuperlo chiede che “il giorno dopo il voto, il partito resti unito”.
Avvertenza a margine: “Fuori da qui, tra il nostro popolo sono in tanti già  convinti per il No e non possono diventare i nostri nemici”.
La fiducia è pochissima e il leader della corrente bersaniana ricorda a Renzi lo strappo dell’Italicum con la fiducia, una ferita mai rimarginata. Serve un gesto altrettanto forte per una marcia indietro ma questo pezzo della minoranza stavolta non va in trincea e prova a ad aspettare l’ultimo momento utile per sancire la rottura del No.
“Cuperlo alla guerra con l’ultimatum, Speranza è più tattico”, la lettura di un renziano che scommette sull’apertura del segretario che può portare a correzioni importanti della legge elettorale anche se non prima del 4 dicembre.
L’ombra della rottura resta per tutta la riunione e tra tattica e sostanza la nebbia non si dirada. “Recuperare il patrimonio della fiducia”, chiede il ministro Martina.
Facile a dirsi.

(da “Huffingtonpost“)

This entry was posted on lunedì, Ottobre 10th, 2016 at 21:47 and is filed under Partito Democratico. You can follow any responses to this entry through the RSS 2.0 feed. You can leave a response, or trackback from your own site.

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