L’ULTIMA CORSA DI BERLUSCONI
VOTI A RISCHIO, IPOTESI MONTI E TOTOMINISTRI DEL NUOVO ESECUTIVO
A questo punto, gli scenari per un eventuale governo dopo Berlusconi sono due.
Il primo, anche dal punto di vista cronologico, riguarda la scadenza del prossimo 8 novembre alla Camera, di martedì.
In aula torna il rendiconto di bilancio già bocciato e la slavina dei frondisti manda sotto il centrodestra.
Per la seconda volta sulla stessa questione. Il Cavaliere, secondo le previsioni dei più ottimisti, prende atto che la maggioranza non c’è più e sale al Quirinale per dimettersi.
È il fatidico passo indietro invocato da settimane.
Al suo posto va Gianni Letta, emblema dell’andreottismo alla corte di B. nella Seconda Repubblica.
In teoria sarebbero possibili le “larghe intese”, ma in pratica l’esecutivo Letta si trasformerebbe quasi sicuramente in un centrodestra allargato al Terzo Polo di Casini e Fini e con un Pdl al riparo di un’implosione mortale, almeno per il momento.
Questa ipotesi però non è molto gettonata nei Palazzi del potere.
Per un semplice motivo: il premier non mollerà fino all’ultimo. Resisterà nel bunker come il dittatore libico Gheddafi, per usare il paragone di Antonio Di Pietro (che in passato ha accostato B. anche a Hitler, Mussolini e Saddam).
Così, anche se la maggioranza dovesse essere battuta l’8 novembre, si arriva alla fiducia sui provvedimenti per la crisi, imposti dall’Unione europea.
Dalla presidenza di Montecitorio precisano che ancora non c’è alcuna data in calendario e che sarà la conferenza dei capigruppo a stabilirla.
Ma un’opzione già circola: il 15 novembre, sempre di martedì.
Come spiega un autorevole esponente dell’opposizione a microfoni spenti, “Berlusconi sceglie di andare a schiantarsi in aula”.
È lo scenario più rovinoso e cruento per il Cavaliere. Il secondo e ultimo.
La maggioranza va a casa e stavolta B. sale al Quirinale da dimissionario e sfiduciato.
“Il primo tentativo”, raccontano dal Pd, “spetta a loro”. Il solito Letta. Adesso, però, con scarse probabilità di successo.
La vera carta da giocare si chiama Mario Monti, il tecnico bocconiano già eurocommissario. Indicato per anni alla guida di un governo tecnico, per lui sarebbe finalmente la volta buona. Se non altro perchè è il cavallo vincente su cui punta Giorgio Napolitano, che vorrebbe scongiurare a tutti i costi le elezioni anticipate nella primavera del 2012.
Ma a Monti, il Quirinale, non vorrebbe affidare un incarico al buio, basato su una manciata di voti di vantaggio. In quel caso, allora, tutto passa per la tenuta del Pdl. Se implode e si spacca, verrebbe meno la condizione istituzionale posta dallo stesso Napolitano: mai un governo senza il principale partito di maggioranza.
Si calcola che potrebbero essere una cinquantina i deputati in fuga dal Pdl. Sempre che il segretario Angelino Alfano non converta B. e tutto il partito al “senso ineluttabile” di un governo Monti.
Un’ipotesi molto irrealistica, ma che c’è.
In queste ore, l’idea di un governo Monti non affascina tutti nell’opposizione.
Chi l’appoggia lo fa in nome “della linea di responsabilità filo-Napolitano”. Per molti sarebbe “un cerino in mano da far passare per non scottarsi”.
L’allusione è alle misure draconiane, da lacrime e sangue, che dovrà prendere il nuovo esecutivo.
Dice l’ex ministro dc Paolo Cirino Pomicino, oggi nell’Udc di Casini e indicato ieri da Sallusti sul Giornale come uno dei registi delle trame contro la maggioranza: “In verità anche quello di Letta sarebbe un governo tecnico perchè lui non è parlamentare e non è stato mai iscritto al Pdl. Monti invece è stato nel mio staff quando ero ministro del Bilancio. C’erano lui e Paolo Savona. Qualcuno mi ha chiamato l’anti-Verdini. Ma io non ho soldi e posti di sottogoverno da offrire. Posso offrire solo la politica”. Pomicino dixit.
In ogni caso, la composizione del governo tecnico presieduto da Monti non sarebbe facile. Due le strade.
La prima è patrocinata da Casini: dentro leader e prime file di tutti i partiti.
A fare i ministri, quindi, andrebbero il segretario dell’Udc Lorenzo Cesa, il presidente del Pd Rosy Bindi, il vice di Bersani Enrico Letta. Questi alcuni nomi.
Ma la sorpresa potrebbe essere Lorenzo Bini Smaghi all’Economia.
Le voci sul suo conto sono insistenti, anche perchè questo potrebbe convincerlo a lasciare la poltrona del board della Bce come chiesto dalla Francia. Non solo.
Bini Smaghi sarebbe spendibile come ministro anche in caso di profilo meno politico e più tecnico del governo Monti.
È la seconda strada, che nel Pd viene indicata con questo criterio: “Al governo, per quanto ci riguarda, andrebbero personalità della sinistra non parlamentari”.
I nomi sono i soliti: gli ex socialisti Giuliano Amato e Franco Bassanini.
Per il primo, Amato, si parla già della Farnesina.
Questi gli scenari per il post-Berlusconi in alternativa alle elezioni anticipate.
Il nodo sarà sciolto la prossima settimana, come fa capire il pessimismo di Napolitano ieri a Bari: “Gli obiettivi sottoscritti dall’Italia vanno attuati tempestivamente puntualizzandoli nei loro termini rimasti generici o controversi”.
Fabrizio d’Esposito
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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