ALTRO CHE TESORETTO, IL GOVERNO RISCHIA UNA MANOVRA LACRIME E SANGUE
I PESSIMI DATI SUL PIL NEL SECONDO TRIMESTRE (-0,3%) COSTRINGONO IL TESORO A RIVEDERE I CONTI IN VISTA DELLA MANOVRA DI BILANCIO. OVVERO, ADDIO AL MARGINE DI 4 MILIARDI DA SPENDERE IN JOLLY, BONUS E “MANCETTE” VARIE
Alle dieci del mattino, quando le agenzie battono il dato del Pil in retromarcia, Giorgia Meloni ha chiara una cosa: la narrazione della crescita italiana formidabile, superiore a quella di Francia e Germania, non regge più. Non almeno nella formula assoluta – «stiamo crescendo più delle altre economie» – affidata meno di 24 ore prima ai microfoni internazionali di Fox News.
La stima negativa dell’Istat era stata messa in conto, ma non la portata: le previsioni dei tecnici del Tesoro erano più ottimistiche, con qualche decimale di crescita in più.
Sceglie il silenzio, la premier. Affida a Giancarlo Giorgetti la gestione dell’effetto collaterale che ha generato il segno meno nel secondo trimestre: che ne sarà della legge di bilancio? La nota del ministero dell’Economia, diffusa alle sei di sera, prova a mettere un argine alla grande paura che corre dentro le stanze del governo.
Quanto durerà?, è l’interrogativo da cui dipende la possibilità di tenere in piedi l’impianto dei conti pubblici messo nero su bianco ad aprile, con il Documento di economia e finanza. Dove i margini per la manovra erano già esigui, appena 4 miliardi. E dove già era affiorata la consapevolezza che le promesse elettorali, da quota 41 per le pensioni alla flat tax, dovevano essere messe da parte.
Ma la prudenza, allora, era stata volutamente accentuata: tra i diversi scenari elaborati al Mef era stato scelto quello più cauto. Non solo per dare un segnale all’Europa e ai mercati, ma anche per tenersi buona una carta, da mettere sul tavolo a pochi mesi dalle elezioni europee: la crescita migliore delle attese.
E quindi più spazio fiscale, nella legge di bilancio, per giocarsi qualche jolly, come il bonus per chi ha o fa figli, assai gradito alla presidente del Consiglio perché espressione di quella natalità che vuole elevare a principio del sistema fiscale. Nel frattempo, però, la carta si è stropicciata. E per questo, oggi, gli obiettivi sono stati ridimensionati: ben che vada – è il ragionamento – si riuscirà a portare a casa l’impegno preso con il Def.
L’economista Fedele De Novellis, partner di Ref Ricerche, delinea lo scenario avverso: «Se quest’anno – spiega a Repubblica – dovessimo perdere 2-3 decimi di Pil rispetto alle previsioni del Def e l’anno prossimo andare sotto la previsione dell’1,5% portandoci verso una crescita inferiore all’1%, il deficit tendenziale salirebbe dal 3,5% a oltre il 4%: mantenendo il deficit programmatico al 3,7%, bisognerebbe intervenire con una manovra correttiva».
Altro che tesoretto da 4 miliardi: tagli alla spesa o aumento delle tasse. Il governo prova ad allontanare questa prospettiva. Giorgetti invoca «politiche economiche di responsabilità prudente», ricorda i margini stretti ai colleghi che negli ultimi giorni si stanno presentando a via XX settembre con la lista della spesa per la manovra. E assicura che l’obiettivo di crescita, fissato in primavera all’1%, è «ancora pienamente alla portata».
A molti, nel governo, non è sfuggito il suo silenzio prudente, quando il Fondo monetario internazionale, la settimana scorsa, ha alzato le stime per la crescita per quest’anno, abbassando però quelle per il 2024. Non si è unito al ritornello meloniano, che i ministri più vicini alla premier hanno intonato. Anche troppo, per alcuni esponenti di Fratelli d’Italia: l’indiziato è il ministro delle Imprese Adolfo Urso. Il passo cauto, però, non può cancellare i rischi, al massimo può ridurne l’impatto, per quanto possibile.
Soprattutto Meloni ha un’esigenza immediata, in attesa di capire, a settembre, fino a che punto potrà contenere i danni con la Nota di aggiornamento al Def, la cornice della manovra. Deve provare a ribaltare subito il contraccolpo del Pil a – 0,3%. Per farlo si aggrappa al terzo, all’estate trainata dal turismo: l’auspicio è che possa ribaltare il quadro; un recente report di Confindustria dice però che l’economia, a giugno, è partita con il piede sbagliato. Insomma ci si affida al rimbalzo che possono garantire gli ombrelloni e gli hotel pieni di turisti. Ma le variabili esterne sono nettamente più pesanti, sulla bilancia ballerina dei conti pubblici.
(da La Repubblica)
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