ARRIVA SUL TAVOLO DI JUNCKER IL CASO DEL VIDEO PIRATA DEGLI ESEGETI DI SALVINI
IL LUSSEMBURGHESE ASSELBORN DENUNCIA LA PRASSI DELLO STAFF DEL LEGHISTA DI FILMARE DI NASCOSTO LE RIUNIONI PER POI DIFFONDERLE PRO DOMO SUA… “DANNEGGIA LE RELAZIONI INTERNAZIONALI”
Il problema sarà portato al tavolo del presidente della Commissione europea, quel Jean Claude Juncker che, vedi caso, è lussemburghese e di quel Paese è stato primo ministro.
Come contrastare il diffondersi di un virus mediatico che potrebbe rendere irrespirabile il già arroventato clima che domina, specie negli ultimi tempi, i vertici europei: il virus dei “video-killer”, quelli filmati “a tradimento” nel corso di riunioni ministeriali.
A sollevare pubblicamente il tema è stato Jean Asselborn, di recente agli onori delle cronache europee per l’acceso diverbio con Matteo Salvini a Vienna.
Il ministro degli Esteri lussemburghese ha lamentato di non essere stato messo al corrento che il dibattito fosse trasmesso in diretta.
Se si trasmettono questo tipo di riunioni “non ci potrà mai più essere un dibattito franco” sostiene l’esponente socialista, protagonista di quel “merde alors” che ha fatto il giro d’Europa.
Per Asselborn è stata una “provocazione calcolata”, nel senso che l’attacco è stato cercato dal titolare del Viminale per ottenere visibilità mediatica: i suoi assistenti, ha raccontato, “si piazzano nelle sale in posizioni strategiche e riprendono sistematicamente tutto quello che dice Salvini”.
Fonti di Bruxelles confermano ad HuffPost l’esistenza del problema, ma che fino ad oggi vigeva una prassi condivisa per la quale gli assistenti dei ministri non danno conto, in tempo reale, delle riunioni in corso, tanto meno attraverso video “pirati”, utilizzati contro partecipanti alla riunione.
“Siamo ormai abituati a tweet che danno conto in tempo reale delle posizioni di un ministro o capo di governo — dice a HuffPost la fonte diplomatica di Bruxelles — ma i video sono altra cosa, soprattutto perchè coinvolgono altre persone a loro insaputa”.
C’è chi parla di “voyerismo politico” e invoca un codice di comportamento con sanzioni nel caso in cui venisse disatteso.
“Nei vertici si discute spesso animatamente — rimarca ancora la fonte — qualcosa esce fuori nelle conferenze stampa o in ‘bisbigli’ regalati ai giornalisti, ma ora il rischio è che scatti una sorta di autocensura, e questo non aiuta il confronto”.
Un problema “protocollare” che acquista una valenza politica dopo lo scontro Asselborn-Salvini.
Un tema delicato che HuffPost affronta con una personalità che di diplomazia ha esperienza da vendere: Giancarlo Aragona. Consigliere diplomatico del Ministro della Difesa (1992-1994, capo di Gabinetto del Ministro degli Esteri(1994-1996), Segretario generale OSCE (1996-1999); Ambasciatore a Mosca (1999-2001); Direttore Generale per gli affari politici multilaterali e i diritti umani (2001- 2004); Ambasciatore a Londra (2004-2008).
Insomma, quella che si dice una voce autorevole: “La riservatezza non è mai stata assoluta — dice l’ambasciatore Aragona – In passato, succedeva che un portavoce uscisse dalla sala della riunione, per ‘consegnare’ a qualche giornalista amico una indiscrezione, una frase del suo ministro, chiedendo di non essere citato. Adesso, però, che si mostri in diretta il dibattito è una cosa senza precedenti”.
Le riunioni, spiega l’ambasciatore Aragona, “hanno vari gradi di riservatezza. Ci sono quelle a cui partecipano solo i ministri ed eventualmente un loro assistente, proprio per rimarcarne la confidenzialità e dare la possibilità di esprimersi con meno vincoli. Poi vi sono altri livelli più partecipati, ma resta il fatto che si tratta comunque di riunioni che non sono pubbliche”.
Non è solo una questione di bon ton diplomatico, ma di qualità della discussione. “Fare di queste riunioni internazionali una sorta di palcoscenico mediatico — rimarca Aragona — è micidiale per le relazioni internazionali. Il rischio è che la forbice tra i pronuncianti politici buoni ad uso interno e la realtà legata al negoziato concreto e ai risultati effettivamente raggiunti, si allarghi sempre più”.
Dure sono le considerazioni di Giuseppe Cassini, già ambasciatore a Beirut. “Ciò che è avvenuto a Vienna — dice ad HuffPost — è completamente fuori dalla norma diplomatica, fuori dalle regole di lealtà reciproca su cose che non possono essere messe su un video. Questa è una modalità di comunicazione praticata in particolare dai Cinque Stelle, ma in diplomazia, o per quanto riguarda riunioni internazionali, è qualcosa di inconcepibile, mai visto prima. Nella mia lunga esperienza in diplomazia, non mi ricordo un precedente del genere”.
Una domanda è d’obbligo: ma ai tempi dei social e ora dei “video-pirati”, cosa rischiano di diventare i summit internazionali?
“È un’ottima domanda — risponde Cassini -. Bisogna prendere atto che essendo cambiata completamente la tecnologia delle comunicazioni, per ciò che concerne il caso in questione, quello della comunicazione diplomatica, bisognerebbe rivedere completamente le modalità di dialogo tra esponenti politici di Paesi diversi”.
Il rischio è che di fronte al timore di vedersi immortalato, inconsapevolmente, in un video, ministro o diplomatico finisca per autocensurarsi.
Quanto al diplomatico, l’ambasciatore Cassini pone l’accento su una diversità che è sostanziale e non semantica: “Più di autocensura — afferma – io parlerei della necessaria riservatezza. Vale qui un famoso detto sul diplomatico: ‘se un diplomatico dice un sì, vuol dire forse, se dice forse, vuol dire no, e se dice no, vuol dire che non è un diplomatico’”.
Tra i suoi tanti e prestigiosi incarichi in diplomazia, Antonio Armellini può vantare quelli di ambasciatore a Vienna, Mosca, Helsinki, Algeri, New Dehli, oltre all’Ocse a Parigi:”Stiamo assistendo da tempo ormai alla disintermediazione nella politica, e ora stiamo assistendo anche alla sua estensione al mondo della diplomazia e delle relazioni internazionali — dice l’ambasciatore Armellini ad HuffPost – Nell’era del digitale, il consenso si fa in pubblico con un clic. E questo, a mio avviso, non aiuta nè la politica nè la diplomazia”.
Quanto al video contestato, l’ambasciatore Armellini afferma che “non doveva essere girato e mostrato. Tanto più che trattandosi di un consiglio informale, è più naturale che ci si lasci andare ad affermazioni più libere e forti”.
Ma i tempi sono cambiati, e non è detto sempre in meglio.
“Quando ero un giovane diplomatico alla Nato — dice Armellini — ricordo che prima di entrare nella sala della riunione dovevamo lasciare fuori cartelline e documenti…”. Ma il problema di una autoregolamentazione “mediatica” è all’ordine del giorno. E c’è chi lo impone con un consiglio-ordine: “Donald Trump — annota l’ambasciatore Armellini — è arrivato a chiedere ai suoi consiglieri di chiudere in cassaforte i loro cellulari una volta entrati alla Casa Bianca”.
(da “Huffingtonpost”)
Leave a Reply