BERLUSCONI E SALVINI MINANO LA MANOVRA DELLA MELONI
CHI VUOLE ALZARE LE PENSIONI MINIME SENZA INDICARE LA COPERTURA, CHI FARE UN FAVORE AGLI EVASORI… LA MELONI SULLA DIFENSIVA
La prima manovra del governo Meloni atterra in Parlamento, tra oggi e domani. Si parte dalla Camera, con un iter compresso: appena un mese per approvarla e il Senato di fatto solo ratificatore di quanto accadrà a Montecitorio.
Ma il clima in maggioranza non è così disteso come sembra.
La Lega vuole piazzare altre bandierine. A preoccupare è soprattutto Forza Italia. Il leader Silvio Berlusconi si è impuntato. Vuole alzare ancora le pensioni minime, a costo di minacciare l’esercizio provvisorio e mandare lunga la manovra, oltre la scadenza del 31 dicembre.
L’allarme è risuonato alto dalle parti di Fratelli d’Italia, al punto tale da contingentare il numero di emendamenti “segnalati”, quelli che contano e su cui votare: non più di uno a testa, massimo 400 in totale.
E con una dote da spartirsi, ben sotto il miliardo atteso, attorno a 500 milioni. Una sorta di Mose, di diga contro l’ostruzionismo “amico” di alleati malpancisti e a difesa della “manovra sociale, modificabile solo a saldi invariati”.
In questo senso, il colloquio annunciato per domani tra il leader di Azione Carlo Calenda e la premier viene guardato con sospetto dalle parti di Forza Italia. Una stampella farebbe comodo a Giorgia Meloni, in caso di frizioni spinte al limite.
Una partita complicata, perché Berlusconi è ancora irritato per non essere stato consultato prima del vertice politico sulla manovra, privato oltretutto della bozza.
Il vicepresidente forzista della Camera Giorgio Mulè si è spinto addirittura a definire la legge di bilancio “una tisana”, per non dire una minestra riscaldata. Ecco allora il bisogno del Cavaliere di marcare il territorio della manovra, cavalcando un classico del suo repertorio elettorale: le pensioni minime. Quelle sotto i 525 euro vanno a 2 milioni di pensionati.
Il governo le alza a 570 al mese quest’anno e 580 il prossimo. Troppo poco. Berlusconi vuole subito, dal 2023, 600 euro. E l’impegno ad aumentarle di 100 euro all’anno, così da arrivare a fine legislatura ai mitici 1.000 euro.
Il problema sono le risorse: se portarle a 570 euro costa circa 200 milioni, mettere quei 30 euro in più ne costerebbe altri 780. Il tentativo però sarà fatto.
Come pure Forza Italia proverà a rafforzare la decontribuzione per l’assunzione degli under 36, il cui tetto (6 mila euro) è considerato troppo basso. E a sbloccare i crediti ceduti del Superbonus.
Per contro, la Lega di Salvini non starà a guardare. Rivendica già Quota 103, la flat tax allargata per le partite Iva, il ponte sullo Stretto, l’esenzione Imu ai proprietari di immobili occupati, l’esclusione dalle sanzioni per gli esercenti che rifiutano il Pos per strisciate fino a 60 euro. Ma punterà ad alzare la soglia delle cartelle stralciate oltre i 1.000 euro, a portare la rateizzazione da 5 a 7 anni, a ripristinare lo sconto sulla benzina. E soprattutto a includere in manovra la stretta sul Reddito di cittadinanza proposta dal ministro dell’Istruzione Valditara: niente assegno ai giovani che hanno lasciato la scuola.
(da agenzie)
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