BERLUSCONI VUOLE IL QUIRINALE, IL CENTRODESTRA INTRAPPOLATO IN UN VICOLO CIECO
FA SCOUTING, LANCIA AMI, RECAPITA PROMESSE, MA SE CI FOSSERO FRANCHI TIRATORI NEL CENTRODESTRA SALTEREBBE L’ALLEANZA
“Giorgia mi voterà, è cresciuta con me, è stata una mia ministra”. Silvio Berlusconi non molla di un centimetro. È colui che più di tutti crede nella sua candidatura al Quirinale. Di telefonata in telefonata, con accenti diversi, nel centrodestra c’è un’unica convinzione comune: sono tutti inchiodati sul suo nome. Domani è atteso a Roma, nel suo quartier generale di Villa Grande, sotto i cui pini vendittiani venerdì attende Giorgia Meloni e Matteo Salvini per quello che ritiene il chiarimento definitivo prima che si aprano i giochi: “Mi devono dire chiaramente se sostengono o meno la mia candidatura”.
Lo vede come il momento della verità, del disvelamento di titubanze che negli ultimi giorni lo hanno irritato e non poco. Il Cavaliere ha messo pancia a terra i suoi emissari. Un alacre lavoro di scouting sta raggiungendo i parlamentari del gruppo Misto, contatti ci sono stati anche con esponenti di Italia viva, i tentacoli si sono allungati anche nel Movimento 5 stelle. Ma come, i 5 stelle che vedono come fumo negli occhi il Cavaliere? “Sì, perché nel segreto dell’urna anche i più insospettabili fanno di testa propria”, spiega uno dei tessitori. Berlusconi stesso sta lanciando ami, manda messaggi, fa recapitare promesse, ha sommerso Parlamento e dintorni di regali di Natale. Il leit motiv che ammanta la sua campagna in armi per salire al Colle è quello della tenuta della legislatura, di un Mario Draghi che con lui rimarrebbe saldo al proprio posto, la garanzia che nessuna poltrona sarà in pericolo, che i peones terrorizzati della fine della propria esperienza in Parlamento possono dormire sonni tranquilli. Con alcuni dei suoi ha parlato di un Settennato che potrebbe anche non arrivare alla fine, ventilando il beau geste delle dimissioni a un certo punto, conscio di un’anagrafica che non è più dalla sua parte e nella convinzione di indorare una pillola che in molti faticano a buttare giù. E comunque “eleggere Draghi significherebbe andare al voto subito” è l’arma usata come spauracchio per spaventare i riottosi.
Argomenti che sono professione di un ottimismo della volontà che mal si incastra con la dura realtà. Perché, per dirla con un leghista di rango, “Berlusconi al Quirinale, per il suo essere divisivo, sarebbe un cataclisma totale”. Il nome per eccellenza più indigeribile dall’altra metà del cielo, quello destinato a far collassare la maggioranza che sostiene Draghi, alzare una cortina tra i due schieramenti. Eccolo il centrodestra intrappolato nella sua tela: nessuno osa dirgli di no per paura di rompere l’alleanza e consegnare i suoi voti per il Colle al centrosinistra, in tanti temono che si andrà a sbattere con il rischio di consegnare comunque i suoi voti al centrosinistra.
Dice un berlusconiano di rango che “dicono un po’ tutti che sosterranno Silvio ma solo se ha i voti, quegli stessi voti che dovrebbero portare loro in dote, e così si complica la trattativa”. L’ultimo a iscriversi all’elenco è Lorenzo Fontana. Il vicesegretario della Lega conferma al millimetro quello schema che preoccupa assai il cerchio magico: “Sta tutto a Berlusconi, se dice che ha i numeri la Lega c’è”. È Fontana stesso poi a ventilare il piano B: il ritorno alla vecchia architettura gialloverde, un’alchimia che non prevedrebbe l’inclusione di Forza Italia.
La questione sta tutta qui. Berlusconi fa sul serio, vuole provare a forzare la mano in quarta votazione, chiedendo compattezza nelle prime tre per poi tentare il colpaccio. Ma cosa succede se non solo il bacino dei 451 elettori del centrodestra non venisse rimpinguato, ma venisse anche sfrondato da un drappello di franchi tiratori?
“Berlusconi è un dinosauro piazzato nel corridoio, il suo è un ricatto”, dice un esponente di Fratelli d’Italia. Non proprio l’idillio che Silvio si sarebbe aspettato. Sia Meloni sia Salvini non sono entusiasti del vicolo cieco nel quale il leader azzurro li ha imbrigliati, e sanno che il Cavaliere li vuole portare fino al punto di non ritorno di un sì formale, con tutti i rischi di mandare in pezzi il fronte del centrodestra e dire addio per l’ennesima volta a una personalità d’area al Quirinale. Non è un caso che dal versante Carroccio rimbalzino ancora i nomi di Marcello Pera e di Franco Frattini, riserve della Repubblica che fu berlusconiana, ma con un passato e un pedigree molto meno ingombrante e assai più potabile per il resto dell’arco parlamentare.
“Silvio non ammette piani B”, racconta chi lo ha sentito nelle ultime ore che precedono la sua discesa a Roma, dove potrebbe rimanere a lungo, convinto che per poter attirare questuanti e persuadere riottosi la sua vicinanza con i Palazzi del potere conta. I suoi apertamente spingono. Antonio Tajani ha parlato di un “dream team” composto da Berlusconi al posto di Sergio Mattarella e di Draghi saldo a Palazzo Chigi. “Ma nella Lega non tutti lo voteranno”, è certo un azzurro di peso a Palazzo Madama. Che poi avverte: “Attenzione, non farà il pieno nemmeno dei nostri, perché una certa gestione esclusiva del cerchio magico ha reso alcuni consapevoli che il loro destino è segnato e si stanno guardando intorno”. Un collega meloniano commenta sarcastico: “Io il regalo di Natale da Berlusconi non l’ho ricevuto, ma se mi fosse arrivato l’avrei rimandato indietro”. La convinzione è che se Meloni darà il via libera la pattuglia di Fdi si muoverà comunque tutto sommato compatta, più incertezze gravano sulla Lega, ma anche in casa della leader della destra gli umori sono piuttosto tiepidi.
Il senatore di Fratelli d’Italia prosegue con un pronostico: “Ci ritroveremo a votarlo in quarta e poi si vede”. Il non detto che molti si augurano è che il leader di Fi, constatata la mancanza di numeri, faccia prima un passo indietro.
Mossa che al momento Berlusconi non contempla minimamente, né tanto meno si sente un candidato di bandiera pronto a essere immolato sull’altare delle trattative. Il futuro del centrodestra passa da qui e passa dal vertice di venerdì. Sempre che dopo l’eventuale quarta votazione di futuro dell’alleanza si possa ancora parlare.
(da Huffingtonpost)
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