BERSANI ADESSO APRE AL PDL: “DIALOGO PER IL QUIRINALE MA NON SARA’ SILVIO A SCEGLIERE”
DA AMATO A GRASSO. SI ALLARGA LA LISTA DEI NOMI
«Il problema esiste. Non è un’invenzione di Berlusconi». Al netto dei toni e delle minacce del Cavaliere, Pier Luigi Bersani sa che il Pd non può permettersi un’occupazione militare delle cariche istituzionali, tanto più dopo una mezza vittoria. E che sul nuovo presidente della Repubblica «occorre cercare una soluzione anche con il Pdl. Non su un nome loro, ovviamente. Ma si deve provare a condividere una proposta».
È un passo che segue la difficile partita del governo, per il quale rimane il veto assoluto di Largo del Nazareno a una collaborazione con il centrodestra.
Però il Quirinale è chiamato a rappresentare, per i prossimi sette anni, il Paese. Compresi gli otto milioni di elettori berlusconiani.
Il segretario del Pd è convinto che il voto del 24 e 25 febbraio abbia cambiato radicalmente la geografia del Parlamento.
La massiccia presenza dei 5stelle «modifica il concetto stesso di condivisione e di unità nazionale che abbiamo conosciuto nelle precedenti legislature».
Eppure il centrodestra è ancora lì, sconfitto ma vivo.
Per questo, escludendo figure di parte come quella di Gianni Letta, andrà aperto un confronto con il Cavaliere. Con una variabile nuova e non di poco conto: il Movimento di Grillo.
Nell’ottica di un dialogo con il Pdl, riaffiora subito il nome di Giuliano Amato, una storia iscritta nella sinistra italiana, con molti passaggi contrastati nel rapporto con Ds, Ulivo e Partito democratico.
L’ex premier può contare sul sostanziale sostegno del centrodestra, ma resta l’incognita 5stelle, dei quali Bersani non vuole e non può fare a meno.
Il Pd perciò si prepara a lavorare su altri nomi che appaiono lontani dal mondo di Berlusconi.
«Ma facciamo l’esempio di Grasso – ragionano a Largo del Nazareno – . Certo, è un senatore eletto nel Pd. Allo stesso tempo è una personalità che ha collaborato con i governi di tutti i colori. Ed è un nome che avrebbe potuto raccogliere voti del centrodestra anche al Senato».
Trovare un punto d’incontro in questo Parlamento appare un’impresa impossibile, più della formazione di un esecutivo.
Altri candidati in campo sono Stefano Rodotà , Gustavo Zagrebelsky, Giuseppe De Rita. E Romano Prodi, naturalmente.
Su Massimo D’Alema, che avrebbe il sostegno dell’intero centrosinistra da Nichi Vendola a Enrico Letta, si ipotizza una sponda con il Pdl, come per Amato.
Anche se dalla Bicamerale in poi, Berlusconi è sempre riuscito a scottare il presidente del Copasir uscente.
E Mario Monti, da tempo, lo vede come il fumo negli occhi.
Il riferimento del Pd a Grasso, alla sua possibilità di allargare il consenso (la prova è il voto di sabato) non è casuale.
Il neopresidente del Senato è di diritto nella rosa dei papabili.
Mentre, secondo Bersani, non potrà essere utilizzato per un governo di larghe intese o del Presidente «che non esiste perchè dalle urne non è uscito uno schema Pd-Pdl-Monti».
Il segretario punta a un incarico che gli consenta di cercare la maggioranza in Parlamento.
Aprendo a Monti «in continuità con gli impegni internazionale assunti», alla Lega se cerca «un filo di interlocuzione istituzionale», ai 5stelle «puntando su proposte e scadenze come quella del conflitto d’interessi».
A questi partiti il Pd è pronto a concedere posti-chiave in Parlamento. «A Grillo vogliamo dare i vicepresidenti alla Camera e al Senato. E due questori, che hanno in mano la cassa del Palazzo. Vogliono controllare? Possono farlo. Ma ci vuole un accordo. Devono sapere che se votano solo i nomi loro, come hanno fatto sabato, non otterranno nulla».
È questa la sfida di Bersani. Avere il via libera del Colle per andarsi a cercare una maggioranza al Senato sulla base del programma.
Un precedente c’è: quello del primo Berlusconi, 1994, che strappò la fiducia al Senato senza avere la certezza dei voti.
Ma i dubbi di Napolitano, alla vigilia delle consultazioni che cominciano domani, non sono sciolti. «Le elezioni dei presidenti delle Camere non hanno cambiato il dato oggettivo – è il ragionamento del capo dello Stato – . Il centrosinistra ha una maggioranza assoluta a Montecitorio e una relativa a Palazzo Madama. Ha dimostrato però che non esiste una maggioranza contrapposta».
Significa che se il Pd «lo chiede», avrà l’incarico per il suo leader.
Poi, la palla passa a Bersani, tocca a lui «fare le sue consultazioni». Se il segretario non porta i numeri (ed è consapevole di non averli), Napolitano avrebbe molte remore a mandarlo alle Camere.
Bersani però insiste: punta sulla qualità delle proposte, sui nomi della squadra (da Barca, agli stessi Rodotà e De Rita).
Ma se fallisce e l’unica strada alternativa è quella del voto?
Napolitano non vuole che sia un governo guidato dal leader che ha semivinto le elezioni e senza fiducia a portare l’Italia al voto.
Goffredo De Marchis
(da “La Repubblica“)
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